domenica 15 novembre 2020

Alessandro De Angelis x Huffingtonpost - ....Stati generali del Movimento Cinque Stelle!... Separati dalla realtà, Regole...eccc. ecc...


Regole, mandati, polemiche sulle scalette degli interventi e sui votanti che l’hanno votate tenuti nascosti, direttori, giochi correntizi: è questa la fotografia del primo partito di governo, nel pieno di una pandemia che sta stravolgendo il mondo e l’Italia.


By Alessandro De Angelis

Attorno alle 17,00 il cronista annota sul taccuino l’intervento di Alessandro

 Di Battista, scamiciato, vitale, sempre poco ingessato. Ti aspetti un po’ di 

fuoco. E invece la frase più forte è sulla richiesta di un “comitato di garanzia” 

per le nomine di governo che non comprenda membri di governo, più le 

condizioni per il suo ritorno in campo. Alle 17,05 (gli interventi non durano

 più di cinque minuti), il membro del governo per eccellenza, Luigi Di Maio, 

che prima era già stato in televisione – dettaglio che dice tutto sul peso 

politico che attribuiva alla riunione del suo partito - dicevamo, Luigi Di Maio, 

ancora senza cravatta, promette, un evergreen, che il Movimento si “farà 

sentire di più nel governo” e vola piuttosto alto, con una certa vaghezza sul

 tema delle alleanze. Sono i due interventi clou, preceduti da amene

 chiacchiere su tutto, fuorché sulla realtà, compreso un comizietto sul 

randagismo. Alla stessa ora, il triste bollettino delle cinque ricorda che il 

numero dei morti è pressoché stazionario. Punto.

Regole, mandati, polemiche sulle scalette degli interventi e sui votanti che l’hanno

 votate tenuti nascosti, direttori, giochi correntizi: è questa la fotografia del primo

 partito di governo, nel pieno di una pandemia che sta stravolgendo il mondo e, nel 

mondo, l’Italia stretta in una morsa del diavolo tra ragioni della salute e ragioni del

 Pil, in questo autunno senza certezze, nemmeno sui dati, in cui l’unica soluzione è

 un lockdown che viene negato proprio mentre si chiude inesorabilmente mezza

 Italia, in una situazione di confusione istituzionale senza precedenti.

Gli Stati generali dei Cinque stelle sono questo: un rito autoreferenziale che 

congresso non è, perché da che mondo e mondo i congressi sono comunque un

 luogo partecipato e democratico, insomma una stanca presa d’atto finale di un 

qualcosa che si è già consumato, con l’appeal di un convegno minore. Senza 

neanche un po’ di orgoglio identitario che, normalmente, quando uno è in crisi 

funziona sempre. Nemmeno gli insulti di De Luca, storico simbolo del volto più 

deteriore del Pd è riuscito a distogliere l’attenzione dall’iniziatico dibattito sul doppio

 mandato.

Ricapitolando: assente Beppe Grillo fondatore e guida morale, rimasto 

insolitamente taciturno e distante. Assente Casaleggio “perché tutto deciso”, col 

paradosso che finanche chi è stato considerato il punto massimo della “falsità” del

 M5s in quanto titolare di una piattaforma opaca, ora è il punto massimo del contatto

 con la realtà e, in quanti tale, da ignorare, perché quei voti, più o meno veri, 

devono comunque essere estromessi in quanto turbano un equilibrio che non si 

può turbare. Anche l’addolorato e appassionato richiamo ad affrontare la realtà da 

parte Marco Travaglio, uno che in questi anni certo non ha dimostrato una ostilità 

pregiudiziale verso il Movimento è rimasto inascoltato.

La realtà, insomma, come intruso da tenere fuori. Il che conferma la trasformazione

 – se preferite, l’inesorabile declino – di un grande movimento in un partitino che, 

dei partitini ha assunto una certa logica minoritaria, propria di chi non riesce a 

parlare di altro se non di sé a se stesso, e non più al paese del paese. Declino che

 ha molto a che fare con l’avvitamento attorno ai due nodi di fondo attorno a cui il 

politicismo ha ormai raggiunto il parossismo, perché c’è poco da fare: in tutto il 

mondo le grandi democrazie si organizzano in due grandi campi, da destra e la 

sinistra, e a un certo punto non può funzionare dichiararsi “né di destra né di

 sinistra” dopo aver governato con l’una e con l’altra, affidando l’anima alla 

permanenza un potere senz’anima. E in tutto il mondo questa discussione avviene,

 nei partiti, con meccanismi di democrazia interna che consentono un confronto su

 queste opzioni.

Detta in modo in po’ tranchant. Anche questa volta, alla fine dell’alato dibattito non

 si capisce se il Movimento sia impegnato a costruire un campo alternativo alla

 destra e chi e dove deciderà il suo orizzonte strategico. L’unica cosa che si 

capisce, e questa non è una novità anzi è l’unica certezza, è l’irreversibilità della

 scelta del governo che coincide con la sopravvivenza di una classe dirigente 

diventata Casta, disinvoltamente passata dal “mai alleanze” ad “alleanze con 

chiunque pur di conservare i nostri obiettivi” a governo a prescindere. A prescindere

 anche dall’anima, smarrita anche nel voto col calar delle tenebre di un 

provvedimento “salva-Mediaset”, innominato anche dalla barricadera del Movimento,

 che in altri tempi sarebbe stato oggetto di fuochi e fiamme.

Il “contatto con la gente” irrompe nel saluto, molto natalizio nei toni, rassicurante,

 del presidente del Consiglio, come “sfida” che chi governa deve sempre tener 

presente, assieme alla ricerca di un nuovo “umanesimo”. Peccato che, al momento,

 sia vietato dai dpcm dallo stesso varati che prevedono distanziamento sociale. 

Davvero, cronache dall’iperuranio.


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