La linea di difesa di Pasquale Tridico, il presidente dell’Inps finito nella bufera per l’aumento di stipendio da 62mila a 150mila euro lordi l’anno, è che tale decisione era già stata presa dal precedente governo, il Conte I, e dal precedente ministro del Lavoro, l’allora capo politico del Movimento 5 Stelle e grande sponsor dello stesso Tridico, Luigi Di Maio. Anche se, come vedremo, il punto più delicato è quello della possibilità che lo stesso aumento fosse retroattivo. Punto questo che il presidente dell’Inps ritiene totalmente infondato. Ma andiamo con ordine.
Salvini e l'emolumento di Boeri (diviso in due)
In effetti la questione degli emolumenti del presidente dell’Inps si trascina da anni. Il predecessore di Tridico, Tito Boeri, stimato economista della Bocconi, prendeva 103 mila euro lordi, meno del suo reddito precedente e soprattutto molto meno rispetto al tetto di 240 mila euro fissato dal governo per i vertici della pubblica amministrazione. Tanto più che, fino allo scorso aprile, quando è stato reintrodotto il consiglio di amministrazione, l’Inps è stato governato solamente dal presidente (aveva cominciato Antonio Mastrapasqua come commissario straordinario nel lontano 2008) insieme con il direttore generale. E parliamo di un ente gigantesco che amministra tutte le pensioni e gli ammortizzatori sociali. Quando Tridico, giovane economista dell’Università Roma Tre, venne nominato per volere di Di Maio, il 22 maggio 2019, dovette dividere l’emolumento di 103mila euro con il vicepresidente (transitoriamente Adriano Morrone), figura reintrodotta su richiesta del leader della Lega, Matteo Salvini, allora al governo, col preciso scopo di marcare stretto il presidente grillino, già allora guardato con diffidenza dal Carroccio. Così circa 62 mila euro furono attribuiti a Tridico e il resto al vice.
Il decreto Catalfo-Gualtieri e la data di decorrenza
Subito dopo, però, cioè a giugno 2019, Di Maio, in qualità di ministro del Lavoro, avviò l’iter per l’adeguamento dei compensi, legato anche alla riforma della governance di Inps e Inail che aveva l’obiettivo di reintrodurre il consiglio di amministrazione nei due enti, cosa in effetti realizzata alla fine del 2019. La proposta di Di Maio prevedeva appunto 150 mila euro per i presidenti di Inps e Inail, 40mila per il vice (60mila se con deleghe) e 23 mila per ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione. Si arriva cosi al decreto interministeriale firmato il 7 agosto scorso dalla titolare del Lavoro, Nunzia Catalfo (5 Stelle), e dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd) che formalizza i nuovi emolumenti con decorrenza «dalla data di nomina».
E qui nasce il problema. Su questa formulazione infatti lo stesso collegio dei sindaci dell’Inps ha chiesto formalmente chiarimenti, perché la legge prevede che i compensi debbano invece partire dalla data di insediamento, che nel caso del nuovo consiglio di amministrazione, del quale fa parte lo stesso Tridico in qualità di presidente, è il 15 aprile scorso.
Le mosse di Conte
Tridico sostiene che non c’è mai stato il rischio che il suo aumento potesse decorrere dalla nomina avvenuta il 22 maggio 2019, quindi con effetto retroattivo e col conseguente rimborso di arretrati (circa 100 mila euro), tanto è vero che come ha chiarito ieri la Direzione risorse umane dell’Inps nessun arretrato è stato corrisposto al presidente. Il ministero del Lavoro ha dovuto però diffondere una nota per chiarire che «la determinazione dei compensi si perfeziona al momento dell’insediamento dei cda». E il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha chiesto un «approfondimento» e una «verifica» sull’intera vicenda.
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