La partita del Tav non è affatto finita, anzi è appena cominciata. Ma l’analisi costi-benefici degli equilibri giallo-verdi segna, almeno per oggi, bel tempo per i 5Stelle e nuvole sparse sulla Lega. È bastato che Di Maio&C. evocassero per la prima volta la crisi di governo e Salvini è subito tornato a cuccia, retrocedendo dal tonitruante “nessuno stop ai bandi” dell’altroieri al “farò di tutto perchè il Tav si faccia” di ieri. L’ipotesi di nuove elezioni, che lo riporterebbero fra le grinfie putrescenti di B. e scatenerebbero il “liberi tutti” nell’aula del Senato nel voto sul processo Diciotti, l’ha spaventato a morte, ha scoperto il suo bluff e l’ha indotto a più miti consigli. Il che dimostra che si poteva votare l’autorizzazione a procedere senza danni collaterali. Perché anche il tracimante Salvini, quando incontra un argine, si ferma. Da ieri è ufficiale che il voto non terrorizza solo il M5S declinante nei sondaggi: anche Salvini non lo vuole prima di aver portato a casa qualcosa di utile (il Dl sicurezza e l’Illegittima difesa non fregano niente a nessuno) e sa che il ritorno ad Arcore gli costerebbe 7-8 punti nei sondaggi, senza contare chi gli dà fiducia perché sta al governo e potrebbe revocargliela se lo rovescia. Intendiamoci: sul Tav nessuno ha ancora vinto né perso, anzi la strada per cancellare l’orrendo buco è tutta in salita, essendo su questo il M5S in minoranza in Parlamento e pure in Consiglio dei ministri: il che, dovendo rivedere 4 trattati internazionali e 5 leggi italiane, è un bell’handicap. Tra qualche mese dunque, dopo le elezioni regionali ed europee, il dilemma si riproporrà tale e quale, e allora bisognerà uscire con un sì o un no secco al Tav. Tutto dipenderà, ancora una volta, dall’abilità di Conte nella trattativa con i francesi (mai del tutto convinti sull’opera) e con la Commissione europea (l’attuale e la nuova)...
Poi c’è l’analisi costi-benefici dell’interesse nazionale, che oggi segna un punto a favore di chi non vuole sperperare miliardi pubblici in un’opera inutile e inquinante, e uno a sfavore della Banda del Buco e dei suoi portaborse politico-mediatici. Il merito del blocco dei bandi a costo zero va a Giuseppe Conte: il premier – come aveva previsto ieri Antonio Padellaro – ha smentito ancora una volta i suoi detrattori che lo dipingevano come un re travicello, un burattino nelle mani dei due vice, un prestanome che esegue ordini altrui. E ha fatto ciò che aveva promesso giovedì in conferenza stampa: ha deciso da solo, riuscendo là dove persino i 5Stelle – quasi rassegnati alla crisi di governo e alla caduta della giunta Appendino – disperavano che ce l’avrebbe fatta.
Anche ieri i giornaloni sfornavano le loro balle quotidiane. Il “ritorno delle madamine torinesi”: quattro gatte. L’”analisi Pro Tav di Ponti all’Ue” (non è di Ponti, non riguarda il Tav e contiene solo i benefici senza i costi). L’”Italia isolata in Europa” (contro il Tav ci sono pure i Verdi europei e la presidente della commissione Trasporti dell’Europarlamento). E soprattutto l’annuncio del via libera di Conte ai bandi di gara per i 2,3 miliardi del Tav vero e proprio (il buco nelle Alpi), con una “clausola di dissolvenza”: cioè il solito inchino dei 5Stelle a Sua Maestà Matteo. Del resto era stato il Corriere, sabato scorso, a “rivelare” il “sondaggio segreto” che aveva convinto un Di Maio “folgorato sulla tratta Torino-Lione” a calarsi le brache, “abbattere uno dei totem del Movimento”, “tornare indietro” e addirittura “dire sì alla Tav”, perchè “la stragrande maggioranza degli elettori grillini è favorevole all’opera”. Intanto Massimo Franco spiegava che “l’epilogo appare segnato” con una truffa del neo-Sì Tav Di Maio ai suoi elettori: “Fingere che la scelta finale sia del solo premier, innalzato strumentalmente a decisore supremo; e togliere dall’imbarazzo non tanto Matteo Salvini ma l’altro vice, Luigi Di Maio, che altrimenti dovrebbe spiegare al M5S un ‘sì alla Tav’, per quanto riveduta e corretta”. Invece Conte ha detto no. Ha bloccato i bandi in attesa di ridiscutere tutto con Francia e Ue. E ha costretto i costruttori Telt a sbugiardare i giornaloni che, senza bandi subito, vaneggiavano di “penali” e fondi europei “perduti” o “da restituire” per 300 milioni (o 800, massì abbondiamo!). Tutte balle: i bandi per ora non partono; per non perdere ora i fondi Ue (ovviamente inutili in caso di cancellazione del Tav) – scrive Telt a Conte – basta un generico e non vincolante “invito alle imprese a presentare candidature”; e se poi i bandi spariranno per sempre, l’Italia non ci rimetterà un euro grazie all’“inserimento nei suddetti inviti dell’esplicito riferimento alla facoltà della Stazione Appaltante in qualunque momento di non dare seguito alla procedura senza che ciò generi oneri per la Stazione Appaltante stessa, né per gli Stati”. Cioè si potrà tornare indietro sul Tav a costo zero, cosa impossibile se si fosse seguito il diktat peloso della Lega di far partire i bandi per poi, eventualmente, revocarli.
Oltre alle questioni contabili, ambientali e politiche, c’è anche il versante etico. E Conte ieri l’ha messo giù così: “Lavoriamo in piena trasparenza perché non ci lasciamo condizionare dalle pressioni opache di gruppi di potere o comitati di affari. Fino a quando questo Governo sarà in carica, per quanto mi riguarda, sarà così. Sempre”. Quali gruppi di potere e comitati d’affari hanno fatto pressioni? Il premier, da noi interpellato, ci ha risposto che non si riferiva a soggetti o a episodi specifici, ma intendeva semplicemente chiarire il suo “metodo”, affinchè chi ha orecchi per intendere intenda. Meglio così. In un Paese serio sarebbero le opposizioni le prime a porgli la domanda. Ma in Italia le opposizioni sono parte attiva di quei gruppi di potere e comitati d’affari: quindi conoscono già la risposta.
Il Bando del Buco di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 10 Marzo 2019
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