giovedì 23 ottobre 2025

Marco Tosatti - La Finta Tregua, 100 Palestinesi Uccisi. Nuova Vergogna Giornalistica in TV.

 


Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione alcuni elementi di valutazione – fa i tanti – su quanto sta accadendo in Medio Oriente. Dove non c’è solo Gaza. In Cisgiordania sono pane quotidiano le violenze dei “coloni” contro i nativi palestinesi, appaggiate e aiutate dall’esercito israeliano. Ma di questo i media non si occupano…chissà perché. Buona lettura e diffusione.

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Il primo è questo articolo di Infosannio, che documenta una volt di più lo stato vergognoso di certi esponenti del giornalismo italiano, ormai oltre il pudore. Ci si chiede perché continuino a essere invitati nei talk show. Provate a darvi una risposta…-

L’insulto di Paolo Mieli a Souzan Fatayer, candidata di Avs: “Una palestinese in leggerissimo sovrappeso che esalta Hamas”

Di infosannio 

“Disordini” a Gaza, “piazze deserte” in Spagna e Souzan Fatayer derisa: le parole sconcertanti di Mieli su Radio24

(ilfattoquotidiano.it) – Una sventolata ironia che, in realtà, si trasforma in scherno: è quanto emerso dalle dichiarazioni di Paolo Mieli, pronunciate stamattina durante la trasmissione 24 Mattino, su Radio24. Le sue parole, che hanno toccato la crisi a Gaza, le proteste in Spagna e la figura di Souzan Fatayer, candidata di Alleanza Verdi e Sinistra in Campania, hanno suscitato contrarietà e indignazione tra gli ascoltatori e gli utenti di X.

Mieli ha aperto il suo intervento minimizzando le recenti violenze a Gaza, definite inizialmente come semplici “disordini”, per poi insinuare che i media italiani esprimano una sorta di “nostalgia” per la catastrofe umanitaria precedente al cessate il fuoco del 10 ottobre 2025. “Vedo che i giornali internazionali non danno il peso che danno i giornali italiani – ha esordito il giornalista – È come se esprimessero una certa nostalgia per com’era la situazione fino a dieci giorni fa“.
Questa affermazione è fuorviante. Fonti internazionali come The New York TimesReuters, Al Jazeera e The Guardian continuano a dedicare ampia copertura al conflitto, evidenziando la fragilità del cessate il fuoco. Il 19 ottobre, raid israeliani nel sud e nel centro di Gaza hanno causato la morte di 33 palestinesi, mentre Hamas ha denunciato il mancato ripristino degli aiuti umanitari attraverso il valico di Rafah. Lungi dall’essere “nostalgici”, quindi, molti media italiani e internazionali riflettono una realtà tragica e irrisolta.

Ancora più sconcertante è la descrizione di Mieli delle mobilitazioni pro-Palestina del 19 ottobre in Spagna, definite come “deserte” nonostante la partecipazione di “150 sigle” e “personaggi illustri”.Secondo l’editorialista del Corriere della Sera, la scarsa affluenza sarebbe dovuta a un “cambiamento oggettivo” della situazione. I fatti smentiscono categoricamente questa narrazione. La giornata di azione nazionale, promossa da sindacati e federazioni studentesche, ha visto decine di migliaia di manifestanti scendere in piazza in oltre 40 città spagnole, da Madrid a Barcellona, da Valencia a Bilbao. A Barcellona, tra 15mila e 40mila persone hanno bloccato La Rambla, con scontri marginali che hanno portato a 15 arresti. A Madrid, circa 15mila manifestanti hanno marciato da Atocha a Puerta del Sol, mentre a Pamplona si contano 10mila partecipanti. Le proteste, accompagnate da scioperi scolastici con adesioni fino all’80%, hanno denunciato la complicità del governo spagnolo (PSOE-Sumar) nell’export di armi a Israele e il persistere dell’embargo umanitario.

Il punto più basso dell’intervento di Mieli, che qui ha oltrepassato la parodia di Crozza, è stato il commento su Souzan Fatayer, candidata di Avs al Consiglio Regionale della Campania per le elezioni del 23-24 novembre 2025. Definendola “la palestinese napulitana che esalta Hamas” e “una signora in leggerissimo sovrappeso”, Mieli ha legato il suo aspetto fisico alla campagna contro fame e carestia, aggiungendo: “Non è un giudizio estetico, ma suscita ironie.” Il conduttore Simone Spetia ha tentato di riportare la discussione su toni civili, ma Mieli ha insistito, aggravando l’offesa.

