Omero era cieco e compensava la disabilità con una fervente fantasia, ma forse una scena del genere non avrebbe mai potuto immaginarla: lo scatto di Migliore che cinge in un abbraccio Orfini, segnato dall’esperienza traumatica appena vissuta, dopo il rocambolesco sbarco della SeaWatch nel porto di Lampedusa. Erano partiti in cinque i nostri eroi, timorosi ma determinati, pronti a sfidare il destino sul ponte di una nave, all’addiaccio, per vivere un’avventura al cui confronto Ulisse sarebbe sembrato uno scappato di casa. Poche ore lontani dagli studi dei talk show e dagli apericena, circondati dall’ignoto, privati di tutto, persino della Playstation; un’eternità. Roba per stomaci forti, per uomini veri....
Il censimento dei passeggeri guardandoli negli occhi, come appreso dal mago Martina, era durato poco; poi le lunghe passeggiate sul ponte dove la tensione si faceva palpabile, rimuginando sul fato, la vacuità dell’esistenza, il terrore della morte che si nasconde dietro ogni anfratto, o forse era solo astinenza da spritz. Per la sacra missione si è disposti a questo ed altro: non per i terremotati, i malati dell’Ilva, i truffati dalle banche, i bambini mercificati e torturati, dove le responsabilità dirette ed indirette sono evidenti, no, è quella dell’immigrazione irregolare la battaglia delle battaglie, quella capace di dividere l’opinione pubblica e garantire longevità politica, ove le soluzioni tampone fanno gioco ad entrambi gli schieramenti mentre i veri responsabili rimangono compiaciuti e ben nascosti; un gioco in cui vincono tutti, tranne forse gli stessi immigrati, di cui in fondo non importa nulla a nessuno, in quanto pedine sacrificabili, volti intercambiabili da utilizzare per scatenare rabbia o solidarietà momentanea, a cui subentra il silenzio a riflettori spenti, oltre che un malcelato fastidio.
Erano lì su quel natante gli ormai cinque profughi (per spirito d’immedesimazione, metodo Stanislavskij), indecisi sul fatto di gettare i passaporti in mare, mentre i quaranta migranti li osservavano chiedendosi in quale lager fossero stati rinchiusi e quali torture avessero subito per essersi ridotti così. Erano lì, al fianco della capitana coraggiosa che aveva scelto l’Italia e solo l’Italia, poiché non esistono leggi umane e terrene che possano opporsi alla volontà divina di alimentare una tratta così efficace e remunerativa che consenta la percorrenza del sentiero scelto a tavolino da chi comanda davvero le sorti del mondo, sfruttando l’ambizione o l’inconsapevolezza di comparse che vogliano dare un senso alla propria esistenza vivendo momenti di gloria.
Ormai era notte, era giunto il momento, i cinque eroi, stremati, non avrebbero resistito un secondo di più, bisognava forzare il blocco, e con stile. Come nei romanzi pirateschi ciascuno era ai propri posti: Faraone e Delrio a prua, l’uno a fare da polena e l’altro da rostro, come nelle galee romane, i rimanenti tre in agguato, attaccati all’albero maestro, pronti all’arrembaggio al primo cenno; o più probabilmente erano tutti in cambusa, a chiedersi chi glielo avesse fatto fare, anche se la risposta la conoscevano già. L’unica soddisfazione nella calca dell’approdo è stata lo speronamento di un’imbarcazione della Guardia di Finanza, a parziale risarcimento dei danni causati al partito in passato tramite sequestri ed arresti eccellenti.
“E’ finita, Matteo. E’ finita”, sembra raccontare quell’immagine che ormai è storia, quell’abbraccio di un Migliore che quasi faticava a riconoscere il compagno, il compare, il complice, manco avesse appena varcato i cancelli di Auschwitz dopo anni di prigionia invece di aver trascorso qualche ora in gita a sbafo, ma la missione era compiuta, l’opinione pubblica divisa, manipolata, gabbata per l’ennesima volta.
Omero era cieco, fortunatamente. Poiché davanti ad una scena del genere si sarebbe volontariamente cavato gli occhi…
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