(di Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano – 22 giugno 2017) –
Auguriamo sinceramente al Giornale Unico dell’Apocalisse che il 9 luglio i ministri delle Finanze dell’Ue deliberino questa benedetta procedura d’infrazione contro l’Italia. Perché se, Dio non voglia, dovessimo sfangarla anche stavolta, peggio che mai per merito di Giuseppe Conte, nelle migliori redazioni del bigoncio fioccherebbero i suicidi. Di massa.
Avrete certamente notato, nelle rassegne stampa, il voluttuoso sadismo con cui questi patrioti alla rovescia implorano quel che resta di Juncker&Moscovici di punirci severamente, con pene esemplari, possibilmente col contorno di sevizie, supplizi, garrote, fruste, vergini di Norimberga, trattamenti alla Guantanamo o alla Abu Ghraib. Chiedono sangue, lacrime, patimenti, nessuna pietà. Intimano alle autorità europee di tenere duro e non fare scherzi, almeno stavolta: già sei mesi fa avevano tutti l’acquolina in bocca e lo champagne in ghiaccio, il prode Federico Fubini aveva già preannunciato gli strumenti di tortura stabiliti, la data dell’esecuzione e del funerale dell’Italia (21 novembre 2018). Poi invece, sul più bello, quelle pappemolli degli euroburocrati si calarono le brache. Che non si ripeta né ora né mai più...
Repubblica: “Figuraccia europea”, “La furbata da un miliardo. Il governo si prende il tesoretto di Cassa Depositi e Prestiti per placare l’Ue” (un dividendo extra richiesto dallo Stato in quanto azionista), “Procedura d’infrazione più vicina”. La Stampa: “L’Europa boccia l’Italia. Bruxelles gela il premier: i tagli non bastano. Procedura d’infrazione più vicina”, “Dietro le parole niente”.
Il Giornale: “Scippano militari, imprese e pensionato. La Ue non molla sul debito: servono 5 miliardi”. Libero: “Conte pronto a ricevere schiaffi”, ma per fortuna “Silvio dà una mano al sedicente premier”.
L’altra sera, a Otto e mezzo, si discuteva delle nomine dei nuovi commissari europei e Corrado Formigli osservava che “fare un italiano commissario al Bilancio sarebbe come mettere Dracula all’Avis” (vecchia battuta di Beppe Grillo su Antonio Gava ministro dell’Interno, ma Formigli non lo sapeva, altrimenti avrebbe evitato l’infettiva citazione): perfetto luogo comune del Giornale Unico dell’Apocalisse, convinto che la maggioranza giallo-verde abbia bruscamente e inopinatamente interrotto una lunga e virtuosa serie di governi guidati da Cavour, Quintino Sella, Einaudi e De Gasperi. Più onesto e sorprendente è stato Sebastiano Barisoni, vicedirettore di Radio24 (Confindustria), che faceva notare da qual pulpito vengono le eurolezioni di rigore all’Italia.
Cioè a un Paese che mette sul piatto quasi 3 miliardi risparmiati dalle minori spese per il Reddito di cittadinanza e Quota 100, oltre a qualche altro miliardo sgraffignato qua e là, si presenta con un rapporto deficit-Pil più vicino al 2 che al 2,5% e non merita alcuna sanzione. Non da solo, almeno, visto che la Francia si accinge a sforare per l’ennesima volta, col beneplacito degli eurobucrocrati, la sacra e inviolabile soglia del 3%. E attenzione: Pierre Moscovici, il commissario Ue agli Affari economici, disse sei mesi fa che “per la Francia lo sforamento oltre il 3% del deficit-Pil può essere preso in considerazione in modo limitato, temporaneo ed eccezionale”, perché il povero Macron doveva varare un piano anti-povertà da 10 miliardi per rispondere alla rivolta dei “gilet gialli” e “rispondere all’urgenza del potere d’acquisto dei francesi” (beati loro).
Quindi, mentre l’Italia doveva retrocedere dal 2,4 al 2,04, la Francia che aveva già avuto l’ok per il 2,8% otteneva il via libera per il 3,5%. Si dirà: ma la Francia ha un debito pubblico pari al nostro ma un Pil più alto. Vero: ma quella del 3% è una soglia invalicabile del Patto di Stabilità che prescinde dall’entità del debito: “Il superamento del 3% è considerato eccezionale se determinato da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro… o nel caso sia determinato da una grave recessione economica”. Del 3,5% non parla nessun trattato. E comunque considerare la rivolta dei Gilet gialli, innescata dall’aumento delle accise sulla benzina e dalle politiche dell’Eliseo, un “evento inconsueto” significa dire che è la rabbia popolare, e non la crisi economica, a legittimare la violazione delle regole europee. Infatti la Spagna del socialista Pedro Sánchez s’infilò subito nel pertugio, anzi nella voragine, annunciando il salario minimo a mille euro, con un aumento del deficit anche rispetto a quello già bocciato dall’Ue.
Ma c’è di più. Nel 2012, quand’era ministro delle Finanze del governo Hollande, e la Francia sfondava regolarmente il tetto del 3% (per dieci anni consecutivi, con tanto di procedura d’infrazione permanente), Moscovici rilasciò un’intervista al New York Times e disse delle regole europee le stesse cose che oggi dicono Conte, Di Maio e Salvini: “La visione generale nella Commissione europea è neoliberista o ortodossa. Io sono un socialista, un socialdemocratico! In Francia abbiamo libere elezioni, siamo noi a determinare le nostre politiche e stiamo difendendo la nostra strada. Il problema dell’Europa è che è percepita come punizione e non come aiuto per gli Stati”. Quando Ivo Caizzi, corrispondente del Corriere a Bruxelles, gli rinfacciò quelle parole che oggi definirebbe “populiste” e “sovraniste”, il tartufòn le liquidò imbarazzato come “propositi da campagna elettorale”. Poi aggiunse che lui, da ministro, aveva ridotto il debito: balle, visto che quando dirigeva le Finanze francesi (2012-2014) il debito di Parigi schizzò dall’87,7 al 94,8% del Pil (oggi è al 98,4%). Meglio avrebbe fatto a cavarsela con il leggendario motto di Jean-Claude Juncker al terzo whisky: “La Francia è la Francia”.
E ho detto tutto.
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