Souzan Fatayer, nata a Nablus, in Cisgiordania, nel 1965 e residente a Napoli da quasi 40 anni, è una figura di spicco: traduttrice, interprete, docente di lingua araba all’Università “L’Orientale” di Napoli e attivista per i diritti umani. Il suo impegno spazia dalla mediazione culturale negli ospedali alla difesa della causa palestinese, per cui è stata insignita del riconoscimento “Donna per la Pace” nel 2003 e 2005.

Peppe De Cristofaro, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra, presidente del gruppo Misto a Palazzo Madama, in una nota giudica “vergognose” le parole usate dal giornalista. “Forse un modo subdolo per dire che non è vero che a Gaza Israele ha utilizzato la fame come strumento di guerra? Sono parole vergognose che non ci sorprendono, perché Mieli è lo stesso che ha negato il genocidio. Ed è la dimostrazione concreta di come purtroppo il nostro paese sia tra gli ultimi per libertà di stampa”. Sullo stessa linea la reazione della Cgil. “Sconfinare sulle offese personali e utilizzando il bodyshaming per sostenere la tesi che i palestinesi non muoiano di fame è semplicemente inaccettabile e vergognoso” è il commento della Cgil di Napoli e Campania. “Alla compagna Souzan – conclude la nota – esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza, certi che queste offese non potranno che rafforzare il suo impegno e quello di tutta la comunità palestinese in Campania nella lotta per denunciare il genocidio messo perpetrato dallo Stato di Israele”.

 

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Poi c’è questo post su Instagram:

Poi c’è questo post su Instagram:

 

l cessate il fuoco è entrato in vigore da ormai dieci giorni, ma i bombardamenti e le aggressioni israeliane nella Striscia di Gaza non si sono mai fermati. Nella sola giornata di domenica sono state sganciate 153 tonnellate di bombe e uccisi «molti terroristi»: lo ha riferito lo stesso premier israeliano Benjamin Netanyahu, nel corso di una riunione della Knesset. Supera così il centinaio il numero di civili uccisi dallo scorso 10 ottobre nella Striscia di Gaza, in quelle che ormai sono sistematiche violazioni del cessate il fuoco da parte di Tel Aviv. Solamente nella mattinata di oggi, riportano i media palestinesi, l’esercito ha bombardato la zona est dell’enclave e aperto il fuoco su alcune persone che stavano facendo ritorno nelle proprie case. Anche gli aiuti umanitari sono tornati a diminuire, dopo che Israele ha interdetto il transito per alcune ore in alcuni dei valichi di accesso alla Striscia. Nel frattempo, il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance si trova in visita in Israele per discutere del cessate il fuoco, insieme all’inviato speciale per il Medioriente Steve Witkoff e a Jared Kushner, genero e consigliere di Trump.

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E anche questo post su Instagram:

 

 

Il documentario-inchiesta di Al Jazeera Arabic, “What’s Hidden is Greater”, ha identificato i soldati e gli ufficiali israeliani coinvolti direttamente nell’uccisione di Hind Rajab, bambina di solo sei anni, della sua famiglia e dell’equipaggio dell’ambulanza accorsa in loro aiuto, a Tel al-Hawa, Gaza City.

La tragedia risale al 29 gennaio 2024, quando Hind, intrappolata in un’auto insieme ai corpi senza vita dei suoi familiari, telefonò alla Mezzaluna Rossa Palestinese chiedendo soccorso. Nonostante i tentativi di mediazione, un carro armato israeliano aprì il fuoco sul veicolo, colpendola con 355 proiettili.

Il rapporto cita gli ufficiali della 401ª Brigata Corazzata israeliana, tra cui il tenente colonnello Daniel Ela e il maggiore Sean Glass, accusati di aver ordinato il fuoco del carro armato contro l’auto della famiglia Rajab.

Secondo Al Jazeera Arabic, il maggiore Sean Glass, appartenente al 52º battaglione della stessa brigata e comandante della compagnia di carri armati chiamata “Impero dei Vampiri”, sarebbe stato l’ufficiale che diede l’ordine di colpire il veicolo dall’interno di un carro armato.

