sabato 19 settembre 2020

Mattia feltri x HuffPosty - La democrazia e il " mio No al referendum" sono una disposizione d'animo...

 


Ps. Sono felice che HuffPost abbia ospitato un lungo e serrato dibattito, senza che mai i toni svilissero nell’insinuazione o nell’insulto. Sono profondamente grato agli ormai 600 costituzionalisti per il No che hanno scelto il nostro giornale per opporsi a una riforma fin lì incontrastata (tranne che da pochi parlamentari, a cominciare dell’eroico Simone Baldelli e da Andrea Cangini, che qui, per un mese, ha illustrato una ragione per il No al giorno). Sono riconoscente soprattutto ai sostenitori del Sì che su HuffPost hanno detto la loro con serietà e scienza, penso in particolare a Marco Minniti, a Stefano Ceccanti, a Carlo Fusaro, ad altri ancora, portatori di una disposizione d’animo per cui nessuna riforma sarebbe pericolosa.

Mattia Feltri

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Voto no perché mi basterebbe che il no avesse una buona percentuale e dimostrasse alla unanimità dei parlamentari che gli italiani sono meno antiparlamentaristi e meno populisti di loro, e sono in tanti, desiderosi di una politica che non sia preda del vento e della paura.


By Mattia Feltri

A differenza di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini, che hanno giudicato pericolosa una riforma costituzionale a cui dicono sì, io non la considero pericolosa e voto no.

La riduzione dei parlamentari da 945 a 600 non risolverà nessuno degli antichi e montanti problemi istituzionali: il bicameralismo paritario è anacronistico e rallenta l’approvazione delle leggi, le camere sono sempre più disarmate, il potere si è concentrato sul governo senza che si abbia il coraggio di certificarlo per legge (per non passare da ricostitutori del fascismo), il dominio delle segreterie di partito si è fatto assoluto nelle stagioni dei piccoli zar. Al massimo potrà aggravarne qualcuno, e aggiungerne di nuovi, per esempio sull’indebolimento della rappresentanza, di cui si è parlato parecchio in queste settimane, e sui cui vorrei aggiungere un paio di considerazioni non abbastanza approfondite.

Prima. Se si procederà con un’ulteriore riforma, ben avviata in Parlamento, che estenderà il diritto di voto per il Senato ai diciottenni, saremmo di fronte al paradosso che 400+200 non fa 600. Il Senato, infatti, diventerebbe identico alla Camera, soltanto in scala 1:2. È evidente che una sola assemblea di 600 eletti sarebbe molto più rappresentativa di due camere fotocopia, da 400 e da 200.

Seconda. Si insiste in un parallelo scorretto, spesso furbino, talvolta truffaldino, fra il numero dei parlamentari italiano e quello di altre democrazie, come gli Stati Uniti o la Germania o la Francia. L’Italia però è una democrazia parlamentare (che cosa vorrà dire quell’aggettivo, parlamentare?), gli Stati Uniti sono una repubblica presidenziale federale, la Germania è una repubblica parlamentare federale, la Francia è una repubblica semipresidenziale. Raffrontare il numero dei parlamentari di una repubblica parlamentare con quello di una repubblica presidenziale o semipresidenziale, dove gli elettori scelgono direttamente il capo del governo, non ha molto senso. Ancora di meno ne ha raffrontarlo con quello di una repubblica federale. Perché è vero, gli Stati Uniti hanno 535 parlamentari (435+100), ma hanno anche cinquantadue Stati, ognuno con Camera e Senato. Il Colorado ha 65 membri della camera bassa e 35 della camera alta, il Texas ne ha 150+31, la Florida 120+40. Stiamo parlando di migliaia di parlamentari con poteri imparagonabili a quelli dei nostri consiglieri regionali, perché decidono sulla pena di morte, sulla legalizzazione delle droghe, sui matrimoni omosessuali. Non è tanto diverso in Germania dove ognuno dei sedici Länder ha una Costituzione, un governo e un parlamento con poteri sul fisco, sulla giustizia, sull’istruzione.

Dunque, per tornare all’inizio, Zingaretti e Bettini dicono sì sebbene ritengano la riforma pericolosa per la democrazia, in assenza di un’adeguata legge elettorale. Legge che ancora non c’è, quindi dovremmo votare una riforma pericolosa in cambio di una promessa. E con l’aggravante che alla prossima maggioranza magari vien voglia di ricambiarla (le nuove maggioranze hanno spesso di queste fregole) e oplà, Costituzione di nuovo pericolosa. Un’assurdità mai chiarita dalla coppia, per dire com’è nata la riforma. Tuttavia non penso che la nostra democrazia tracollerà, sarà solo un po’ più controllabile, e non è un bene. Sarebbe servita, lo sappiamo, lo abbiamo detto e ridetto, una riforma complessiva, sui poteri del governo, sulla quota di federalismo, sul bicameralismo, e non una cosetta di cui fra poco ripeteremo le origini.

Il punto, lo ha spiegato bene qua Gianni Riotta, è che non conta soltanto il testo ma anche il contesto, poiché la democrazia non è un semplice insieme di regole ma soprattutto una disposizione d’animo (non è mia, è di Robert Conquest). E oggi noi abbiamo una disposizione d’animo poco democratica, tendenzialmente autoritaria, sprezzante delle regole, demagogica, sbrigativa, vendicativa, fomentata da sovranisti e populisti con la frequente collaborazione dei loro alleati, e il cui culmine consiste nel confondere le istituzioni col cattivo uso che se ne fa: se il Parlamento non funziona anziché ripararlo lo si mutila. E lo si fa in coda a una lunga e disastrosa campagna sull’inutilità, o meglio la dannosità e la disonestà dei parlamentari. Il Parlamento non è più la sede in cui, attraverso i suoi rappresentanti, il popolo esercita il potere, confermandoli o sostituendoli, ma una somma di poltrone, privilegi, ruberie, odiose guarentigie, e dunque va assediato, conquistato, aperto come una scatola di tonno, incatenato.

Vista la disposizione d’animo, io voto no, sebbene non abbia molte possibilità di prevalere. Ma voto no perché mi basterebbe perdere bene, basterebbe che il no avesse una buona percentuale e dimostrasse alla unanimità dei parlamentari (97 per cento di favorevoli al voto finale in aula) che gli italiani sono meno antiparlamentaristi di loro, meno populisti di loro, e sono in tanti, tutti desiderosi di una politica che non sia preda del vento e della paura.

Ps. Sono felice che HuffPost abbia ospitato un lungo e serrato dibattito, senza che mai i toni svilissero nell’insinuazione o nell’insulto. Sono profondamente grato agli ormai 600 costituzionalisti per il No che hanno scelto il nostro giornale per opporsi a una riforma fin lì incontrastata (tranne che da pochi parlamentari, a cominciare dell’eroico Simone Baldelli e da Andrea Cangini, che qui, per un mese, ha illustrato una ragione per il No al giorno). Sono riconoscente soprattutto ai sostenitori del Sì che su HuffPost hanno detto la loro con serietà e scienza, penso in particolare a Marco Minniti, a Stefano Ceccanti, a Carlo Fusaro, ad altri ancora, portatori di una disposizione d’animo per cui nessuna riforma sarebbe pericolosa.

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