Al centro, Eugenio Scalfari con il il numero zero di Repubblica. Da sinistra: Sandro Viola, Giorgio Forattini, Rolando Montesperelli, Mario Pirani, Giorgio Signorini, Franco Bevilacqua, Fausto De Luca, Andrea Barbato, Amedeo Massari, Gianni Rocca e Gianluigi Melega .
Eugenio Scalfari
UNA volta tanto parlerò della nascita di Repubblica e quindi anche di me. L'anniversario ricorre il 14 gennaio, l'anno era il 1976. Tra le fotografie appese al muro della mia stanza al giornale ce n'è una con l'immagine dei "fondatori" che sfogliano il primo numero mentre le copie escono dalle rotative. Ne avevamo due, una a Roma l'altra a Milano, erano piccole e stampavano soltanto 15mila copie all'ora. Quella notte lavorarono dieci ore ciascuna e complessivamente stamparono 300mila copie che andarono esaurite. C'era molta attesa nel pubblico ma nei giorni successivi gradualmente ma inevitabilmente diminuirono; dopo un paio di settimane scendemmo a 70 mila copie vendute e lì per fortuna ci fermammo, non erano poche ma assai lontane dal punto di pareggio tra entrate e uscite della nostra società proprietaria del giornale (metà dell'Espresso e metà della Mondadori, allora guidata dalla famiglia del fondatore Arnoldo).....
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Il punto di pareggio l'avremmo raggiunto con la vendita di 130 mila copie e la relativa pubblicità; il capitale della società era di cinque miliardi di lire che sarebbero durati tre anni; se entro quel termine il pareggio non fosse stato raggiunto la decisione che era già stata presa era la chiusura di Repubblica perché non volevamo fare un giornale in perdita permanente. Queste notizie le comunicai alla assemblea dei redattori riunita alla vigilia dell'inizio della produzione. Nella fotografia sopra ricordata si vedono una decina di persone.
Ci sono Carlo Caracciolo, Mario Formenton amministratore delegato della Mondadori, Gianni Rocca redattore capo, Mario Pirani, Sandro Viola, Gianluigi Melega, Fausto De Luca e naturalmente anch'io e qualche altro collega. Aggiungo che i cosiddetti numero zero, che sono la prova del giornale prima ancora che sia messo in vendita, cominciarono il 15 dicembre, furono in tutto sedici e l'ultimo è datato 11 gennaio ed ha sette prime pagine diverse l'una dall'altra.
Questi sono i dati tecnici essenziali. La storia dei mesi successivi è nota: restammo inchiodati alle 70 mila copie di vendita per circa due anni; poi cominciammo a crescere con l'inizio del terrorismo delle Brigate Rosse e accelerammo dopo il rapimento e poi la morte di Aldo Moro. Nell'autunno del '78 avevamo raggiunto il pareggio di bilancio e la crescita delle vendite non si fermò fino a quando nel '86 raggiungemmo e superammo il Corriere della Sera ad un livello medio di 700 mila copie. Ovviamente il giornale era profondamente mutato: dalle 32 pagine iniziali ne contava 56 nell'edizione nazionale e 68 in quelle locali; avevamo introdotto lo sport che all'inizio non c'era, ampliata la cultura e gli spettacoli, le quotazioni di Borsa e la meteorologia. Insomma era ormai completo in tutti i settori.
A differenza degli altri la nostra diffusione era nazionale, nel Nord, nel Centro, nel Sud e nelle Isole ed anche all'estero e così è durato anche nel secondo ventennio con la direzione di Ezio Mauro fino a quando i mutamenti della tecnologia hanno prodotto in tutto il mondo la crisi della parola scritta e la nascita della rete Internet che ha dimezzato la diffusione dei giornali e dei libri. Ma l'importanza diRepubblica e il numero dei lettori è rimasto molto elevato se si sommano il giornale cartaceo e quello letto attraverso il sito Internet. Dobbiamo dunque approfondire le ragioni che a quarant'anni di distanza dalla sua fondazione rendono ancora essenziale la lettura di Repubblica nonostante i profondi mutamenti della società nei suoi aspetti sociali, economici, culturali e politici.