L’unità “Impero dei Vampiri” è descritta come composta anche da truppe straniere con doppia nazionalità: tra i membri identificati figura Itay Shukirkov, di origine argentina-israeliana che ora sta affrontando una denuncia legale in Argentina.

Le analisi condotte da Forensic Architecture e le immagini satellitari hanno confermato che 355 colpi furono esplosi da distanza ravvicinata contro l’auto della bambina.

La Fondazione Hind Rajab, con sede a Bruxelles, ha presentato denunce per crimini di guerra alla Corte penale internazionale e a diversi tribunali nazionali, definendo i risultati dell’inchiesta “una prova della responsabilità di comando in un massacro di civili”.

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Bendati e con le mani legate: le torture sui corpi palestinesi

Di infosannio 

All’ospedale di Khan Younis giungono le salme dei gazawi consegnate da Israele in cambio degli ostaggi morti. “Hanno ferite, funi al collo e lacci”, denunciano i medici legali. I cadaveri sono conservati nei camion dei gelati, solo pochi vengono riconosciuti dai famigliari.

(Fabio Tonacci e Sami Abu Salem (Khan Younis) – repubblica.it) – All’ospedale Nasser danno i cadaveri in televisione. Le immagini si soffermano sui dettagli, le dentature, le mani cristallizzate nella posizione innaturale di chi le aveva legate dietro la schiena, i volti anneriti e incrostati di sangue, alcuni con una corda al collo, altri bendati, i brandelli di vestiti, la biancheria, per i pochi che ce l’hanno ancora addosso: qualsiasi particolare che possa permettere agli spettatori, ammassati nel padiglione accanto di questo obitorio improvvisato fatto di tende assalite dalle mosche e di camion dei gelati usati come celle frigo, di riconoscere fratelli, padri, figli, cugini, amici.

Lo schermo, appeso in alto a un tubo di sostegno del padiglione, trasmette a ripetizione pezzi dei loro defunti. La telecamera indugia, senza fretta. Il silenzio attonito ogni tanto si fa brusio, gli uomini stanno in piedi con le braccia conserte e lo sguardo serio, protesi verso il monitor, le donne sono sedute, ma quando pensano di aver intravisto qualcosa, un particolare, un ricordo, perdono la compostezza. L’attesa, una lotteria.

Centocinquantatre salme palestinesi sono state portate all’ospedale Nasser in cambio dei resti dei 12 ostaggi deceduti nelle mani di Hamas, durante la prigionia nella Striscia di Gaza. Centocinquantatre sacchi di plastica bianchi consegnati finora dagli operatori del Comitato internazionale della Croce Rossa. Israele non ha detto quasi niente della identità dei corpi che esse contengono, solo che fanno parte del gruppo di «360 terroristi gazawi» che il governo ha accettato di scambiare pur di riavere tutte le spoglie degli ostaggi.

Su ogni sacca c’è un cartellino con la data di arrivo a Khan Younis e un codice alfanumerico. Su molti cartellini le iniziali S.T., che secondo i medici indicano la provenienza: S.T. come Sde Teiman, la base militare israeliana nel deserto del Negev riconvertita, nel dicembre 2023, a campo di detenzione. L’ «Abu Ghraib israeliana», come l’hanno ribattezzata gli attivisti dei diritti umani che denunciano le violenze e gli abusi subiti dai gazawi arrestati durante la guerra e lì rinchiusi in base alla legge marziale israeliana dei combattenti illegali, che permette la cattura senza processo e senza l’ostensione delle prove. «La prigione dell’orrore», come la ricorda chi ne è uscito.

Per mesi e mesi i palestinesi uccisi sono stati conservati dall’esercito dello Stato ebraico, che già sapeva che prima o poi sarebbero tornati utili. La maggior parte dei cadaveri è stata tenuta nelle celle frigorifere, e infatti sono abbastanza integri, alcuni invece sono in decomposizione, probabilmente esumati da poco, come dimostra la sabbia nella bocca e sui vestiti. Addosso portano le tracce del racconto delle loro ultimo capitolo.

