sabato 30 marzo 2019

Marco Travaglio 30.03.2019 - Nuovi diserbanti: Zanda



Qualche mese fa Eugenio Scalfari, sempre spiritoso, stilò un elenco di padri della Patria che partiva da Cavour e, passando per De Gasperi ed Einaudi, arrivava a Luigi Zanda. Noi restammo un po’ sorpresi, ma ora tendiamo a dargli ragione: questo Zanda l’avevamo un po’ sottovalutato. Stiamo parlando del millennial 77enne appena scelto da Zingaretti fra le nuove leve del Pd come nuovo tesoriere, per svecchiare il partito all’insegna del più spericolato rinnovamento. Nato a Cagliari nel 1942, il tenero virgulto ha lavorato ai vertici del Mose di Venezia, del Viminale con Cossiga, del gruppo Espresso, di Lottomatica, del Giubileo con Rutelli, del Palaexpo, della Rai, della Dc, del Ppi, della Margherita, del Pd veltroniano, franceschiniano, bersaniano, lettiano, renziano, gentiloniano e zingarettiano. Nel suo Palmarès di catastrofi manca solo il Titanic, ma esclusivamente per motivi anagrafici. Per non perdere un colpo, il mese scorso è diventato tesoriere del partito più indebitato d’Europa. E si è messo subito d’impegno, partorendo due ideone improntate alla più temeraria discontinuità: ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti, abolito nel 2013 dallo stesso Pd il cui capogruppo era un certo Zanda; e aumentare lo stipendio dei parlamentari, appaiandolo a quello degli eurodeputati, cioè degli unici eletti dell’orbe terracqueo più pagati dei nostri...

Il combinato disposto della prima e della seconda proposta, opportunamente nascoste dai giornaloni, ha fermato l’ascesa del Pd zingarettiano nei sondaggi e di regalare un po’ di respiro, dopo mesi di affanno, al M5S. Zingaretti aveva appena annunciato di voler “parlare agli elettori delusi dai 5Stelle”. Ma Zanda l’ha preceduto e ci ha parlato lui, convincendoli che nessuna delusione, per quanto cocente, potrà mai riportarli all’ovile del Pd. Invano Zingaretti ha tentato di prendere le distanze senza prenderle e negando di averle prese, con la scusa che il Ddl Casta è un’iniziativa “personale” dello “stimato” e “autorevole” Luigi: qualcuno ci crederebbe se Zanda avesse proposto una riforma delle politiche forestali; ma nessuno ci crede quando il tesoriere del Pd propone due norme di sua stretta competenza, e soprattutto non le ritira, anzi le rivendica, rimane tesoriere e racconta pure frottole. Tipo che gli europarlamentari guadagnano meno di quelli italiani (media italiana 14 mila euro al mese, media europea 16-19 mila). Repubblica gli ricorda che sei anni fa lui stesso votò per abolire il finanziamento pubblico. E Zanda, serafico, conferma: “Ero capogruppo, ho votato sentendo il peso dell’antipolitica”.
Non solo: “Ora direi che potevamo fare diversamente e quella decisione ci deve insegnare che non può essere l’antipolitica a dominare il nostro lavoro”. Quindi votò e fece votare come capogruppo una legge a cui era contrario. Interessante. Peccato che l’“antipolitica” fosse la tardiva applicazione del referendum del 1993, in cui gli italiani avevano plebiscitariamente cancellato i finanziamenti pubblici ai partiti. I quali se n’erano allegramente infischiati e li avevano subito ripristinati, camuffandoli da “rimborsi elettorali” e fregandoci altri 2 miliardi. Ora Zanda racconta che, senza soldi pubblici e con stipendi ridotti, i parlamentari “sarebbero sempre più asserviti alle lobby finanziarie”. Come se i ladri di Tangentopoli rubassero per fame (guadagnavano quanto oggi e prendevano soldi statali). E come se fino al 2013, col finanziamento pubblico, i partiti fossero immuni da corruzioni e lobby.
Non bastando i danni che fa Zanda, ci si mette pure un tal Marco Miccoli, “coordinatore della comunicazione del Pd”: anziché invitare lo stimato e autorevole tesoriere a ritirare i suoi Ddl, non trova di meglio che prendersela con i 5Stelle per il loro scontato dissenso. Come se il Pd, per fare figuracce, avesse bisogno del M5S e non gli bastasse Zanda. Che è un po’ il Toninelli dei democratici. Uno sfollagente politico, un buttafuori da seggio, un diserbante elettorale. Nella scorsa legislatura aveva già contribuito parecchio alla rimonta pentastellata. Un giorno denunciava la “deriva antidemocratica” dei grillini, l’indomani cacciava dalle commissioni parlamentari i dissidenti Pd sulla controriforma costituzionale Boschi-Verdini e sull’Italicum incostituzionale. Un giorno difendeva “la centralità del Parlamento” contro la “democrazia diretta”, l’indomani inventava canguri e ghigliottine per silenziare le opposizioni. Un giorno negava inciuci con B. (che governava col Pd, direttamente o per interposti Alfano & Verdini), l’indomani si alleava con FI per bocciare al Senato il taglio dei vitalizi voluto persino da Renzi e votato persino dal Pd alla Camera. Poi dichiarava al Foglio di lavorare a un bel “fronte anti-Grillo” fra Pd e Forza Italia, ormai avviato a suo dire – “verso una forma di centrodestra liberale di livello europeo, alla Merkel e Rajoy”, da “sostenere contro le forze antisistema”. Che infatti vinsero puntualmente le elezioni. Lui però non si dà per vinto e continua a lavorare per loro anche in questa legislatura. Fraccaro presenta un ddl per tagliare il numero e la paga dei parlamentari? Zanda risponde con uno che lascia invariato il primo e aumenta la seconda. Di Maio lancia il reddito di cittadinanza per i disoccupati poveri e il salario minimo per gli occupati sottopagati? Zanda risponde col reddito di cittadinanza e il salario minimo per la Casta. Ancora un paio di iniziative come queste, e la rimonta M5S è assicurata. Neppure un infiltrato di Casaleggio nel Pd sarebbe tanto efficace. Invece di attaccarlo, i 5Stelle dovrebbero dargli la tessera per meriti speciali. Al confronto, come grillino ad honorem, Fassino è un dilettante.
“Nuovi diserbanti: Zanda” di Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano del 30 Marzo 2019

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