L’emergenza sanitaria può essere il preludio di un’emergenza democratica. A pensarlo non è solo una frangia minoritaria che si cerca di isolare dal dibattito pubblico, ma è una preoccupazione fatta propria dallo stesso Parlamento europeo.
Una risoluzione che condanna l’applicazione indiscriminata delle restrizioni
L’istituzione con sede a Bruxelles ha infatti adottato un testo dal titolo Risoluzione sull’impatto delle misure connesse alla COVID-19 sulla democrazia, sullo Stato di diritto e sui diritti fondamentali. Un titolo emblematico che rivela come il dibattito sul rischio di un collasso del sistema democratico sia in primo piano a livello europeo. E in effetti gli inviti rivolti agli Stati presenti all’interno del testo fanno riflettere sulla deriva autoritaria che troppo facilmente è stata intrapresa da Paesi all’apparenza retti da sistemi democratici.
La risoluzione invita per esempio a considerare l’uscita dallo stato di emergenza o di limitare in altro modo il suo impatto sulla democrazia. Nel testo si raccomanda un efficace controllo parlamentare per tutte quelle norme che prevedono una limitazione dei diritti fondamentali dei cittadini. In generale viene scritto in maniera esplicita e ripetuta che tutte le misure debbano non solo essere proporzionali alla reale emergenza, ma avere anche una definita scadenza temporale.
Italia, Paese di DPCM e stato di emergenza perenne
A leggere il testo sembra che questi inviti siano stati confezionati particolarmente su misura per l’Italia. Da marzo scorso infatti il Governo Conte ha emanato la bellezza di 21 DPCM, i famosi decreti del consiglio dei Ministri, atti amministrativi per restringere libertà fondamentali che non passano al vaglio del Parlamento. Con una media di due DPCM e mezzo al mese il Governo Conte ha stabilito un record in Europa.
In Francia per esempio, già nel marzo scorso il Parlamento ha potuto esprimersi sulle misure di emergenza. In Germania è stata lasciata ampia indipendenza ai land circa l’applicazione delle misure emergenziali. In Spagna hanno utilizzato la via del decreto reale, che come il DPCM non coinvolge il Parlamento, ma che almeno richiede la delibera del Consiglio dei Ministri. Bocciata sul lato del coinvolgimento parlamentare, l’Italia non sembra andare meglio guardando la proporzionalità delle misure.
L’invito a revocare le misure restrittive
Senza dati scientifici atti a dimostrare l’effettiva presenza di focolai, il governo Conte ha deciso la chiusura di teatri, cinema, ristoranti, bar, palestre e centri estetici, nonostante l’introduzione di specifici protocolli studiati dal Ministero della Sanità. Quello che forse però preoccupa di più è l’aspetto temporale, e cioè per quanto dureranno ancora le misure restrittive? Lo stato di emergenza dura ininterrottamente dal 31 gennaio scorso, stabilendo un altro record per l’Italia, e rendendo le restrizioni infinite nel tempo agli occhi dei cittadini.
La risoluzione del Parlamento si conclude con l’invito alla Commissione europea di assumere l’iniziativa di garantire che le misure restrittive siano revocate il prima possibile. In sostanza ci stanno dicendo in maniera chiara che democrazia e diritti non devono essere barattati a cuor leggero. Il Governo Conte, europeista nello spirito, saprà ascoltare questo invito da Bruxelles?
Nessun commento:
Posta un commento