Non dimentichiamo che Repubblica nacque dal settimanale L'Espresso del quale abbiamo celebrato la nascita avvenuta sessant'anni fa, il 2 ottobre del 1955. Pochi sanno che quando Arrigo Benedetti ed io proponemmo ad Adriano Olivetti e al presidente dell'Eni, Enrico Mattei, di finanziare la nostra iniziativa, il progetto che avevamo formulato era un giornale quotidiano, in gran parte simile a Repubblica. Simile nel formato e nella linea culturale e politica. Mattei era disposto a farlo, Olivetti ci propose invece di ripiegare su un settimanale poiché le sue disponibilità finanziarie non erano in grado di editare un quotidiano. Noi preferimmo avere come editore Olivetti che il presidente di un ente pubblico come l'Eni, ma il nostro progetto di quotidiano era talmente piaciuto a Mattei che sette mesi dopo l'uscita dell'Espresso l'Eni pubblicò il Giorno. Ebbe un buon successo corrispondente ad una vendita di 200 mila copie, soprattutto nel Nord. Il formato era quello attuale di Repubblica e - come il nostro progetto nato vent'anni dopo - aveva abolito la terza pagina dedicata alla cultura, spostandola verso il centro del giornale; le pagine due e tre contenevano il fatto quotidiano più importante mentre i commenti politici ed economici erano collocati nelle pagine sei e sette.
Ricordo queste cose perché Repubblica nasce da un'idea che non ha 40 ma 60 anni di vita e non è un caso che nel 1976 tra i più importanti giornalisti assunti da me nelle settimane precedenti all'uscita di questo giornale molti provenivano dalGiorno come Giorgio Bocca, Natalia Aspesi, Fausto De Luca, Giovanni Valentini; altri per restare con noi lasciarono la Stampa (Sandro Viola) e il Corsera (Edgardo Bartoli); altri ancora provenivano da Paese Sera, dall'Unità e dall'Ora di Palermo (Miriam Mafai, Giorgio Signorini, Franco Magagnini, poi Sebastiano Messina, Giuseppe D'Avanzo, Antonio Polito).
I giornalisti cofondatori di Repubblica sono stati professionalmente molto dotati e quelli più giovani hanno imparato benissimo il mestiere dopo un'esperienza sul campo di pochi mesi. Il loro orientamento politico era di provenienze molto diverse, alcuni comunisti, altri liberalsocialisti o socialisti, altri ancora moderati ma appena entrati a far parte parteciparono rapidamente alla linea del giornale che ebbe fin dall'inizio una sorta di Dna che rimonta a Piero Gobetti, ai fratelli Rosselli, a "Giustizia e Libertà" e al Partito d'Azione. Questa linea era la stessa di personalità del tipo di Valiani, Calogero, Omodeo, Salvatorelli, Jemolo, Norberto Bobbio, Riccardo Lombardi, Paolo Sylos Labini, Spriano, Ugo La Malfa e, sia pure con veste marxista, Antonio Gramsci, Antonio Giolitti, Bruno Trentin, Luciano Lama, Sandro Pertini, Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao, Giorgio Napolitano, Alfredo Reichlin, Giovanni Amendola, Negarville e Terracini. Dall'altro lato dello schieramento politico posso fare i nomi di De Gasperi, Dossetti, Ciriaco De Mita, Sergio Mattarella. Erano cattolici ma profondamente democratici e come tali una vicinanza se non addirittura una partecipazione ai valori che l'Espresso prima e Repubblica poi hanno sempre sostenuto e cercato di diffondere nel Paese.
Per concludere parlerò ora dei valori che formano la sostanza del nostro lavoro giornalistico. Si riassumono in nove parole: libertà, eguaglianza, fraternità, giustizia, democrazia, divisione dei poteri costituzionali, diritti, doveri, innovazione. I primi tre, libertà eguaglianza fraternità, derivano dall'Illuminismo inglese e soprattutto francese e dalla grande rivoluzione del 1789 quando il Terzo Stato diventò costituente e il potere assoluto cadde per far luogo al potere costituzionale. Le ripercussioni - sia pure con drammatiche fratture e mutamenti regressivi - si diffusero in tutta l'Europa ed anche negli Stati uniti americani. Le bandiere a tre colori e l'inno della Marsigliese divennero i simboli di quella nuova e rivoluzionaria cultura. Soprattutto i primi due, libertà e eguaglianza. L'una non può vivere senza l'altra perché libertà senza eguaglianza diventa privilegio dei forti sui deboli e eguaglianza senza libertà diventa una caserma dove comandano demagoghi e/o tiranni.
La giustizia è il canone giuridico dell'eguaglianza, i diritti e i doveri sono reciprocamente dovuti dallo Stato ai cittadini (i diritti) e dai cittadini allo Stato (i doveri). Infine l'innovazione rappresenta la spinta, il motore, i desideri che alimentano la vita evitando un letargo che comprime la vita in un percorso ripetitivo senza alcuna creatività. Questi sono i nostri valori e questa è la pubblica opinione della quale siamo la voce. Un'opinione sostanzialmente laica che però ha recentemente incontrato Papi innovatori e perfino rivoluzionari come nell'ultimo cinquantennio sono stati Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e soprattutto Francesco, il più rivoluzionario di tutti i suoi predecessori. Se guardate papa Francesco da laici e anche da non credenti vi accorgerete che quella voce esprime i nostri valori,
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