Il documento di 40 pagine e l'invito ai governatori di attenersi alle scelte prese a livello centrale
ROMA — Un documento di 40 pagine, tre scenari di rischio, grafici e tabelle per mettere a punto le misure contro l’epidemia da coronavirus. Eccolo il «Piano Sanitario nazionale per la risposta a un’eventuale pandemia da Covid-19», che il governo ha secretato e del quale il ministro della Salute Roberto Speranza ha continuato a smentire l’esistenza fino a due giorni fa, derubricandolo a «studio in itinere» le cui valutazioni erano «ipotetiche, aleatorie». Il Piano è stato redatto il 19 febbraio, la stesura finale è datata 22 febbraio 2020. L’obiettivo è dichiarato: «Garantire un’adeguata gestione dell’infezione in ambito territoriale e ospedaliero senza compromettere la continuità assistenziale, razionalizzando l’accesso alle cure, per garantire l’uso ottimale delle risorse. L’erogazione di cure appropriate ridurrà la morbilità e la mortalità attenuando gli effetti della pandemia». Il dossier fissava le priorità: avere scorte adeguate di mascherine, tute e guanti, ma soprattutto maggiore disponibilità dei posti in terapia intensiva. Dotazioni che nelle prime settimane non sono state sufficienti, né per il personale sanitario né per i malati.
I tre scenari
L’esistenza del Piano pandemico nazionale fu svelata dal Corriere della Sera il 21 aprile. L’intervista al direttore generale per la Programmazione sanitaria del ministero della Salute scatenò una bufera politica. Andrea Urbani faceva riferimento a tre scenari e spiegava che il piano era stato secretato «per non spaventare la popolazione» con proiezioni e numeri troppo drammatici. Elaborando le cifre della riproduzione del virus in Cina in base all’indice di contagio R0, il piano simula il possibile andamento dell’epidemia in Italia. Il «livello di rischio 1, sostenuta ma sporadica trasmissione e diffusione locale dell’infezione», è indicato quasi come caso di scuola, perché l’attenzione degli studiosi si soffermerà sugli scenari più difficili da affrontare. «Livello di rischio 2: diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie preordinate». «Livello di rischio 3: diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie che coinvolgono anche enti e strutture non sanitarie». Questi ultimi due scenari — con indice di contagio rispettivamente a 1,15 e 1,25 — sono quelli che in proiezione producono il gap più ampio di posti in terapia intensiva. Il documento si apre con alcuni «messaggi chiave», il primo dei quali è che la Cina ha dimostrato l’«elevato potenziale epidemico» del virus Sars-CoV-2. Ne consegue che «le misure di contenimento tempestive e radicali sono efficaci nel ridurre l’R0 sotto il livello soglia e nel tenere sotto controllo l’epidemia». In neretto è sottolineato come «dalla conferma del primo caso di trasmissione locale diventa fondamentale attivare tempestivamente misure di contenimento».
Guanti e mascherine
Gli esperti avevano sottolineato come «le procedure applicate nelle strutture intensive sono ad alta invasività». E per questo prevedevano di «dotare queste unità operative di scorte adeguate di tute “coverall”, maschere, shields (scudi, ndr), cappe, guanti e altri presidi nelle diverse misure e taglie. Le scorte devono essere adeguate al volume atteso di pazienti secondo il livello di attività previsto dall’organizzazione».
Terapie intensive
Scrivono gli esperti: «Dall’analisi dell’offerta assistenziale-ospedaliera riferita alla terapia intensiva, è emersa una dotazione complessiva nazionale di posti letto pari a 5324 (di cui 687 in isolamento semplice e a pressione negativa) con un tasso di occupazione dell’85%. Ipotizzando di poter fruire del 15% dei posti letto disponibili con una riduzione dell’attività di chirurgia elettiva del 50% (come previsto negli scenari 2 e 3), si potrebbero liberare progressivamente fino a 1597 posti letto in TI di cui 103 in isolamento».
Le Regioni
Il punto più politico riguarda il coordinamento tra Stato e Regioni. I «governatori», soprattutto in fatto di chiusure e riaperture — dalla circolazione delle persone alle discoteche — si sono troppe volte prodotti in fughe in avanti che hanno innescato frizioni istituzionali. «È attivato un Coordinamento nazionale che opera secondo un modello decisionale centrale ben definito e un mandato forte e direttivo che, nel rispetto delle singole organizzazioni regionali, definisca l’efficienza degli interventi da attuare ma soprattutto l’efficacia delle azioni pianificate». Poi l’invito ad attenersi alla linea del governo: «In stato di emergenza nazionale, le Regioni e le Province autonome devono superare le regole, i principi e le attuali differenze programmatiche che derivano dall’adozione di modelli organizzativi fortemente differenti soprattutto per le attività di emergenza». Parole da rileggere con il senno del poi.
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