PS: Se non erro, il governo... italia...non di tutti li italiani... ha firmato per la pace. Ora cosa fa per quanto viene scritto e mostrato anche tramite foto?...grazie! U. M.
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PS: Marco Tosatti
Carissimi StilumCuriali, offriamo alla vostra attenzione alcuni elementi di valutazione su quanto sta accadendo in Medio Oriente. Buona lettura e diffusione.
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C’è questo post di Voce Ebraica per la Pace:
NELLE ULTIME 24 ORE:
Israele ha bombardato un autobus pieno di bambini a Gaza, uccidendone sei.
Israele ha ucciso tre donne nel quartiere al-Zaytoun della città di Gaza.
Israele ha ucciso un bambino di 11 anni in Cisgiordania.
I coloni israeliani hanno compiuto 11 attacchi per occupare case palestinesi, ferendo cinque palestinesi.
Israele ha bombardato il Libano 14 volte….
Nomi e età dei bambini uccisi nell’autobus dopo l’attacco israeliano:
Mohammad Abu Shaaban, 5 anni
Ibrahim Ihab Abu Shaaban, 6 anni
Anas Sufian Shaaban, 8 anni
Karam Sufian Shaaban, 10 anni
Jumana Ihab Shaaban, 10 anni
Nasma Sufian Shaaban, 12 anni
Nasser Ihab Abu Shaaban, 13 anni
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Sullo stesso tema c’è questo post di Inside Over:

La Difesa Civile di Gaza ha riferito che undici palestinesi, tra cui sette bambini, sono stati uccisi venerdì 17 ottobre quando un carro armato israeliano ha aperto il fuoco su un veicolo civile nel quartiere di Zeitoun, a sud-est di Gaza City, nonostante l’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, il 10 ottobre.
Secondo quanto riportato, le persone a bordo del minibus stavano tornando a casa dopo essere state sfollate più volte.
Nell’auto erano presenti Ehab Mohammed Nasser Abu Shaaban e sua moglie Randa Majed Mohammed, insieme ai loro quattro figli: Nasser (13), Jumana (10), Ibrahim (6) e Mohammed (5).
Con loro viaggiavano anche Sufyan Shaban e sua moglie Samar Mohammed Nasser, insieme ai loro tre figli: Nesma (12), Karam (10) e Anas (8).
Nessuno è sopravvissuto.
Il portavoce della Protezione civile Mahmoud Basal ha dichiarato che le forze israeliane hanno colpito il veicolo su cui viaggiavano dopo che avevano superato la “linea gialla”, oltre la quale l’esercito si è ritirato in base ai termini del cessate il fuoco.
“Avrebbero potuto essere avvertiti o trattati in un modo che non li avrebbe portati alla morte, ma quanto accaduto conferma che l’occupazione rimane sanguinaria e determinata a commettere crimini contro civili innocenti”, ha affermato Basal.
Solo tre giorni prima, il 14 ottobre, altri cinque palestinesi erano stati uccisi da droni israeliani, sempre accusati di aver oltrepassato la linea gialla.
Con questo nuovo attacco, il numero delle vittime palestinesi dall’inizio del cessate il fuoco sale a 28.
#gazagenoci̇de #gazacease #israel #idf
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Poi ci sono due post che riguardano i corpi dei palestinesi rapiti e uccisi da Israele. Non mi sembra di aver visto una grande copertura mediatica, su questo da parte dei giornali di regime. Pensate se i corpi degli ostaggi israeliani fossero stati restituiti in questo modo.

Questi sono i corpi dei palestinesi che sono stati rapiti da Israele da Gaza e restituiti oggi come parte dell’accordo di pace.

