(Marco Lillo – il Fatto quotidiano) –
Il pm Stefano Fava, indagato a Perugia per favoreggiamento e per rivelazione di segreto in favore del pm Luca Palamara, ha risposto per ore ai magistrati, difeso dall’ avvocato Luigi Castaldi. Fava ha sostenuto di non avere rivelato alcun segreto al collega sull’ esistenza dell’ indagine a Perugia nei suoi confronti per i viaggi pagati a Palamara dall’ imprenditore Fabrizio Centofanti.
Nel corso dell’ interrogatorio i pm perugini gli hanno contestato la conversazione intercettata il 16 maggio – grazie al trojan inoculato nel telefonino di Palamara – nella quale i due parlavano dell’ indagine di Perugia. In quella conversazione Fava secondo i pm “rivelava a Palamara come gli inquirenti fossero giunti a lui, specificandogli che gli accertamenti erano partiti ‘dalle carte di credito’ di Centofanti Fabrizio e si erano estesi alle verifiche dei pernottamenti negli alberghi”....
Nella conversazione Palamara fa anche i nomi di altri magistrati che gli avrebbero parlato dell’ indagine di Perugia. Sul punto Fava ha confermato che effettivamente quel giorno Palamara sosteneva che gli avevano parlato dell’ inchiesta (teoricamente segreta) il procuratore dell’ epoca Giuseppe Pignatone e anche l’ aggiunto Rodolfo Sabelli.
Questa affermazione è farina del sacco di Palamara e va comunque contestualizzata. Nel settembre del 2018 Il Fatto aveva già rivelato che c’ era un fascicolo (segreto e senza indagati allora, Palamara è stato iscritto a dicembre) sui rapporti tra Palamara e Centofanti. Nel pezzo non c’ erano dettagli sui soggiorni negli hotel contestati a Palamara.
Quindi non era segreto il fascicolo ma erano segreti i dettagli. Sarebbe importante capire se le conversazioni di Pignatone e Sabelli non fossero mere millanterie di Palamara.
E in ogni caso, se i colleghi avessero solo commentato – dopo l’ uscita dell’ articolo del Fatto – l’ esistenza del fascicolo.
Il pm Stefano Fava ieri nell’ interrogatorio comunque ha fatto notare che lui non disponeva dell’ informativa della Guardia di Finanza dove erano descritte nel dettaglio le presunte ‘utilità’ pagate da Centofanti a Palamara. E quelle frasi su pernottamenti e carte di credito? Erano solo deduzioni logiche.
Fava ieri si è visto contestare anche il favoreggiamento di Palamara perché Fava gli ha consegnato alcune carte allegate a un esposto al Csm presentato da Fava a marzo contro il suo ex procuratore, Giuseppe Pignatone, in cui si lamentava della mancata astensione del capo nei procedimenti sull’ avvocato Piero Amara. L’ avvocato siciliano, arrestato nel 2018 a Roma, molti anni prima, nel 2014, aveva pagato una consulenza, pienamente lecita, al fratello del procuratore, l’ avvocato e professore Roberto Pignatone.
Inoltre nell’ esposto si faceva riferimento anche all’ astensione del procuratore aggiunto Paolo Ielo nel medesimo procedimento. Il fratello di Ielo è un avvocato famoso e aveva lavorato (a partire da molti anni prima) con l’ Eni. Il fratello procuratore si era astenuto nel procedimento sui rapporti tra una società riferibile, per i pm, ad Amara ed Eni.
L’ esposto al Csm è stato presentato nel marzo scorso. I pm di Perugia bollano le questioni sollevate da Fava come “circostanze allo stato smentite dalla documentazione sin qui acquisita”. Fava aveva consegnato all’ amico Palamara anche alcune carte relative ad altre consulenze del gruppo Condotte al fratello del pm Ielo, anche queste pienamente lecite, di cui aveva scritto Il Fatto. Complici le parole in libertà che ha incautamente detto al collega Palamara, Fava si è ritrovato in un baleno da accusatore del suo ex capo, a indagato.
Per smontare le accuse contro di lui Fava si è presentato davanti ai pm della Procura di Perugia Gemma Milani e Maro Formisano con una cartellina piena di documenti. Il pm ha consegnato la fitta corrispondenza intercorsa in particolare con il procuratore aggiunto Ielo in merito alle sue richieste di arrestare l’ avvocato Piero Amara. La documentazione dimostra che Fava non era certo un pm tenero con Eni e con il suo avvocato Piero Amara.
La tesi di un complotto che fa leva sui magistrati da Trani a Siracusa può insomma essere sostenuta per altri uffici e altri pm. Purché non si mescolino le pere con le mele e, nella furia di alcuni giornalisti di dare la patente di giusti e duri sempre e comunque ai pm amici, non si faccia l’ errore di mettere anche il pm Fava nel canestro di quelli che hanno favorito le trame dell’ avvocato Piero Amara. Per la semplice ragione che Fava, fino a quando il suo capo Giuseppe Pignatone non gli ha tolto le indagini, voleva arrestare Amara in ben due procedimenti.
Inoltre Fava ha chiesto sì alla Procura di Milano gli atti di un procedimento sui rapporti tra Eni e la società Napag, riferibile per i pm a Piero Amara. Però il suo atteggiamento non era affatto più morbido (contro Amara) di quello tenuto dai pm milanesi. Non è vero nemmeno che non avrebbe informato il suo capo, come scritto sui giornali. Il primo marzo scorso, nello stesso giorno in cui ha scritto a Milano per chiedere il fascicolo sui rapporti Amara-Napag ha girato la sua richiesta in copia al procuratore Giuseppe Pignatone. Il Capo quindi non ha autorizzato preventivamente ma è stato informato.
Quanto a Ielo, l’ aggiunto si era astenuto dalle questioni che riguardavano Eni. Ieri a Perugia era di scena anche l’ interrogatorio di Luigi Spina, consigliere dimissionario del Csm, accusato di rivelazione di segreto e favoreggiamento. Si è avvalso della facoltà di non rispondere
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