L’ultimo grido del tartufismo nazionale è smentire notizie inesistenti per cancellare quelle esistenti e rispondere alle domande sbagliate per eludere quelle giuste. Tipo dialogo tra sordi. “Che ora è?”, “Vigevano”. “Come ti chiami?”, “L’altroieri”. Con questo trucchetto ciascuno può fare e dire quel che gli pare, senza che si arrivi mai al nocciolo della questione: cioè a stabilire cosa è vero, cosa è falso, chi ha fatto (o non ha fatto) cosa. Una grande fumeria d’oppio dove convivono mezze, doppie e triple verità, le une incompatibili con le altre. Prendete lo scandalo del Csm. Il 5 giugno il Corriere narra che Mattarella auspica l’azzeramento del voto sul procuratore di Roma della commissione del Csm, che ha tributato 4 voti a Marcello Viola e 1 a testa a Giuseppe Creazzo e a Francesco Lo Voi, per dare la precedenza agli uffici scoperti da più tempo: l’“ordine cronologico”, purtroppo inesistente fra le regole e le prassi del Csm, che infatti lo adottò una sola volta, sempre su richiesta del Quirinale (èra Napolitano) e sempre per rimettere in gioco lo sconfitto Lo Voi. Il tutto in attesa di un “nome nuovo” in “continuità giudiziaria” col dogma dell’Immacolato Pignatone....
Abbiamo atteso una smentita del Quirinale a quell’incredibile entrata a gamba tesa via Corriere. Invece è arrivata la conferma: il Csm ha congelato il voto del Plenum su Roma in ossequio all’inedito “ordine cronologico”. Non contento, Mattarella ha mandato avanti le consuete “fonti del Quirinale” per far sapere che “non ha mai parlato di nomine, né mai è intervenuto per esse”. È il Csm che ha spontaneamente deciso di calpestare le proprie regole e seguire l’ordine cronologico, ma non perché gliel’ha chiesto Mattarella, bensì perché tutti gli altri consiglieri gli hanno letto nel pensiero. Oppure hanno letto il Corriere e han preso per buono un auspicio falso, che però Mattarella si era scordato di smentire facendolo apparire vero. Nel frattempo sono emerse altre due circostanze imbarazzanti: il verbale del pm Luca Palamara, indagato per corruzione a Perugia, sulla voce circolante nell’ambiente che lui fosse intercettato con un Trojan e che fosse partita dal consigliere giuridico del Colle; e una frase intercettata del deputato-imputato Pd Luca Lotti, che racconta a Palamara di essersi recato al Quirinale per lamentarsi della persecuzione giudiziaria della Procura di Roma contro di lui su Consip. La prima è stata subito smentita dal Quirinale. La seconda no, anzi: il Colle fa sapere che l’ultimo incontro fra Mattarella e Lotti risale al 6 agosto, prima delle richieste di rinvio a giudizio degli imputati Consip.
Dunque è vero che l’imputato Lotti chiese e ottenne udienza da Mattarella per parlare del suo processo: il Quirinale e le sue fonti si scordano di spiegare a che titolo, e se tutti gli italiani imputati possano recarsi in processione a lagnarsene col capo dello Stato. C’è un apposito Ufficio Reclami Vittime Malagiustizia, con tanto di centralino? E qual è il numero? Per aggiungere surrealismo a surrealismo, Repubblica titola: “Il fango su Mattarella”. E perché non il tango? O il mango?
La storiella del “fango” funziona sempre e si porta su tutto, quando si vuole svicolare dai fatti. Tant’è che la racconta pure Lotti, mentre escono le sue intercettazioni (sempre con Palamara) in cui dispensa consigli inferiori al Consiglio superiore su quali magistrati nominare in quali Procure. Dice che a David Ermini, il renziano piazzato da Pd, Unicost e MI alla vicepresidenza del Csm, “qualche messaggio gli va dato forte”, perché non è abbastanza pron(t)o a obbedire. Invece a Creazzo, che a Firenze ha osato far arrestare i genitori di Renzi, Palamara dice che “va messa paura con l’altra storia” (un esposto di pm fiorentini contro il loro capo) e così “liberi Firenze, no?”. Ma la competenza di Lotti si estendeva su tutto il territorio nazionale: “A Roma si vira su Viola, ragazzi… Poi però a Torino chi ci va? Scusate se vi faccio ’sta domanda”. Che gli fregava di Torino? Voleva metterci il procuratore di Reggio Calabria, dove a quel punto sarebbe andato Creazzo, liberando Firenze per le terga di un amico degli amici. Conclusione del Pg della Cassazione: “Si è determinato l’oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell’ufficio di procura deputato a sostenere l’accusa nei suoi confronti”. Uno normale, in un partito normale, si dimetterebbe e andrebbe a nascondersi. Ma Lotti non è uno normale e il Pd non è un partito normale. Infatti Zingaretti continua a balbettare che “non c’è nulla di illecito” e a non muovere un dito. E Lotti fa addirittura la vittima: strilla alla “montagna di fango contro di me”, oltre “i livelli minimi di accettabilità” (li decide lui). E i suoi traffici intercettati? “Ho espresso liberamente le mie opinioni: parole in libertà, non minacce o costrizioni. Quindi ho commesso reati? Assolutamente no. Ho fatto pressioni o minacce? Assolutamente no. In questi anni ho incontrato decine di magistrati, per i motivi più svariati: se è reato incontrare un giudice non ho problemi a fare l’elenco di quelli che ho incontrato io, in qualsiasi sede”. La classica smentita che respinge accuse (minacce, costrizioni e pressioni) mai lanciate da alcuno e nega reati (incontrare magistrati) mai contestati da alcuno, per non affrontare l’unico, vero scandalo che lo riguarda: un parlamentare imputato che suggerisce i nuovi procuratori di Roma (dove ha un processo) e di Firenze (dove vive e opera) a chi deve nominarli e richiama all’ordine il vicepresidente del Csm che lui stesso, senz’averne alcun titolo, ha contribuito a far eleggere. Il classico dialogo tra (finti) sordi. “Vai a pescare?”, “No vado a pescare”, “Ah credevo che andassi a pescare”.
“La macchina del tango” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 14 Giugno 2019
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