sabato 12 settembre 2020

Pietro Salvatori Giornalista politico x Huffpost - A Modena Bonaccini apre il congresso Pd

 Incumbent centre-left candidate of the Democratic Party (PD) in a regional vote in Emilia-Romagna, Stefano...

Dà ragione a Saviano, vuol far rientrare Renzi e Bersani, rispolvera la vocazione maggioritaria: il Governatore emiliano parla da segretario in pectore. E domani scende in piazza il popolo del No. Zingaretti sempre più accerchiato.




A Modena, alla Festa dell’Unità, arriva quello che potrebbe essere considerato i

 padrone di casa. Stefano Bonaccini si presenta con la consueta divisa d’ordinanza: 

yban da vista, giacca e camicia sbottonata fino al secondo bottone. Si siede per i

 suo dibattito e dice una cosa d’assoluto buon senso , rispondendo a

 Lucia Annunziata che lo intervista: “Se mi chiedi se devono rientrare Renzi e 

Bersani io dico rientrino pure. Noi dobbiamo riportare quelli che sono usciti e non ci

 votano più, non Renzi e Bersani in quanto tali. Perché il Pd non può rimanere al

 20% e se rimane al 20% nei prossimi anni vuol dire che, quando si voterà per le 

politiche, noi non vinceremo le elezioni”.

Insomma, il governatore di una grande Regione, una delle poche rimaste in mano

 al centrosinistra, spiega l’ovvio: un partito a vocazione maggioritaria deve essere

 tale, e dunque attrattivo anche per chi sta fuori, anche chi per un motivo o per un

 altro è sceso mesi o anni fa dalla barca, e quella gente che si è persa per strada va 

recuperata. Eppure nel giro di qualche ora una raffica di colpi gli cade sulla testa. 

Parte Michele Bordo, vicecapogruppo del Pd alla Camera: “Sembra Tafazzi, 

dimentica che Renzi è uscito per distruggere il Pd”. Tocca poi a Roberta Pinotti: 

“Fino qualche mese fa molti candidati avevano problemi a mettere il nostro simbolo

 nell’alleanza perché simbolo di sconfitta. La politica è vincente quando guarda 

avanti, ed è vicina ai problemi, invece di tornare a formule del passato”. Arturo 

Scotto attacca: “Se metti Renzi e Bersani sullo stesso piano significa che non hai 

chiaro cosa è successo”. Tutti messaggi fatti circolare tra le truppe zingarettiane e

 segnalati ai giornalisti.

Una dinamica poco leggibile, come spesso accade in casa Dem. Ma basta riavvolgere il nastro di qualche giorno per leggerlo sotto una luce diversa. A Palazzo gira da un po’ di tempo una storia. Una storia secondo la quale Renzi valuterebbe, con tempi e modi tutti da decidere, un riavvicinamento al Pd, se non un rientro, nel caso dopo le regionali la leadership di Zingaretti uscisse ammaccata e la successiva fase congressuale incoronasse proprio Bonaccini. “Chiediti perché Renzi abbia fatto campagna elettorale per lui - la mette giù un dirigente del Nazareno - E perché poi Matteo lo abbia invitato alla Leopolda”.

Il segretario ha delle belle gatte da pelare. La manifestazione del No riunirà domani a Roma un robusto pezzo di sinistra che contesta apertamente la sua linea sul referendum. E intorno a lui sono iniziate le grandi manovre, come se lo dessero già in bilico, come se fosse acquisito un risultato negativo prima ancora che si aprano le urne. E’ anche in questo contesto che oggi il segretario ha presentato un piano di riforme costituzionali, per uscire dall’accerchiamento, per dire che il taglio dei parlamentari è solo il primo giorno di “una stagione” di cambiamenti.

Bonaccini calibra al millimetro le sue parole. La sua non è una discesa in campo, né una rottamazione dell’attuale leadership, ma un posizionamento in vista di un futuro imminente. Tributa meriti al segretario di aver “rimesso in piedi il partito” e di aver dato “un contributo non banale al governo”, lo copre sul fronte del Sì al referendum, ne condivide il tentativo di arruolare Giuseppe Conte fra i leader possibili del centrosinistra, una figura che potrebbe allargare il campo a un pezzo del mondo 5 stelle.

Ma parla anche da leader in pectore: “Di Saviano non ho apprezzato i toni, non e’ giusta quella critica a Nicola e il Pd, ma c’e’ una cosa che condivido: non possiamo pensare di passare i prossimi anni in una situazione di un partito e di una coalizione che vive di anti, noi ci vogliamo far votare non per quanto fanno schifo gli altri, ma perché dobbiamo essere attraenti noi. Come abbiamo fatto, vincendo, in Emilia-Romagna”. Sulla stessa linea del segretario, dunque, ma come possibile aggregatore più forte. Anzitutto delle scissioni, quella di Bersani subita da Renzi, quella di Renzi subita da Zingaretti.

“Non me ne frega niente di fare il segretario”, risponde a domanda secca. Oggi sicuramente, domani pure. Dal 21 sarà tutta un’altra storia.

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