domenica 16 giugno 2019

Fulvio Abbate - Il PdG (Partito dei Generosi) di Renzi



(Fulvio Abbate – huffingtonpost.it) –
 Che volto, e che simbolo, avrà, ma soprattutto in quale terra di mezzo, potrà accamparsi l’imminente partito di Matteo Renzi, lo stesso che quest’ultimo sembra davvero apprestarsi a fondare, posto che gli eventi sembrano descrivere per lui un precipizio, lasciando così assai poco spazio e fiato alla ponderatezza, alla cautela? Se ho letto bene, qualcuno avrebbe definito la auto sospensione di Luca Lotti “un gesto di generosità” o piuttosto una “scelta generosa e leale”. Ora, se le parole hanno un peso definitivo, quello che Renzi si avvia a costituire, tra gli affanni delle scelte obbligate e improvvise, sarà probabilmente davvero il PdG. Esatto, il Partito dei generosi. Con se stessi, innanzitutto. E giustamente, posto che come spiega lo scrittore Fernando Pessoa nel suo capolavoro, “Il banchiere anarchico”, quest’ultimo, pur nella sua amoralità, se non altro potrà dire di averne salvato almeno uno, la sua stessa persona....

Poco importa se, per definizione, tutti continueranno a ripetere che si tratti del “partito di Renzi”, e ovviamente dei suoi colleghi di strada, non meno armati di generosità, proprio così, i suoi amici, le sue amiche, tutte creature che hanno a cuore la continuità di un’avventura che, almeno agli esordi, si sarebbe detta irresistibile, alternativa al solito sistema. Chiarito però che l’idea, inizialmente ventilata, di un cosiddetto dichiarato Partito della Nazione, nonostante la benedizione letteraria dello scrittore-anima bella Maggiani, già commosso officiante del primo Ulivo, lui che aveva piazzato proprio la “nazione” nel titolo di un romanzo, sempre lessicalmente parlando, sembra essere stata surclassata dal termine sovranismo, parola ben più accattivante presso il vicinato ingordo di semplificazione, la stessa che implicitamente, sia pur facendo riferimento alla nazione, ne allarga i confini in senso addirittura imperiale, e poco importa che l’Italia, in questo senso, resti un oggetto nazionale incompiuto, come suggeriscono gli storici anti-risorgimentali.
Il Partito dei generosi, in questo senso, lo si è detto, non può che mostrarsi amabilmente tale innanzitutto con se stesso, con le persone più vicine, possibilmente cominciando dai genitori del proprio fondatore, giusto, e da chi sennò? In questo senso, sebbene il figlio abbia fatto indubitabilmente strada sulle proprie gambe, forte di talento e disinvoltura, non si può negare che nel simbolo stesso del partito, sia pure in filigrana, dovranno doverosamente figurare i volti di papà Tiziano e mamma Laura. Sembra quasi di vederli fare capolino, soddisfatti, alle spalle dei trionfi seppure ormai pregressi, di Matteo, il loro campione. Noi qui non entriamo nel merito delle tribolazioni giudiziarie, meritate o immeritate dai capifamiglia, possiamo però affermare che nella quadreria ufficiale del renzismo, diversamente dalle precedenti gallerie – la DC con Sturzo e Moro, i Ds con Berlinguer o ancora, almeno nella versione veltroniana, perfino con Bob Kennedy – nel caso del PdG è bene zampillino soprattutto immagini di una narrazione domestica, virtuosamente provinciale, tra cooperativa aziendale o forse dopolavoro, così in un paesaggio già stato sfondo della grande pittura toscana, opera quelli che un critico d’arte, Roberto Longhi, chiamava “I Primitivi”. D’altronde, non costringeteci a citare ancora una volta Leo Longanesi quando affermava che sul tricolore italiano, in luogo dello stemma sabaudo dovesse esserci il motto “Tengo famiglia”.
Se poi dovessimo rintracciare un antecedente significativo circa la genesi del renzismo, non sembri un paradosso, dovremmo risalire alla convention estiva “VeDrò”, già opera di Enrico Letta, sorta di bilderberg minore allocata nei pressi del lago di Garda: da quel “bacillario” di relazioni, come dire, post-ideologiche (ma soprattutto lontane da ogni post-comunismo) è forse sorta la cellula prima del renzismo. Nella possibilità di oscillare da giù a su, dall’alto al basso, e così via, perché è bello così, si chiama modernità fluida.
