mercoledì 11 novembre 2020

Europarlamentare Ignazio Corrao fa chiarezza di come si vota negli USA. "Se gli esportatori di democrazia non votano democraticamente"

 



di Ignazio Corrao
 

Sorvolando ogni valutazione politica sui due candidati, entrambi anni luce lontani dall’essere esempi o modelli politici per il sottoscritto, mi voglio soffermare su un sistema di voto alquanto ambiguo e non proprio democratico, che può portare ad essere eletto presidente chi prende milioni di voti meno dell’altro (è già successo più volte, anche con Trump stesso).

Lo snodo cruciale e forse anche meno democratico di questo sistema, che meriterebbe qualche aggiornamento, è quello dei cosiddetti “grandi elettori”.


Premessa.

Gli Stati Uniti sono una repubblica presidenziale di tipo federale dove il potere è suddiviso tra Presidente, congresso e corti giudiziarie federali. Il governo federale ha lo scopo di coordinare i diversi stati (50) che godono comunque di un’ampia indipendenza. I rapporti con il governo federale sono regolati dalla Corte Suprema e ciascuno stato federale (sempre i 50) puo’ eleggere al congresso 2 senatori e altri rappresentanti in proporzione alla propria popolazione.


Sistema elettorale.
Il presidente degli Stati uniti non viene eletto in maniera diretta dalla popolazione, ma è formalmente votato dai cosiddetti grandi elettori che sono a loro volta eletti dai cittadini del proprio stato. Possiamo quindi parlare sistema di voto indiretto.
In poche parole ad essere eletti il giorno dell’elezione sono i grandi elettori, che sono associati ad ogni stato. Inoltre il conteggio dei voti dei cittadini è calcolato su base statale, secondo il sistema denominato “Winner Takes all” (che ricorda la famosa canzone degli ABBA), cioè a maggioranza secca senza ballottaggio o scarto minimo di voti per indicare un vincitore nei vari stati. Le uniche eccezioni sono io Nebraska e il Maine che votano con metodo proporzionale.
I singoli Stati federali hanno diritto a un minimo di 2 grandi elettori ma la cifra in genere varia secondo la popolazione.
I grandi elettori sono in tutto 538 e sono divisi in 435 deputati, 100 senatori e 3 elettori che rappresentano il Distretto di Columbia. Questi si riuniscono a Washington dopo le elezioni in un collegio speciale per esprimere il proprio voto in favore di uno dei due candidati, quest’anno previsto per il 14 dicembre. Nel mentre ci sarà il cosiddetto periodo di transizione dove il vincitore formerà il suo governo mentre il presidente uscente si limiterà ad amministrare fino all’insediamento del Presidente eletto che come ogni 4 anni avviene verso metà Gennaio.


Il voto del collegio dei grandi elettori.
Una volta concluso l’Election Day, si ha la suddivisione dei grandi elettori tra i due candidati alla presidenza. Il candidato che arriva alla soglia dei 270 grandi elettori diventerà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ecco spiegato quel numero magico di 270 per proclamare la vittoria presidenziale, 270 indica il numero dei grandi elettori.
Definiti i grandi elettori, questi si riuniscono nel Collegio Elettorale degli Stati Uniti d’America nella capitale del proprio Stato, il lunedì seguente al secondo mercoledì di dicembre.
Prima della loro elezione, i grandi elettori hanno già espresso pubblicamente la preferenza tra i due candidati che devono poi confermare al momento della votazione in collegio.
Per legge gli è concesso di cambiare idea ma nella pratica non succede quasi mai. Questo è il motivo per il quale alla fine dell’Election Day si ha il candidato vincitore ancor prima del successivo voto formale dei grandi elettori che è soltanto una prassi dall’esito scontato.
La votazione avviene a scrutinio segreto ed entro 9 giorni i voti vengono inviati al Senato per il conteggio che si tiene il 6 gennaio. Raggiunto il numero magico dei 270 delegati viene così sancita ufficialmente l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti che si insedierà il successivo 20 gennaio.


Il punto debole e antidemocratico del sistema elettorale è che in pratica esiste la possibilità che un candidato con la maggioranza assoluta dei voti alla fine non riesca ad essere eletto. È ciò che è successo proprio alle ultime elezioni che hanno portato Trump alla Casa Bianca nel 2016.


Quello dell’attuale presidente degli Stati Uniti è stato il quinto caso della storia dopo Adams (1928), Hayes (1876), Harrison (1888) e Bush (2000). Alla fine dei conteggi Trump ha raccolto 306 grandi elettori contro i 232 di Hillary Clinton ma la candidata democratica ha ottenuto oltre 3 milioni di voti in più dai cittadini americani.


A determinare la sconfitta della Clinton sono stati i piccoli Stati in bilico come Michigan o Wisconsin che le avrebbero dato altri 46 grandi elettori. Infatti, con questo meccanismo si crea un evidente cortocircuito per cui 23 Stati meno importanti raccolgono insieme oltre 100 delegati contro i 55 della popolosa California che numericamente fornisce più voti. Un sistema federale che favorisce i piccoli stati meno popolati.


Situazione che si è ripetuta anche in quest’ultima elezione dove il candidato democratico Joe Biden pur avendo 5 milioni di voti in più rispetto a Donald Trump si vede testa a testa in stati chiave come Nevada, Georgia, Arizona e Pennsylvania. Probabilmente questa volta con gli ultimi voti in arrivo finirà diversamente. Lo sapremo presto, questione di ore.


A questo bizzarro sistema di voto si è aggiunto anche il voto per posta, causa Covid-19, che ha generato varie polemiche. Qui c’è da dire che le date di ricezione del voto divergono da Stato a Stato ma sono decise e concordate prima delle elezioni, e qualsiasi voto è registrato attraverso codice a barre e liste elettorali dove ogni elettore si deve registrare mesi prima. Qualsiasi voto è stato inviato prima o nello stesso giorno dell’election day con tanto di timbro che certifica data e orario. Parliamo di un voto che esiste anche per i nostri italiani che vivono all’estero.

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