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Lo abbiamo detto e scritto tante volte, più è alto l'investimento e più sarà il danno che subirà la parte perdente, conseguentemente le parti saranno disposte a tutto pur di evitare di incassare una sconfitta. Questa logica non vale solo nel mondo degli affari ma un po' in tutte le relazioni umane, peraltro non solo quelle dei singoli ma anche in quelle tra organizzazioni. Questo concetto – alquanto basilare – assume particolare drammaticità quando si parla di stati in conflitto tra loro. Una volta superato il punto di non ritorno le élites che governano sono disposte a tutto pur di non perdere, perché la sconfitta significherebbe la loro fine, spesso – la storia insegna - anche dal punto di vista fisico.
Purtroppo anche il conflitto in Ucraina - ormai diventato un conflitto europeo contro la Russia - non sfugge a questa regola per la quale, più è alto l'investimento umano, economico, politico, tecnologico e militare più è pericolosa la sconfitta per le élites dominanti che hanno deciso il conflitto.
Per due anni e mezzo l'escalation è avvenuta a piccoli passi, soprattutto per l'Occidente: siamo partiti due anni fa con Blinken che illustrava ai mass media ucraini le virtù taumaturgiche delle armi individuali statunitensi quali il drone Switchblade e l'arma anticarro Javelin. Armi che si sono rivelate poco più che acqua fresca in un conflitto ad alta intensità come si è rivelato presto quello ucraino. E infatti ben presto gli auti militari occidentali all'Ucraina sono diventati ben più sostanziosi: dalle centinaia di mezzi corazzati a migliaia di mezzi blindati, alle decine di sistemi antiaerei sofisticatissimi di vario tipo, all'artiglieria anche di ultimissima generazione, fino ad arrivare alle decine di aerei F-16 e ai missili da crociera a lunga gittata come gli ATACMS americani, gli Storm Shadow inglesi e gli Scalp francesi e, presumibilmente italiani.
Nonostante tutto questo costosissimo impegno occidentale (ormai globalmente l'Occidente ha speso certamente centinaia di miliardi di dollari) l'Ucraina è arrivata al punto di rottura già dalla estate scorsa, anche a causa delle perdite umane sempre più difficili da sostituire con nuovi reclutamenti. L'Occidente Collettivo a questo punto è stato posto di fronte ad un bivio: o accettare la sconfitta che comporterebbe perdite militari, tecnologiche, diplomatiche ed economiche impossibili da calcolare oppure impegnarsi in maniera sostanzialmente diretta nel conflitto con la Russia.
Probabilmente già dall'estate scorsa la scelta fatta nelle “segrete stanze” era caduta sull'impegno diretto contro la Russia. Questo almeno da parte dei paesi che all'interno della Nato hanno un peso economico, militare e diplomatico più significativo come per esempio Francia e Gran Bretagna. Il problema era solo quello di riuscire a portarsi dietro i paesi più restii ad impegnarsi in un conflitto con la Russia come per esempio la Germania, l'Ungheria e la Slovacchia.
La prima proposta seria che avrebbe portato ad una entrata sostanziale della Nato nel conflitto con la Russia è stata l'idea di Macron di inviare un contingente militare europeo. Proposta questa, fatta più volte dal Presidente francese - a cavallo della primavera e dell'estate di quest'anno - ma che ha sempre ricevuta una forte levata di scudi dai paesi che non vorrebbero impegnarsi. Caduta la proposta di Parigi si è, sempre più, fatta largo la proposta proveniente da Londra, ovvero quella di consentire all'Ucraina di colpire il territorio russo, in profondità, con i missili forniti dall'occidente, fino ad allora usati solo per colpire obbiettivi nei territori ucraini occupati come la Crimea e il Donbass.
Una proposta che immediatamente ha generato grande allarme a Mosca, tanto da convincere Putin a fare una dichiarazione alla stampa su questo specifico punto. Secondo il leader russo l'uso di missili occidentali per colpire la Russia in profondità sarebbe stato da considerarsi come una diretta entrata in guerra dell'Occidente contro la Russia, questo perché questo genere di armi – nell'argomentazione dei russi – non possono essere usata senza personale specializzato e senza i dati satellitari provenienti dall'occidente. Pertanto nella stringente logica di Putin se il missile è occidentale, se il personale che lo ha utilizzato è occidentale e se il bersaglio è stato scelto con dati satellitari occidentali se ne deduce che l'occidente è direttamente in guerra contro la Russia.
