Ecco Emanuele Macaluso, grande vecchio della sinistra italiana, novantasei primavere di lotte, esperienza e lucidità annunciare il suo “no” alla riforma costituzionale. Anzi, riformuliamo: ecco il più giovane di tutti, che ancora si arrabbia, si indigna, combatte, e nel corso di questa conversazione più volte pronuncia la parola “battaglia politica”, con lo spirito di chi la sta facendo ancora, dopo averne fatte tante: i braccianti, il Pci di Togliatti che lo volle a Roma, con Enrico Berlinguer alla guida dell’Unità, con Napolitano nella corrente migliorista. Ed è proprio una lezione dal sapore antico quella che ricorda spiegando il suo voto ostinato e contrario: “Stupida la scelta del Pd. Legare governo e Costituzione è una scelta sbagliata. I governi passano, le Costituzioni, con le loro regole e principi di fondo, restano”.
Macaluso, perché vota “no”?
Voto no perché non ho dimenticato né l’origine di questa riforma né come è stata festeggiata dai grillini, che esposero, davanti al Parlamento, uno striscione con tante poltrone e loro con una grossa forbice tagliavano i seggi. Dunque i seggi sono solo poltrone, i parlamentari poltronisti, il Parlamento solo un costo da tagliare. È una iniziativa che ha un evidente carattere anti-Parlamentare.
Dunque il suo è più un voto contro l’Antipolitica che un voto di merito.
Le due cose stanno assieme, perché il merito, ovvero gli squilibri che produce in termini di rappresentanza e di funzionamento delle istituzioni, è frutto dell’antipolitica. E io penso che questa iniziativa vada contrastata col ragionamento e col voto. La vera posta in gioco non è il numero dei parlamentari, ma la difesa del Parlamento, del suo ruolo, del suo significato, della sua funzione in una democrazia, di fronte a una iniziativa antiparlamentare. Questo è il punto.
Le giro un’obiezione. La riduzione dei parlamentari è una battaglia storica della sinistra. Perché scandalizzarsi tanto?
Perché bisogna vedere in quale contesto. Io sono anche d’accordo a una riduzione, ma nell’ambito di una vera riforma che ponga fine al bicameralismo perfetto, il vero problema del meccanismo istituzionale italiano. Questa non è una riforma. Veda, io l’altra volta votai sì a quella di Renzi, perché comunque era un disegno organico, poi è andata come è andata perché la gestì in modo sbagliato, ma questo è un altro discorso.
Teme, come dice qualcuno, una deriva autoritaria?
È già in atto una deriva anti-parlamentare, e non è un fatto di oggi. Diciamo che il sì ne sancisce una vittoria concreta sul terreno non solo della politica ma delle istituzioni. Nell’Italia di oggi, attraversata da pulsioni populiste profonde, compito della sinistra e delle forze democratiche dovrebbe essere quello di contrastarla questa deriva, non si assecondarla.
Il segretario Nicola Zingaretti è stato molto duro con chi vota no: “Chi vota no lo fa per indebolire il governo e il Pd”.
Una posizione stupida.
Prego?
Sì, stupida. Non c’entra niente, il governo, la tattica, queste cose… Niente. Ed è una posizione sbagliata due volte. Primo sul piano dei principi: il punto è la Costituzione, cioè la Carta fondamentale, le regole che riguardano tutti. E prescinde dai governi: le Costituzioni restano, i governi passano.
Secondo?
È sbagliata anche politicamente. Il governo si deve mettere da parte, mostrare una sua neutralità. Se si schiera col sì, si indebolirà molto seriamente, perché è chiaro che politicizza anche il “no”. A quel punto chi vota no vota no contro il governo. Vedo che c’è già un bel pezzo della sinistra in piazza per il no. Perché dire che sono contro il governo?
In fondo è lo stesso approccio di Renzi, la sovrapposizione tra governo e Costituzione. Io ci vedo una novità, negativa, ma una novità in termini di cultura politica rispetto a quando la sinistra diceva “noi, il partito della Costituzione”, non del governo. Il virus dell’antipolitica ha infettato anche parte della sinistra?
In questi anni c’è stato un abbassamento culturale molto vasto, che si risente su questa questione. Una volta c’era una cultura di massa, con dei grandi partiti che coinvolgevano e guidavano le masse, non una cultura di élite. Oggi c’è il populismo, che non è una cultura di massa, ma un’élite che interpreta le posizioni più negative del popolo, rifiutando la mediazione politica, i corpi intermedi, la rappresentanza. Per come la vedo io, la sinistra dovrebbe avere un approccio alternativo e contrastare, nella battaglia politica questo stato delle cose.
Pensa che il voto avrà conseguenze sul governo?
Sul Pd sicuramente. Io penso che il Pd uscirà indebolito da questa situazione, perché ha una posizione equivoca e non fa una battaglia politica chiara. Ha detto no tre volte poi ha detto sì solo in nome del governo, questo dimostra una posizione che non parte da esigenze generali, ma dalla collocazione politica del momento. Parlavamo di cultura politica, questo è grave. Ed è un limite dell’attuale gruppo dirigente, e infatti, dico purtroppo, il Pd non riesce a essere una grande forza in grado di contrastare la destra.
Ecco, veniamo al governo, alla cui formazione lei era contrario. Lei diceva “Il Pd è incapace di concepire sé fuori dalla dimensione del governo. Io invece penso che questa destra la fermi con una operazione più ambiziosa e democratica di una manovra di palazzo, provando a ricomporre la frattura tra sinistra e popolo”.
Appunto, i limiti di questa operazione si vedono tutti. Ma guardi, il governo reggerà, perché non c’è un’alternativa. E comunque tutto si vedrà a ottobre, se si prosegue o si voterà. Non sarà il referendum e nemmeno le regionali a metterlo in crisi, ma semmai ciò che è in grado di fare o non è in grado di fare. Al momento, complice la pausa estiva, è fermo un po’ su tutto, dai migranti all’economia.
Possiamo dire che l’operazione è fallita?
Non dico che è fallita, ma la destra è in campo e mi pare poco arginata. È vero che Salvini ha perso punti, ma li ha guadagnati la Meloni, e complessivamente è quasi maggioritaria nella società italiana. Zingaretti ha detto che vuole fare una alleanza strategica di Pd, Cinque stelle e tutti gli altri, perché potenzialmente può battere la destra. Bene, vero ma è una posizione strana.
Perché strana?
Perché mentre lo dice, non c’è una linea comune, una posizione comune, e alle regionali i Cinque stelle hanno rifiutato quasi ovunque questa alleanza.
Questo non è colpa di Zingaretti però.
Qui non è un fatto di colpe, è una questione politica. Il Pd dovrebbe porre il problema. Vuoi un’alleanza strategica? Bene. Non c’è una posizione comune? Bene. Poi? Nemmeno parli e rifiuti anche una battaglia politica con i Cinque stelle, ognuno con le sue ragioni. Non mi pare che si stia facendo una bella figura.
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