Al convegno scientifico organizzato a Bologna lo scorso 14 novembre dalla Fondazione Giuseppe Di Bella Onlus ha partecipato come relatore anche il dottor Stefano Montanari. “Che cosa sono le nanopatologie?“, è stato il titolo del suo intervento (seguilo su Davvero Tv).
Come scoprimmo le nanoparticelle
Il dottor Montanari ha spiegato il percorso che ha portato lui e la dottoressa Antonietta Gatti a scoprire le nanoparticelle e la correlazione tra queste ultime e molte gravi patologie.
Tutto iniziò tra il 1997 e il 1998, quando giunse al policlinico di Modena un paziente che era stato in cura in diversi ospedali italiani senza ottenere miglioramenti. “Aveva diversi sintomi”, racconta Montanari, “febbre intermittente, lacrimazione agli occhi, problemi alle orecchie e una funzionalità ridotta dei reni e del fegato”.
Un tessuto di questo paziente, prelevato tramite biopsia, arrivò per errore al laboratorio di biomateriali diretto dalla dottoressa Antonietta Gatti. “Mia moglie (la dottoressa Gatti, ndr) fece allora una cosa un po’ strana: prese i campioni e li mise sotto il microscopio. I frammenti erano pieni di particelle inorganiche, precisamente ceramiche”. Si scoprì che il paziente portava una protesi dentaria mal fatta, che si era consumata. Queste particelle della protesi dentaria erano state ingerite dal paziente ed erano state catturate dal fegato e dai reni, dove avevano dato origine a un tessuto infiammatorio.
Il progetto di ricerca della Comunità europea
Alcuni anni dopo, la Comunità Europea si accorse della validità delle scoperte scientifiche della dottoressa Gatti e la mise a capo di un progetto di ricerca europea a cui parteciparono anche l’Università di Cambridge e quella di Magonza.
Fu così che si iniziarono a studiare le granulomatosi, il nome scientifico della malattia del paziente dell’ospedale di Modena, i cui tessuti erano stati analizzati dalla dottoressa Gatti.
Analizzando e studiando i reperti custoditi negli ospedali delle città coinvolte nel progetto di ricerca, ci si accorse che tutte le granulomatosi contenevano nano e microparticelle inorganiche.
Le caratteristiche delle nanoparticelle
“Queste nano e microparticelle sono eterne, cioè rimangono nell’organismo fino a che questo esiste”, spiega Stefano Montanari.
“Le nanoparticelle oggi vengono in particolare dall’attività dell’uomo, cioè dall’inquinamento, dalle cave, dalle miniere, dalle discariche, dall’invecchiamento degli edifici, dai motori a scoppio, dai fumi industriali, dalle centrali nucleari. Le nostre città sono piene di nanoparticelle, vengono inalate e anche ingerite, perché frutta, verdura e vegetali ospitano queste nanoparticelle”. Si tratta per lo più di particelle di alluminio, tungsteno, silicio, oro, nichel, bario, rame, zolfo, cromo e altri elementi.
Le nanopatologie
“Una volta entrate nell’organismo viaggiano tramite il sangue e possono finire in qualunque organo. Tutti gli organi”, spiega Montanari, “si comportano come recettori, cioè come dei filtri che catturano queste particelle. Il problema è che non sono più capaci di liberarsene”. In questo modo si formano le granulomatosi che possono, a lungo andare, trasformarsi in tumori e linfomi e altre patologie gravi.
Purtroppo gli effetti nefasti delle nanoparticelle non finiscono qui. Esse, infatti, possono passare anche dalla madre al feto e causare malformazioni genetiche.
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