di Debora Billi
Si cominciano a tirare le somme sui primi dati del reddito di cittadinanza. Dall’inizio di marzo è scattata la possibilità di fare domanda per ottenere la famosa “card” già a partire dal mese di aprile, e fin dai primissimi giorni si è capito che qualcosa non andava come previsto. I media avevano battuto la grancassa per mesi, prefigurando l’assalto agli sportelli e descrivendo una zoologica varietà di aspiranti: fannulloni da divano, evasori fiscali, impiegati al nero, africani da sbarco, truffatori professionisti, meridionali affetti da pigrizia genetica, insomma tutto il solito offensivo arsenale dell’intrattenimento televisivo di parte. Grande è stato lo stupore quando non si è palesato alcun assalto al treno, e le giornaliste che si aggiravano negli uffici postali deserti si sono ritrovate a intervistare la vecchietta in fila per la bolletta del gas.
Cosa è successo? Sicuramente è una buona notizia che l’Italia sia un Paese dove i poveri sono meno numerosi di quanto immaginato; era però una notizia largamente prevedibile, stanti i paletti stabiliti per ottenere il reddito di cittadinanza: paletti che, da soli, prefiguravano esattamente chi l’avrebbe richiesto....
Ovvero, a parte gli anziani con l’indecorosa pensione minima (provvedimento sacrosanto e auspicato da decenni), tantissimi over 50 e a bassa scolarità. Per carità: è doverosissimo aiutare famiglie di persone più che adulte e che non hanno praticamente più speranze di trovare un lavoro, una piaga che ha colpito il Paese negli ultimi decenni di austerity eurista. Ma… e i giovani?
Oltre a pensionati e 50enni “poveri”, il reddito di cittadinanza avrebbe dovuto assolvere ad un compito che nel Paese è percepito come della massima urgenza: ovvero, bloccare immediatamente la fuga dei nostri giovani all’estero. Sono 300 mila l’anno, numeri spaventosi da dopoguerra (ciò la dice lunga su quello che l’Italia ha subìto, come drammaticamente racconta Barbara Pavarotti in un recente video di Byoblu), e nel tessuto sociale viene vissuta come una vera tragedia che preoccupa e indigna. Eppure, appena il 6% delle domande arriva da under 30. Perché? Perché, come ampiamente prevedibile, praticamente nessun laureato proviene da famiglie poverissime come da requisiti del reddito: questo non significa però che si tratti di famiglie abbienti che possono mantenere un figlio laureato a gingillarsi sul divano. Sono normali famiglie italiane di lavoratori, che magari faticano ad arrivare a fine mese. I giovani allora partono, ma solo in rari casi -ampiamente strombazzati dai media- per intraprendere carriere luminose all’estero: la maggior parte tenta la fortuna lavorando come cameriere o lavapiatti pur di non pesare sulla famiglia.
Il reddito di cittadinanza, finora, è stato richiesto da appena 500mila persone rispetto ai 5 milioni previsti. Sicuramente il numero aumenterà, ma si potrà arrivare al massimo a un milione, e già c’è chi pensa a come si potranno “riciclare” i miliardi risparmiati usandoli per la flat tax. Provvedimento ottimo anche questo, ma è il caso di arrendersi subito alle cifre del reddito di cittadinanza lasciando che i giovani continuino a partire, come fossimo un Paese del Terzo Mondo? Forse no. Forse la maggioranza di governo è ancora in tempo a correggere la rotta, e a varare un provvedimento per bloccare la “fuga dei cervelli” che affligge il Paese: i laureati italiani, ogni anno, sono appena 300mila. Davvero pochissimi, rispetto ai 5 milioni di persone previste dal RDC. Diamo subito il reddito di cittadinanza a tutti loro, a partire da quest’anno (o anche dall’anno scorso): proprio a tutti, a prescindere dal reddito. Finirà anche a una manciata di ricconi? Pazienza: se in tutto sono appena 300mila, lo Stato non andrà in rovina. Ma basta coi paletti: i ragazzi, i nostri brillanti “cervelli” carichi di lauree, specializzazioni e lingue, dobbiamo “bloccarli” qui con ogni mezzo. Andare all’estero deve essere solo una scelta di carriera e non un obbligo di disperazione. Il reddito di cittadinanza ai neolaureati costerà inoltre molto meno, perché non solo le lauree sono gradualmente distribuite nell’arco di tutto l’anno, ma è anche assai più facile aiutare quei giovani a trovare in fretta un lavoro qualificato interrompendo quindi l’erogazione. Si creerà allora l’auspicato circolo virtuoso: molti più “cervelli” che restano, che trovano lavoro, che innovano le aziende, e che mettono infine su famiglia, come tante volte auspicato anche da Di Maio. Non era forse questo lo scopo ultimo del reddito di cittadinanza?
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