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Poi c’è questo commento di Francesco Agnoli, su Facebook:
HAMAS è UN’IDEA
Così, giustamente, Dario Fabbri. E’ l’ennesima volta in cui sentiamo che Hamas -per anni nutrita dai servizi israeliani e poi sfuggita al controllo- verrà sradicata. Già nel 2008 l’operazione Piombo fuso doveva distruggere Hamas definitivamente. Ci furono almeno 1400 morti palestinesi, scuole e ospedali distrutti senza motivo, si cercò di portare la popolazione alla fame già allora. Ma Hamas ha resistito. Anzi, ha prosperato ancora di più. Anche oggi sentiamo dire nello stesso tempo che Isreale ha ucciso 25000, 75000 mila miliziani, cifre buttate lì, per giustificare quantomeno la strage di civili, e poi che Hamas è più viva che mai. Ovvio. Ogni miliziano che muore ne nascono altri 3. Non è difficile da capire. L’Islam c’entra ben poco. Se chiudi un popolo in prigione, ammazzi, ammazzi ammazzi (espressione usata da Trump e riferita a Netanyahu), generi solo disperazione, risentimento, revanschismo, odio. E’ quello che è successo con i bombardamenti del Libano nel 1982; così è nata l’Isis dopo le bombe sull’Iraq e la destabilizzazione della Siria. Così è sempre successo: i movimenti partigiani sono nati dovunque in Europa dopo le occupazioni naziste e comuniste. Hanno compiuto orrori? Non sempre, ma talora sì. Ma è certo che i movimenti partigiani non sarebbero nati senza le rappresaglie continue, gli arruolamenti forzati, la fame e la guerra. L’odio crea odio e il sangue chiama sangue. Anche la seconda guerra mondiale altro non è che la figlia della prima: l’odio e la morte di milioni di persone nella Grande Guerra destabilizzarono l’Europa, che arrivò a partorire nazismo e comunismo, lager e gulag (altro che Hamas!).
Per questo la Chiesa cattolica, che in Terra Santa è presente, con tutti i papi, i patriarchi, i custodi, ha sempre detto una cosa molto chiara (che poi la gran parte dei cattolici siano i primi a non ascoltare, tutti presi dalle beghe partitiche locali, è un altro discorso): o si risolve la questione palestinese, o si dà ad un popolo quella terra che gli è stata tolta, o non si risolverà mai nulla. Nell’incontro tra Golda Meir e Paolo VI, quest’ultimo, decenni orsono, le ricordò: voi siete occupanti, avete la responsabilità di quanto accaduto. Avete l’obbligo di rimediare a ciò che voi avete causato. Allora tutti sapevano che la Palestina era stata sottratta con le armi sovietiche e i soldi americani ai suoi legittimi abitanti, e che questi, dopo gli atti di terrorismo di Begin e la strage di Der Yassin, da parte dei sionisti, erano fuggiti in massa nei campi profughi. Per questo la Santa Sede non riconosceva Isreale.
Per tornare all’esempio della grande guerra, anche in quel caso la Chiesa aveva saggiamento invitato a sfuggire l'”inutile strage” e a non credere che l’Europoa avrebbe risolto, in quel modo, i suoi problemi. Dopo quella guerra, lo stesso Benedetto XV (che aveva accolto molto male la dichiarazione Balfour sulla Palestina), intervenne di nuovo, invitando le potenze vincitrici a non umiliare la Germania, perchè questo avrebbe portato a nuove guerre. Fu infatti la stoltezza dei paesi vincitori, e il loro pugno di ferro contro la Germania, a facilitare l’ascesa al potere di quell’anticristo di Adolf Hitler (senza i 7/8 milioni di disoccupati i tedeschi non avrebbero votato in massa partito nazista e, al secondo posto, partito comunista; chi non capisce che aver ridotto Gaza alla fame, senza scuola, lavoro, libertà di movimento, controllo del mare e dell’aria ecc. ha avuto un effetto analogo? )
E qui il cerchio si chiude: Hamas potrà anche essere un gruppo di assassini, ma credere di risolvere il problema lanciando maledizioni su Hamas o bombardando migliaia e migliaia di civili è, oltre che da criminali-terroristi- in divisa, da deficienti.
Hamas è una idea, se volete Hamas è un cancro: ma ciò che ha causato questo cancro è il sionismo violento dei Beghin, dei Netanahayu e non solo.
Sionismo messianico e millenarista che ha deciso di abbattere, in questi giorni, anche le case dei beduini del Negev e che vuole annientare piano piano, secondo le dichiarazioni di Gvir e Smotrich, anche gli “uomini della croce” che adorano “30 dei e non uno solo” (dichiarazione di Smotrich, in riferimento alla Trinità).
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E infine questo articolo di Lavinia Marchetti, sempre su Facebook:
STORIE DI OSTAGGI PALESTINESI. SHADI ABU SIDO. REPORTER. 18 MESI NELLE CARCERI ISRAELIANE. “SCOMPARIRE IN UN ABISSO BUIO”.

