Mai, ovviamente, Israele è stato condannato o sottoposto a sanzioni per le sue attività letali. E mai in Occidente si levano parole di condanna come è avvenuto anche per l’uccisione dello scienziato nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh, stigmatizzata da Russia, Cina e pochi altri, certo non in Europa che al massimo «esprime preoccupazione» per le tensioni regionali. Israele non si tocca: è anche la prima lezione delle scuole di giornalismo nostrane. Per fortuna gli israeliani hanno anche una stampa eccellente quindi attingiamo da loro per prendere informazioni.
Il maggior esperto del Mossad, Ronen Bergman, inviato del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth e autore di «Uccidi per primo», ritiene che i servizi israeliani abbia ucciso almeno 2700 persone in tutto il mondo: una cifra mai smentita da Tel Aviv. Immaginate se l’intelligence di qualunque altro Stato avessero condotto all’estero in questi decenni operazioni mortali del genere, cioè omicidi mirati, come ha fatto Israele: probabilmente questo Paese non sarebbe più da un pezzo sulla mappa.
I servizi dello Stato ebraico, in collaborazione con gli americani e l’opposizione clandestina dell’Mko finanziata da Usa e Israele, hanno fatto fuori almeno quattro-cinque scienziati iraniani nell’ultimo decennio. Nel 2010 Usa e Israele hanno attaccato con un virus informatico micidiale, denominato Stuxnet, l’impianto nucleare di Natanz mettendo fuori uso circa 500 turbine. Soltanto nel 2020 Israele ha danneggiato con varie esplosioni la centrale di Parchin, ancora una volta quella di Natanz e pure quella di Isfahan.
Sarebbe utile ricordare che con l’accordo sul nucleare del 2015 voluto anche da Obama e stracciato da Trump nel 2018, su pressione di Israele e delle monarchie del Golfo, gli impianti iraniani erano sottoposti a regolari ispezioni dell’Aiea. L’Iran ha firmato tra l’altro il Tnp, il Trattato di non proliferazione nucleare, mentre Israele che al contrario di Teheran ha l’atomica e un centinaio di testate nucleari, non ha mai aderito a nulla. Lo Stato fuorilegge sarebbe quello ebraico, non la repubblica islamica iraniana. Ma come si è detto vige il doppio standard: Israele fa quello che vuole, agli altri vengono imposte le sanzioni. E nessuno osa protestare: c’è una sorta di perenne sudditanza ai governi di Tel Aviv cui tutto è concesso.
L’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh è stato un omicidio politico, non rispondeva a un pericolo immediato. Aveva il solo scopo di provocare una reazione degli ultraconservatori iraniani, mettere spalle al muro i moderati come il presidente Hassan Rohani, in vista anche delle presidenziali del 2021, e tenere alta la tensione quando manca un mese al primo anniversario dell’uccisione a Baghdad da parte degli americani del generale iraniano Qassem Soleimani.
Ma soprattutto è il messaggio che il premier Netanyahu d’accordo con Trump ha inviato a Biden, disponibile a riprendere un negoziato con l’Iran. Come sottolinea Thomas Friedman sul New York Times quello che Israele e le monarchie del Golfo temono davvero non è l’inesistente atomica di Teheran ma la precisione dei missili iraniani, forse gli stessi usati dagli Houthi yemeniti per colpire l’Aramco nel 2019. Per questo è nato il Patto di Abramo: Israele, sauditi ed emiratini vogliono evitare che Biden torni all’accordo sul nucleare prima di un’intesa sui missili.
Per questo il Mossad fa la sua guerra e la sua convincente e letale «diplomazia». Ormai è sempre più complicato distinguere tra un tempo di pace e un tempo di guerra. Siamo di fronte a conflitti che non finiscono mai, come dimostra l’uccisione dell’ultimo scienziato iraniano. Con un’unica costante: solo il Mossad ha licenza di uccidere, gli altri sono «terroristi» o fuorilegge. Ma chi decide la legge?
----------------------------
*Il Manifesto, 1 dicembre 2020. Ripubblichiamo su gentile concessione de l'Autore
Nessun commento:
Posta un commento