Dopo aver sciolto il governo per avviare un processo che porterà ad elezioni anticipate, il cancelliere tedesco Olaf Scholz sembra sollevato, un po’ com’è accaduto a Biden dopo la vittoria di Trump. Probabile che non aspettasse altro, dal momento che solo un cambio di passo in Ucraina, cioè la fine del drenaggio delle risorse tedesche verso il conflitto, può impedire alla Germania di scivolare ancora di più verso la de-industrializzazione, di cui è simbolo la chiusura di alcuni stabilimenti della Wolkswagen.
La chiamata di Scholz
Così, la nuova iniziativa dirompente: dopo aver chiamato Trump, in una conversazione nella quale si è fatto spiegare cosa intende fare in merito all’Ucraina, ha chiamato Putin, rompendo il muro di silenzio che finora ha impedito ai leader occidentali di interloquire con i russi.
Nel riferire la telefonata con Trump, Scholz ha detto che la posizione del nuovo presidente americano gli è apparsa “sfumata“, cioè meno assertiva delle sue dichiarazioni pubbliche, ma non poteva essere altrimenti, dal momento che il processo che porterà a chiudere il conflitto deve ancora aprirsi.
Né è da escludersi che da qui all’insediamento di Trump – prima del quale la guerra continuerà a fare il suo corso, nulla importando che mieterà altre vite, sacrificate per nulla – si registrino sorprese. I sostenitori della guerra a oltranza non si daranno per vinti facilmente. Lo dimostra, tra le altre cose, la stolida rigidità del nefasto Segretario di Sato Usa Tony Blinken, il quale ha assicurato che l’America continuerà a inviare aiuti a Kiev, “per garantire che abbia la possibilità di combattere efficacemente l’anno prossimo o negoziare la pace con la Russia da una posizione di forza” (Reuters).
Parole che stridono con quel che accade al fronte, dove le forze ucraine sono costrette a indietreggiare sempre più nella regione Kursk e con il fronte del Donbass che vede villaggi e cittadine controllate da Kiev cadere giorno dopo giorno in mano ai russi (ieri l’esercito ucraino ha annunciato le sue forze stanno per essere accerchiate a Kurakhovo).
Insomma, più l’Occidente sostiene l’Ucraina, cioè più la guerra continua, e più i russi avanzano, macinando le forze ucraine. Nessuna inversione di tendenza all’orizzonte, anzi l’orizzonte, dopo la vittoria di Trump, vede profilarsi un accordo con i russi.
L’opzione più ragionevole, che risparmierebbe vite e consentirebbe di evitare che i russi avanzino ulteriormente, sarebbe quella di avviare subito i negoziati, congelando al più presto il fronte e ritirando le forze da Kursk (la Russia ha fatto sapere che non negozierà finché ci saranno soldati ucraini nel suo territorio).
Ma se si ferma la macchina della guerra i tanti che hanno lucrato e stanno lucrando grazie a essa cesseranno di incassare dividendi, politici ed economici, da cui la rigidità conseguente.
Tra i corifei della lotta continua va segnalato il solito Boris Johnson, che ha criticato la chiamata di Scholz a Putin. Quel Johnson a cui si deve l’intromissione indebita nei negoziati russo-ucraini del 2022, la cui riuscita, quasi raggiunta, avrebbe consentito a Kiev di conservare la sua integrità territoriale e tante vite. Allora Johnson, a nome dei neocon, costrinse Kiev a rinunciare all’intesa.
Né poteva mancare la solita Annalena Baerbok, il ministro degli Esteri tedesco consegnato al verbo neocon. Determinazione bizzarra la sua, anche perché, da leader dei Verdi, dovrebbe interessarsi a tematiche meno sanguinarie, tant’è. Si spera che le future elezioni tedesche liberino il mondo da questa incendiaria.
Il niet della Germania alle guerre infinite
Al di là delle scontate reazioni all’iniziativa di Scholz, resta che la sua conversazione con Putin ha una portata dirompente. Nei piani dei costruttori di guerra, infatti, il conflitto ucraino avrebbe dovuto vedere, col tempo, un passaggio di consegne.
Per liberare gli Stati Uniti dall’incomodo e consentirgli di usare tutto il loro potenziale contro la Cina, l’Europa avrebbe dovuto alimentare in solitaria il conflitto ucraino per giungere a confrontarsi direttamente con la Russia in una guerra europea di grande scala. Scholz, a nome dell’Europa, ha detto no a tale nefasta prospettiva. Può farlo grazie alla vittoria di Trump, ovviamente, altrimenti avrebbe dovuto rassegnarsi.
Di interesse anche un altro particolare riguardo al conflitto. La Corea del Sud, che aveva minacciato di inviare armi all’Ucraina dopo l’arrivo delle truppe nordcoreane in Russia, sembra ci stia ripensando.
Ne scrive il Kyiv Post, spiegando che il ripensamento è dovuto alla propensione del nuovo presidente Usa verso i negoziati. Si tratta di quel che un tempo veniva definito come “contrordine compagni”. La determinazione di Seul, infatti, non nasceva certo da un pericolo percepito per la propria sovranità, dal momento che l’ingaggio della Corea del Nord in Russia non pone minacce a tale riguardo.
Era un semplice escamotage del partito della guerra per alimentare il conflitto, con la Corea del Sud costretta a obbedire a comando. Cambiando il padrone, Seul può riposizionarsi senza dover temere ritorsioni e senza sfidare la Russia, che non avrebbe certo accolto con garbo il suo intervento.
Detto questo, è improbabile che il conflitto vada a chiudersi in tutta fretta a gennaio. Tanti i possibili colpi di coda e tanti gli ostacoli che verranno frapposti dai fautori delle guerre infinite, che peraltro possono ancora contare sul fido Zelensky, il quale è terrorizzato dalla fine delle ostilità, che consentirebbe al mondo, diradate le nebbie di guerra, di osservare più da vicino la sua gestione del potere e alle opposizioni interne di eliminarlo dalla scena politica. Forse gli servirà un salvacondotto.
Ps. Dopo la vittoria di Trump sono arrivati i risultati ufficiali delle elezioni georgiane: ha vinto Sogno Georgiano. Cambiato il vento, la rivoluzione colorata sembra fallita (vedi Piccolenote).
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