Leggete anche l’ultimo post delle Sardine, foto di Zingaretti e Di Maio che si stringono
la mano con la scritta “non ci fidmaio”, un autentico e impietoso manifesto di sfiducia
verso il partito e il gruppo dirigente nel quale iniettarono sangue vivo nelle vene ai tempi
delle elezioni in Emilia Romagna. Oggetto della sfiducia un “partito che continua prendere
dei pali nei denti da parte di un leader populista”: “La riforma della legge elettorale che
Bonaccini dava per certa si è già arenata perché Renzi non la vuole, i correttivi che Bersani
dà per ovvi sono ancora tutti da discutere, la grande stagione di riforme che Zingaretti vede
alle porte non la vede nessun altro, la revisione dei decreti sicurezza che Delrio annunciava
mesi fa è rimasta un miraggio, alle regionali invece di fare fronte comune tocca sperare
nelle sardine perché “siamo disperati”, il Mes che ci servirebbe come il pane non lo
possiamo usare e Dulcis in fundo: se a inizio ottobre cadesse il Governo si andrebbe a
votare con i listini bloccati e le rinunce pilotate e allora sì che la Kasta avrà vinto per
davvero!”.
Parole dure, addolorate, rumorose quanto il silenzio con cui sono state accolte da un gruppo
dirigente che, con questi mondi vive un rapporto, più che d’amore, di palese strumentalità.
Per cui “viva Saviano” se al Viminale c’è Salvini, ma scompare anche dalle prime pagine
dei giornali se gli stessi valori che animano l’invettiva sono rivolti verso un gruppo dirigente
poco avvezzo a mettersi in discussione. E “viva le Sardine”, quando arrivano in soccorso
per vincere le elezioni – ricordate il percorso comune, la contaminazione, l’idem
sentire – poi però, quando diventano lo specchio rotto della propria coerenza, meglio girarsi
dell’altra parte.
Parlateci con le Sardine, lodate, stralodate, così educate, politicamente corrette, quando
facevano inziative buoniste - gli striscioni sui marciapiedi e le poesie nelle scuole - senza
disturbare il manovratore. Vi racconteranno che sono imbarazzate, arrabbiate, deluse, per
questo atteggiamento di partito guida che non guida, che, proprio in queste ore, chiede aiuto
quasi come un riflesso d’ordine di fronte al “pericolo della destra”, senza aver accolto una
sola istanza, un consiglio, un suggerimento.
Quel post vuole dire anche questo. Vuole dire: in questi mesi abbiamo risuscitato Bonaccini,
senza ricevere neanche un grazie, abbiamo fatto un tour in tutta Italia senza chiedere niente,
siamo partiti da casa Matteotti, poi passati per casa Pertini, con manifestazioni in tutte le
Regioni dove si va al voto, tranne la Campania dove il rischio sovranista non c’è perché “
c’è un sovrano” (copyright di Jasmine Cristallo). In questi mesi abbiamo chiesto un fronte
largo e, invece di trovare candidati per costruirlo, avete riconfermato tutti gli uscenti, non
tanto potabili neanche per i nostri. E ciononostante abbiamo fatto manifestazioni in Puglia
dove Emiliano nelle liste ha imbarcato mezzo centrodestra e anche il sindaco di Nardò che
non si offende a essere bollato come fascista. E sabato prossimo saremo in Toscana, a
Cascina, dove la Ceccardi da sindaco vinse con la caccia agli immigrati, ci andiamo per
darvi una mano perché il candidato vostro, lo dicono tutti, non tira, lo sanno anche i sassi,
fa fatica a riempire le sale e annoia anche in tv.
Insomma, non ci avete ascoltato su nulla, sul Parlamento, sull’immigrazione e ora, proprio
ora, ci chiedete aiuto senza ascoltare un sentimento che va nella parte opposta alla direzione
che avete intrapreso. Perché, per “non perdere” contro la destra, forse la prima cosa è “non
dividersi”, Emilia Romagna docet. Diciamolo, il problema è enorme, squadernato nella sua
drammaticità: il cuore pulsante di un partito di sinistra è un’idea di cambiamento, più o
meno moderato, più o meno radicale, ma cambiamento. Dire “qualunque cosa non cambia
nulla”, non per i prossimi tre mesi ma per i prossimi tre anni, è proprio il segno di una
mutazione genetica. È il Palazzo, scisso dalla realtà.
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