Per un paio di mesi questa proposta britannica è rimasta nel limbo, non potendo Londra porla in essere da sola visto che i suoi Storm Shedow hanno componenti statunitensi per i quali è necessario avere il nulla osta di Washington; ma con l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca è immediatamente diventata la prima opzione dell'uscente amministrazione Biden.
Infatti, immediatamente voci incontrollate provenienti dai grandi network americani hanno dato come concessa questa autorizzazione all'Ucraina. Da sottolineare che nessun componente dell'amministrazione Biden su questa scelta ci ha messo la faccia. Ma ciò non ha significato molto nella pratica delle cose visto che immediatamente è arrivata la notizia che gli ATACMS statunitensi erano stati utilizzati per colpire un deposito di armi nell'oblast russo di Bryansk peraltro già colpito il mese scorso dagli ucraini e presumibilmente vuoto. Il giorno dopo – a sottolineare meglio il messaggio – una ondata di almeno 12 Storm Shadow britannici ha colpito il giardino e una dependance di un palazzo nobiliare situato nell'oblast di Kursk e da tempo adibito a sanatorio.
E' molto importante sottolineare la rilevanza operativa dei bersagli colpiti dagli occidentali: nessuna, zero. Ma se la rilevanza militare dei bersagli è nulla, il messaggio politico che l'Occidente ha mandato al Cremlino è della massima importanza: Washington e Londra non temono di superare le linee rosse russe e dunque Putin è caldamente invitato a sedersi al tavolo della pace quando il prossimo presidente USA lo convocherà e che, soprattutto, Mosca accetti le condizioni che gli verranno poste. Condizioni già filtrate e rese pubbliche dalla stampa americana e che prevedono (a) il congelamento del conflitto sulle attuali linee, (b) una smilitarizzazione del fronte con l'invio di truppe di interposizione europee, (c) il riarmo dell'esercito ucraino da parte occidentale e infine l'insignificante caramella per Mosca, (d) la promessa solenne (sic) di non entrata di Kiev nella Nato per i prossimi venti anni. Quest'ultima è una assoluta presa in giro, visto che se Kiev non entra nella Nato con l'invio delle forze di interposizione europee sarà comunque la Nato ad entrare in Ucraina. Questo è il sostanziale messaggio politico dell'utilizzo dei missili occidentali in territorio russo; la richiesta di resa con la promessa di un “imbellettamento” per far salvare la faccia a Putin.
Messaggio presumibilmente compreso e respinto da Mosca, che nel giro di 24 ore ha dato il via ad una risposta spettacolare. Prima Putin ha firmato e dunque promulgato la nuova dottrina nucleare russa che consente un first strike da parte di Mosca in determinate circostanze e successivamente è arrivata una seconda spettacolare risposta all'attacco russo, ovvero uno strike russo contro alcuni impianti situati nella città ucraina di Dnepropetrovsk utilizzando un nuovo sistema missilistico a medio raggio denominato Oreshnik. Si tratta di un missile in grado di volare a oltre 10 volte la velocità del suono e quindi rendendo impossibile la sua intercettazione con gli attuali missili antimissile occidentali. Come se non bastasse la sera stessa è stato lo stesso Putin, in un discorso alla nazione, a presentare questa nuova arma e a chiarire la nuova fase della guerra definita testualmente “conflitto globale”.
Anche la controreplica russa non è però riuscita a far desistere l'avversario occidentale che immediatamente dopo l'annuncio del nuovo missile ha dichiarato che comunque l'Occidente continuerà a sostenere l'Ucraina con le sue armi in sostanza non cedendo di un millimetro.
Infine va aggiunta una notizia taciuta da i media ma di prioritaria importanza: il Pentagono ha annunciato la revisione della sua dottrina nucleare. Come è evidente siamo di fronte ad una chiara strategia di escalation da entrambe le parti; ognuna delle quali ha l'intento di far desistere l'altro e di prendersi tutto il resto. Una strategia ben nota con il nome di escalate to de-escalate o anche Mad Dog Strategy. Siamo probabilmente affrontando la fase storica più pericolosa dalla fine della seconda guerra mondiale, dove ogni errore e fraintendimento potrebbe portare a un disastro.
joe biden mad dog
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