lunedì 18 marzo 2019

Maurizio Belpietro - " L’uomo da cui guardarsi le spalle è dentro il Partito democratico e si chiama Matteo Renzi".

(Maurizio Belpietro – panorama.it) – 

Il neo eletto segretario del Pd ha annunciato un nuovo partito fatto di facce vecchie e con una missione: rottamare Renzi

 Nicola Zingaretti non lo ammetterà mai, neanche sotto tortura. Ma il suo vero avversario non è Matteo Salvini e neppure Luigi Di Maio. L’uomo da cui guardarsi le spalle è dentro il Partito democratico e si chiama Matteo Renzi. L’ex presidente del Consiglio in ogni intervista ripete a rullo che lui sarà leale con il nuovo segretario e che lavorerà da semplice senatore per il Pd. Ma le sue parole suonano come un’excusatio non petita e ricordano stranamente quell’«Enrico stai sereno» che ha accompagnato la sua scalata a Palazzo Chigi, divenendo sinonimo di intrigo e di tradimento. Del resto, anche i sassi sanno che Renzi ha fatto il possibile e anche l’impossibile per evitare un trionfo di Zingaretti. Pur dichiarando a giornali e tv di non occuparsi di primarie, l’ex premier ha ostacolato senza tregua la corsa del governatore del Lazio...

La strategia prevedeva di impedire che il fratello secchione di Montalbano tagliasse il traguardo del 50 per cento di consensi, in modo da far eleggere il nuovo segretario dall’assemblea del partito e non dai votanti alle Primarie. Per questo Renzi aveva schierato due dei suoi migliori colonnelli al fianco di Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Luca Lotti aveva il compito di far conquistare al segretario reggente più del 30 per cento. Mentre Maria Elena Boschi era stata dirottata a seguire la campagna elettorale dell’ex radicale: obiettivo 25 per cento. Il disegno del senatore di Scandicci si è però infranto contro il muro del 65 per cento eretto da Zingaretti, un argine in grado di respingere ogni ambizione di condizionamento dall’esterno della nuova segreteria.
Renzi sognava un leader debole, costretto sin dal principio a mercanteggiare con lui posti e nomine, in modo da continuare a governare il partito per interposte persone. Ma il successo del governatore lo ha spiazzato e la sua prima mossa ancora di più: rimuovere il tesoriere, cioè Francesco Bonifazi, significa togliere la cassa dalle mani del Giglio magico. Pur essendo meno esposto di Lotti e Boschi, l’uomo dei soldi era una pedina fondamentale nell’armata di pretoriani dell’ex presidente del Consiglio, il quale dopo essere stato costretto alle dimissioni a causa della sconfitta al referendum, aveva circondato Paolo Gentiloni di suoi colonnelli, tenendolo praticamente in ostaggio. E questo avrebbe voluto fare anche con Zingaretti, ripetendo lo schema di successo applicato due anni prima.
Le cose invece sono andate diversamente, perché dietro a quella sua aria da prevosto di campagna, il governatore del Lazio è un uomo di mondo e in particolare del mondo di sinistra. È cresciuto alla scuola di Walter Veltroni, uno che è buonista solo davanti alle telecamere e ai taccuini della stampa. Dunque conosce lo stile della casa comunista a partire dalle congiure e sa che quel Nicola stai sereno che Renzi va ripetendo nelle interviste rilasciate a raffica, quasi fosse lui il nuovo segretario, equivale a una dichiarazione di guerra.
Quando l’ex presidente del Consiglio dice che non darà vita a una sua corrente (altra excusatio) bisogna leggere la frase al contrario, cioè sta avvisando Zingaretti che lui ha una corrente. E che corrente. Già, perché se il governatore ha conquistato il partito, l’ex segretario continua a mantenere saldamente in pugno i gruppi parlamentari. Quando si è trattato di decidere chi mettere in lista alle elezioni, Renzi ha scelto con cura e così adesso, dei 166 onorevoli su cui il Pd può contare in Parlamento, almeno 103 rispondono a lui, non al governatore del Lazio.
Naturalmente i voltagabbana non sono un’esclusiva del centrodestra, dunque è probabile che in molti si affretteranno a salire sul carro del vincitore. Ed è su questa tipica attrazione per il potere che punterà Zingaretti per evitare le trappole che Renzi disseminerà sul suo cammino. Rottamare l’ex segretario è la sua Mission impossible, senza la quale è destinato a fallire, ma per riuscirvi dovrà disinnescare le mine disposte intorno a lui. La rimozione degli amici di Renzi sarà perciò il suo primo lavoro, un’opera che certo quell’altro non starà a guardare con le mani in mano. Per quanto sconfitto e in un angolo, soprattutto dopo l’arresto dei genitori, l’ex presidente del Consiglio non è tipo da arrendersi. Dunque, prepariamoci al duello: la saga di Rignano continua.---

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