di Lavinia Marchetti
Khan Younis, 13 ottobre 2025. Dal video BBC si può vedere un pullman che scarica uomini smagriti, braccia alzate, sguardi che faticano a tenere la luce. Sembrano usciti da un campo di concentramento, da un gulag, stesse facce smarrite, incredule, sguardo vuoto di chi pensava che sarebbe senz’altro morto. Tra loro c’è Shadi Abu Sido, fotogiornalista trentacinquenne. Lo catturarono e rapirono il 18 marzo 2024 durante il raid all’Al Shifa. Indossava il gilet stampa. L’accusa rientrava nella legge sugli “unlawful combatants”, formula che consente la detenzione senza alcun processo (rapimento appunto). Le agenzie parlano di migliaia di arresti con questa base giuridica a partire dal 7 ottobre. Reuters e Washington Post collocano l’uscita di Shadi tra i circa duemila detenuti liberati nel pacchetto di ottobre. ABC news documenta e intervista il ragazzo.
«Scomparire in un abisso buio». Così definisce i diciotto mesi passati tra strutture diverse di detenzione israeliana. Ai giornalisti che lo intervistano al rientro racconta con frasi precise, intanto le violenze verbali e gli abusi psicologici: «Ho ucciso la tua famiglia. Ho ucciso i tuoi figli. Ho ucciso tua moglie». Le parole che una guardia gli ripeteva. Dentro quel perimetro Shadi smette di credere in un ritorno. Smette persino di desiderarlo. «Ho iniziato a supplicare la morte».
La scena successiva avviene sulla banchina del pullman, a Gaza. Il video documenta le famiglie che abbracciano i propri cari che fanno ritorno dall’inferno. Shadi resta immobile, poi scorge i figli. Rakan, quattro anni. Rifan, tre. «Stordito. Scioccato nel vederli vivi». L’ABC australiana registra immagini e frasi. La cronaca coincide con un coro di testimonianze raccolte nei giorni dello scambio: solite cose che avvengono dal 1948 in quei centri di tortura coloniale chiamati carceri: detenzione senza capi di imputazione per i gazawi, abusi fisici e psicologici riferiti da centinaia di rilasciati. L’IDF replica che maltrattamenti sistematici risultano “rigorosamente proibiti” e afferma che i detenuti ricevono pasti regolari… si vede dal peso, e Sechi conferma.
I racconti di Shadi hanno una caratteristica ricorrente che troviamo in tutte le carceri coloniali del mondo: il corpo ferito e umiliato. «Punture alle caviglie», «nessuna parte risparmiata», «allucinazioni diffuse nel reparto». L’uso dei cani ritorna in dozzine di denunce: morsi, percosse, violenze sessuali. Il modello Abu Graib su vasta scala. Euro-Med Human Rights Monitor documenta impieghi continuative di unità cinofile sia nelle operazioni a Gaza sia nelle strutture di detenzione. Un’inchiesta del Guardian con ARIJ ricostruisce catene di fornitura europee di cani militari verso Israele e referta casi con minori e anziani feriti. Su questo punto le forze armate israeliane negano la presenza di sezioni con cani in coabitazione con i detenuti e rigettano l’idea di abusi sistematici. Le foto che vi allego dicono altro.
La liberazione di ottobre ci fornisce una visione doppia: Abbracci e pianti nei cortili di Gaza e della Cisgiordania. Ansia e lutto per chi rientra e trova macerie, parenti e amici morti, case svuotate e distrutte. Non dimentichiamo, peraltro, chi è ancora in carcere. Tutte le cronache riportano anche sanitari tra i rilasciati, mentre altri sanitari e reporter restano in carcere senza alcuna accusa formale. Ad esempio L’Associated Press segnala il caso di Hossam Abu Safiya, direttore del Kamal Adwan, ancora detenuto.
Resta Shadi, le sue parole e gli occhi che dicono molto di più delle parole. «Cimitero dei vivi», dice del carcere. Sulla porta di casa, la moglie gli mostra foto sul telefono, i bambini gli salgono in grembo. La città intorno è completamente distrutta. Il mestiere impone di testimoniare anche quando il corpo ce la fa appena e si lascia intervistare, testimonia. La prova dell’esistenza vince per qualche istante su leggi eccezionali, raid, e categorie amministrative.
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