Siccome ormai la memoria è un optional, ricordare a Mattarella, a Visco e ai loro giornalisti preferiti che quella dei pesci rossi dura almeno due giorni è un’offesa ai pesci rossi. A leggere quel che dicono e scrivono questi signori, tutti a strillare all’attentato contro la presunta “indipendenza” di Bankitalia e Consob (figuriamoci), pare che sia la prima volta che il Parlamento istituisce una commissione d’inchiesta sui crac bancari e sugli errori e le omissioni di chi avrebbe dovuto prevenirli vigilando. Invece è almeno la seconda. Era già accaduto nell’ottobre del 2017: dopo due anni di annunci di Renzi e dei suoi giannizzeri, che speravano di trasformarla in un’autoassoluzione per i pasticci del loro governo con le banche decotte e della signorina Boschi sulla banchetta vicepresieduta dal padre, il centrosinistra varò la commissione d’inchiesta e la affidò alle morbide manine di Piercasinando. Che ne approfittò per assecondarli, chiudendo i lavori con una relazione tutta latte, miele e vaselina e conquistandosi un posto al sole nelle liste Pd. Dunque non si vede dove sia lo scandalo se la nuova maggioranza giallo-verde, che diversamente dal minoritario centrosinistra rappresenta più del 50% degli elettori, vuole approfondire alcuni capitoli rimasti inesplorati di quella catena di crac causata da banchieri irresponsabili o incapaci o ladri, dalla mancata vigilanza di Bankitalia e Consob, nonché dalla melina elettoral-referendaria del governo Renzi che lasciò incancrenire il tutto all’insegna del “tutto va ben madama la marchesa”...
Tantopiù che oggi il partito di maggioranza, i 5Stelle, non chiede la testa del governatore Visco, diversamente dal Pd che il 17 ottobre 2017 presentò un’apposita mozione parlamentare firmata dalla renzian-boschiana Silvia Fregolent. Mozione che impegnava il governo Gentiloni a scegliere un altro governatore al posto di Visco, in scadenza di lì a due settimane, visto che “l’efficacia dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall’emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche”: perciò l’esecutivo doveva “adottare ogni iniziativa utile a rafforzare l’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario ai fini della tutela del risparmio e della promozione di un maggiore clima di fiducia dei cittadini individuando a tal fine, nell’ambito delle proprie prerogative, la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’Istituto”. Che non era Visco. Mozione approvata con 213 voti favorevoli (Pd e alleati centristi), 97 contrari (M5S e FdI) e 99 astenuti (FI, Lega e Mdp).
Le critiche renziane, peraltro, sarebbero state più che fondate se non fossero venute da chi aveva assecondato e condiviso per tre anni tutte le scelte di Bankitalia. Infatti l’improvvida mozione sortì l’effetto opposto a quello sperato: rafforzò Visco, fino ad allora debolissimo, tanto che stavano per scaricarlo persino Mattarella e Gentiloni. Il quale, nel suo libro La sfida impopulista, ha rivelato che già nell’estate del 2017 lui stesso e il Quirinale avevano aperto “un tavolo” per rimpiazzare Visco, “pronto a considerare ipotesi diverse da una sua riconferma”. Poi arrivò l’attacco sgangherato di Renzi, che innescò le proteste di Mattarella e costrinse Gentiloni a lasciare al suo posto il vecchio governatore. Ora Visco è ben saldo al suo posto è né Lega né M5S vogliono più cacciarlo. Ma non si vede perché la nuova inchiesta parlamentare – si spera un po’ più seria della precedente – sarebbe un attacco alla sua eventuale indipendenza e un danno ai soliti “mercati”, se non lo erano le manovre del Colle e di Gentiloni per farlo fuori due anni fa. Né è dato sapere perché mai a presiederla non dovrebbe essere un parlamentare del partito di maggioranza relativa, Gianluigi Paragone, che conosce la materia e sarebbe comunque tenuto a rispettare i “paletti” fissati dal Colle prima di firmare la legge istitutiva. Servirebbero un po’ di memoria e un po’ di pudore. E non solo su Bankitalia.
L’imbarazzante congresso dell’ultradestra a Verona con Salvini&C. sta scatenando reazioni altrettanto isteriche. Come se non si fosse mai visto nulla di simile. Invece è accaduto ben di peggio. Quando governava B. (con An e la Lega), si tennero due Family Day promossi dal Vaticano del card. Ruini e sostenuti dal premier puttaniere (che sfilò con le sue numerose famiglie) e da tutta la sua maggioranza. Questa, nel 2004, varò l’ignobile legge 40 contro la fecondazione eterologa e nel 2005 fece naufragare il referendum abrogativo, incitando all’astensione a una sola voce con Ruini. Nel 2009, poi, quando finalmente i medici poterono staccare la spina alla povera Eluana Englaro, B. accusò Napolitano di complicità nel suo “esecrabile omicidio” per aver stroncato sul nascere il suo decreto che avrebbe costretto la povera ragazza ridotta a un vegetale a restare attaccata alla macchine in saecula saeculorum. Allora quell’ultradestra che definire medievale è offendere il Medioevo era maggioranza nel governo, in Parlamento e in Vaticano. Oggi raccatta qualche leghista, nell’indifferenza della Santa Sede e con l’ostilità degli altri partiti (M5S, Pd, sinistra e persino FI). E proprio il suo essere minoritaria, priva di sponde credibili e isolata da questo Papa, la spinge alla radicalizzazione vista a Verona. Certo, se un domani Salvini riuscisse a conquistare Palazzo Chigi, le cose cambierebbero di brutto. Ma in questo Parlamento e in questo governo chi sogna leggi retrograde contro i diritti civili non ha i numeri per farle approvare. Almeno finché i finti nemici della Lega – i suoi preziosi alleati de sinistra – non saranno riusciti a distruggere i 5Stelle per lasciare Salvini solo al comando.
“Non c’è Paragone” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 31 Marzo 2019
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