«Ce ne sono di ammanettati, di bendati, qualcuno aveva le mani e i piedi legati con delle fascette di plastica, altri una fune attorno al collo», dichiara a Repubblica Ahmed Dhair, direttore della Medicina forense all’ospedale Nasser. È il primario che riceve, dal suo team di sanitari, le analisi di ciascun cadavere. «Per ora sono solo ispezioni esterne, non facciamo le autopsie». Nei giorni precedenti era circolata la notizia dell’esistenza di salme con del cotone al posto degli organi. Non è confermata, ma la voce, nei reparti del Nasser, continua a girare.

Fino a sabato le famiglie accorse al Nasser, senza sapere chi ci fosse in quelle sacche ma tutte con un disperso da ritrovare, avevano identificato appena dieci corpi. «Non abbiamo le strumentazioni adatte a facilitare il riconoscimento», spiega Dhair. «I laboratori per la comparazione del dna non esistono più». Non si sa esattamente chi siano, se sono tutti miliziani di Hamas che hanno partecipato al pogrom del 7 Ottobre e poi al conflitto, come sostengono le autorità israeliane, o se tra essi ci sono civili di Gaza colpiti dalle bombe, o anche qualcuno morto mentre era in stato di detenzione a Sde Teiman. «Solo su sei sacche abbiamo trovato un cartellino con l’indicazione del nome, e abbiamo pure scoperto che due nominativi erano sbagliati», dice il capo della medicina forense del Nasser. I cadaveri sono nudi, ma non tutti: ce ne sono diversi che hanno addosso abiti civili che si sono attaccati alla pelle e i medici non possono rimuoverli.

Quindi si va a occhio, a tentativi, frugando nei sacchi bianchi per trovare i dettagli.

Cadavere numero “H6nmc, 15/10/2025”, appena estratto dal camion dei gelati, usato dagli operatori dell’obitorio come deposito temporaneo. «Non abbiamo altro spazio, del resto, le celle frigorifere dell’ospedale sono già piene». La sacca è aperta, affiora la testa di un uomo congelato, rigido come un pezzo di legno. Il tanfo della decomposizione attira le mosche e allontana i curiosi. I medici si proteggono con le mascherine per il Covid.

Ci sono sette sacche su sette brande, e Nada Zoghra, venuta da Gaza City, è china su quella col cartellino “H6nmc”, trasferita al Nasser il 15 ottobre. Sta cercando suo padre Mohammed, sparito due anni fa. Attorno al cadavere ci sono Nada e sua madre, le due donne si concentrano sulla faccia che è una maschera nera senza più connotati, toccano il collo della statua contorta, parlano tra loro sottovoce. La mamma collassa a terra, è proprio suo marito Mohammed. Nada l’aveva già capito da un po’ e piangeva in silenzio. «Mio padre era solo un autista, e ora non sappiamo niente, né dove, né quando, né come è stato ucciso hanno ucciso. Ci vuole del sadismo per non fornire informazioni così importanti a una famiglia in lutto».

Nella tenda del riconoscimento si aggirano anche dei ragazzi. Akram Awad sta cercando i suoi due fratelli. «Li hanno rapiti i soldati israeliani nel 2024 a Jabalia», dice. Altri ragazzi sono meno loquaci, più sospettosi, con lo sguardo basso. «Sono qui per mio fratello», fa uno. «Ma come si chiama non ve lo dico».

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C’è poi questo post su Instagram:

 

Mu’ath Abu Rukbeh — Il guaritore di Gaza

Non era un soldato, era un guaritore.
Il Dr. Mu’ath Abu Rukbeh, l’ultimo veterinario di Gaza, è stato ucciso in un attacco aereo israeliano mentre salvava animali feriti e si prendeva cura dei senza voce sotto assedio.

Senza medicine, senza elettricità e senza sicurezza, ha continuato a lavorare per pura compassione e coraggio.
Con mani stanche ma cuore fermo, curava cani, gatti, asini e cavalli, sapendo che ogni vita — anche la più fragile — aveva un valore sacro.

Era il volto gentile della resistenza: un uomo che guariva in un mondo che distruggeva.
Per lui la cura era un atto di fede, un modo per ricordare che anche nella rovina può fiorire la pietà.

Condividiamo la sua storia affinché il mondo conosca il suo nome,
e non dimentichi mai la sua gentilezza,
il suo coraggio silenzioso,
la sua umanità in mezzo all’oscurità.

 


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