Bergoglio irrompe come un gong, insieme alla campana di Valadier, nell’ora degli auguri: "Vaccini per tutti".
“Vaccini per tutti”. Morbide, ovattate le parole di Francesco accarezzano la cute dei media, pelle del pianeta. Quindi all’improvviso si fanno pungenti, nella siringa del microfono. Quanto basta per bucare lo schermo e impennare la suscettibilità dell’establishment. Livido di lutti e zone rosse. A mezzogiorno del dies natalis e nel crepuscolo dell’annus horribilis.
Bergoglio rompe gli indugi e irrompe come un gong, insieme alla campana di Valadier, nell’ora degli auguri. Lanciando lo slogan e denunciando il presagio che incombe fatale, sotto le nuvole di un cielo plumbeo: “In questo tempo di oscurità e incertezze appaiono diverse luci di speranza, come le scoperte dei vaccini … devono stare a disposizione di tutti”.
Natale in fondo per un Papa costituisce, di per sé, il richiamo di un “vaccino”. Ancestrale, universale. Somministrato in simultanea Urbi et Orbi, a milioni di dosi. Per risvegliare l’anticorpo, divino, dell’uguaglianza, disceso un tempo nelle vene degli uomini. Una mission che Francesco, nell’anno del virus, sperimenta in maniera più emblematica e pregnante, drammatica e incalzante di ogni suo predecessore, scalando i gradini dello share ed entrando nelle case di un mondo agli arresti domiciliari.
“Grazie a questo Bambino, tutti possiamo chiamarci fratelli. E questo vale anche nei rapporti fra i popoli e le nazioni. Fratelli tutti!”.
Firmata in solitudine sulla tomba di Assisi, l’enciclica si fa carne in mondovisione, nella culla di San Pietro. Dalla piazza del Bernini all’aula “bunker” delle Benedizione. Nemesi della Chiesa che si concepisce in uscita, costretta però a rimanere “intra moenia”, nelle mura della propria cittadella, mentre il Covid assedia e insidia lo stato maggiore del collegio cardinalizio.
“Questo è il Natale della crisi sanitaria, economica e persino ecclesiale”, ha riconosciuto all’inizio della settimana, senza mezzi termini, nell’allocuzione alla Curia.
Esposto ai rovesci della tempesta perfetta, Bergoglio è consapevole di trovarsi davanti a un appuntamento con la storia, di quelli che sintetizzano un’epoca intera. E avverte il peso della doppia posta, visualizzata nel “due volte venti”: dove in gioco non c’è solo il tormento e calvario del secolo ventunesimo - caduto già per la terza volta, come una Via Crucis, dopo i Subprime e le Twin Towers -, ma il proseguimento e itinerario del Millennio medesimo, dando la sensazione che a essersi ammalata e naufragare sia l’idea del futuro. Non un suo mero e provvisorio segmento temporale.
Se Pasqua dunque aveva “risuscitato” la figura e il protagonismo di Francesco, sotto la pioggia di una maledetta primavera, energizzando e spettacolarizzando la sua solitudine, Natale ha invece il compito più arduo di far rinascere il messaggio di speranza del cristianesimo, attualizzando e concretizzandone la sostanza, sotto l’attacco, e scacco, di un nemico invisibile: che rende il mondo invivibile. Contagiandolo col pensiero che nulla tornerà come prima e riconteggiandone, ergo, la cronologia. Nel lungo, interminabile inverno della pandemia.
B.C.: Before Christ or before Covid? E’ ancora Cristo, a venti secoli e vent’anni dalla natività, il reset del discernimento tra un prima e un dopo nella storia dell’umanità? Oppure, più o meno inconsciamente, siamo portati a differire di due decadi e attribuire all’avvento del virus lo switch del Terzo Millennio e di una nuova era?
L’erosione del depositum fidei della cristianità, in questo caso, non si attua sul piano fisico e materiale, negli esodi provocati dalle persecuzioni politiche, o filosofico e culturale, negli esiti prolungati delle concezioni relativistiche, ma psicologico e subliminale: nei gangli e meandri dell’immaginario collettivo. E’ lì che l’annuncio evangelico, alla stregua di un vaccino, cerca d’intercettare il suo avversario: capace di modificare tutte insieme, per la prima volta, le abitudini di vita di miliardi di persone in ogni dove.
Non era infatti mai successo che il Natale subisse un assalto tanto esteso e radicale da metterne in discussione, a un tempo, il senso e il consenso. Il primato nel calendario e il significato nel dizionario. In breve, la sua centralità di evento spartiacque.
Nemmeno i più micidiali rivoluzionari e azzeratori sociali, del calibro di Stalin e Robespierre o, più recentemente, non meno ferocemente, Pol Pot e Al Baghdadi, erano riusciti a minarne – minacciarne, con la profondità e vastità del Covid, l’essenza e consistenza.
Profondità: perché il processo di rimozione, a differenza delle dittature, non è indotto forzosamente da fuori, bensì agisce subliminale da dentro, dall’interno delle coscienze.
Vastità: poiché la mutazione si dispiega e inibisce in modalità bilaterale il respiro del mondo, da Oriente a Occidente, beneficiando del volano e orizzonte no-limit della globalizzazione.
Così, a ondate successive, in assenza dell’Urbe, la piazza vuota si trasforma e diventa, nel discorso del Pontefice, un’ultima spiaggia dell’Orbe.
Accanto ai bastimenti di conflitti arenati e cronicizzati - dal Siraq alla Palestina, dalla Libia al Venezuela, dallo Yemen all’Ucraina - la tempesta perfetta conduce a riva i relitti delle cause dimenticate, dagli Yazidi al Mozambico, dal Nagorno – Karabach ai Rohingya, dal Mali al Sud Sudan.
Di fronte al virus dell’individualismo e all’epidemia di nazionalismi, che aumentano le distanze tra popoli e classi sociali, la terapia intensiva delle mediazioni politico – diplomatiche non tiene più. Quanto meno difetta di posti disponibili.
E la fratellanza, col suo ancoraggio all’eterno mito del Dio bambino, garante ultimo della dignità di ogni uomo, appare l’unico fondo di recupero e meccanicismo di stabilità in grado di scongiurare un ulteriore deriva del Terzo Millennio, mentre il suo terzo decennio si accinge, febbricitante, a incominciare.
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