Di sicuro, o almeno è questa la sensazione, il Partito dei generosi, nascerà obtorto collo, perdonate il bisticcio, sull’atollo dove attualmente, per cause di forma maggiore, si trova l’ex ministro dello sport Luca Lotti, capitano moschettiere del renzismo un tempo impetuoso, soprattutto da quando questi ha scelto di autosospendersi dal Partito democratico nel pieno di una sua matassa personale che mostra oscure relazioni tra politica e pezzi della magistratura. E’ quasi certo che, poco per volta, ogni altro sodale o collega di avventura politica, raggiungerà laggiù, sul medesimo asteroide, l’amico Luca. Come già nella pietra su cui si è costruita la chiesa di Pietro, lo scoglio dei Generosi mostrerà certamente la genesi, i contorni e il configurarsi di un nuovo partito che avrà come obbligo morale – scommettiamo? – di rispondere alla “furia giustizialista”, e importa poco che si possa supporre si tratti di un programma, come dire, fin troppo interessato, terribilmente egoistico, schiacciato spudoratamente sull’agenda del presente, meglio, di un presente assai personale, personalizzato, soprattutto ora che Lotti è in un vortice di intercettazioni che fanno presagire per lui una coda giudiziaria.  Si sappia però che nel gioco dell’affermazione delle proprie virtù messe in dubbio, la suggestione kafkiana del complotto ha sempre riscontro, positivo, è carta da giocare in modo convinto rivolti a un popolo in attesa di condoni dal cielo della politica.
Ora che ci penso, nel simbolo del Partito dei generosi, sarà bene che i grafici preposti a realizzarlo tengano conto che vi dovrà figurare, non meno in filigrana, il volto altrettanto significativo di Pier Luigi Boschi,  padre dell’ex ministro Maria Elena Boschi, già protagonista delle vicende altrettanto tribolate di Banca Etruria; la figlia, ne siamo certi, nel PdG certamente avrà un ruolo apicale, e magari in questi nostri tempi di secolarizzazione mondana non guasterà neppure immaginare a margine ulteriore anche il sorriso del fratello “figo” di Maria Elena, Emmanuel, che con simile bel nome dalle suggestioni cristologiche e insieme da red carpet, non è affatto casuale accompagni sovente la sorella in occasioni ufficiali, di più, assodata l’avvenenza del giovane congiunto, c’è perfino da domandarsi perché mai i suoi primi piani non siano mai stati spacciati per quelli di un Mark Caltagirone o di un Simone Coppi.
Dettagli, tutto vero. Non lo è invece ricordare che nella galleria dei selfie del renzismo nel suo apice di gloria istituzionale, brilli una partita a biliardino avvenuta durante la festa romana del Pd a Ponte delle Valli, dove Renzi, in coppia proprio con Luca Lotti, sfida Matteo Orfini. Sarebbe ora delittuoso affermare che già lì ci si interrogasse sul dopo, anzi, in quel momento c’era come unica certezza che l’ex consigliere comunale Dc di Rignano sull’Arno, proclamandosi “rottamatore”, in quel partito ormai suo, era riuscito a smantellare ogni villetta che ancora issasse una bandiera rossa, certo, ma sarebbe poi arrivata la batosta del referendum e ancora la dissoluzione di quel, sempre suo, 40% ottenuto alle Europee del 2014.
Adesso però Renzi è finalmente, nuovamente, lì, solo con la sua generosità, le amiche e gli amici, ma quelli davvero generosi, a fargli da scudo, e ora, sì, che potrà finalmente fare in modo che questa sua generosità conclamata prenda le forme di un nuovo percorso politico che affermi l’inespresso, con  conseguente esito elettorale, ovvio. Si presenterà magari con le stesse parole che innalzano i suoi sostenitori, convinti che Matteo sia il vero unico decalcificante dell’ideologia a sinistra, il solo “politico che tenta di arginare l’unico vero potere forte italiano, la magistratura fuori controllo”, parole che sembrano dare ragione a chi lo assimilava a Berlusconi, perfino soprapponendo i due volti in un unico ritratto: guardatemi, sembra dire, non vi dice nulla il fatto che tutti i poteri forti ce l’abbiano contro di noi, i generosi?
E chissà se gli riuscirà quell’operazione di manipolazione che viene assai bene all’altro Matteo, ossia suggerire che, come avviene tra ragazzi al momento dell’esame di maturità, non c’è nulla di male a preferire un certo membro interno piuttosto che un altro, e lo stesso vale, no, quando vai a fare l’esame della patente nel piazzale della Motorizzazione, anche lì nessuno vorrebbe mai presentarsi quando c’è l’esaminatore cattivo, sarebbe masochismo, o no? E questo perché occorre essere solidali con se stessi e gli amici. Il PdG, il Partito dei generosi queste cose le dirà ancora meglio.---

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