Torino, 18.12.2020, sit-in scuola davanti al palazzo della Regione Piemonre in piazza Castello
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La didattica a distanza sta acuendo la spersonalizzazione dei ragazzi. L'urgenza di ripartire.
Daniela ha 16 anni, non si sente accettata dai suoi pari, ha sempre avuto difficoltà a fare amicizia anche a scuola, si vede brutta, anche studiare è difficile, adesso di più. “Aspettavo di vedere i miei compagni ogni mattina, sperando che qualcosa cambiasse nella mia vita, non era molto, ma era almeno una speranza. Adesso sono costretta a stare in casa. Non vado d’accordo coi miei. Sto chiusa nella mia stanza e aspetto che finisca tutto questo. Sto soffrendo molto”. Alessandro è sempre lo stesso, 18 anni, un’aria scanzonata e la pungente ironia a difenderlo dalla sua timidezza. Ha un rammarico: “Quello che ricordo della scuola, alla fine, sono le sciocchezze che fai e dici con i tuoi compagni, le chiacchierate, le banalità ma anche le cose importanti che ti scambi, magari con un’occhiata. Non è lo studio a preoccuparmi, se hai voglia studi anche a casa, e le spiegazioni dei prof sono interessanti o noiose allo stesso modo, quello che mi mancherà per sempre è altro, sostituito da un buco nero, questi due anni passati davanti al pc piuttosto che a fianco dei miei amici in classe”.
Una ricerca della prof.ssa Sarah-Jayne Blakemore, del Dipartimento di psicologia dell’Università di Cambridge avverte: “A causa dell’impatto della pandemia di Covid-19, molti giovani in tutto il mondo hanno attualmente un numero sostanzialmente inferiore di opportunità di interagire faccia a faccia con i colleghi nella loro rete sociale in un momento della loro vita in cui questo è cruciale per il loro sviluppo. Anche se le misure di allontanamento fisico sono temporanee, diversi mesi rappresentano una parte importante della vita di un giovane”. Ed ancora, la prof.ssa Eveline Crone, dell’Università Erasmus di Rotterdam che ospita il progetto PROSOCIAL, dice: “Il virus sembra una guerra che dobbiamo combattere, il livello di fiducia è molto alto. Detto questo, si sono registrati anche alcuni casi isolati, ma preoccupanti, di comportamenti antisociali negli adolescenti”. Il rischio, paventato da Eveline Crone, è “che la crisi aumenti le disuguaglianze sociali che colpiranno soprattutto gli adolescenti che già prima della crisi avevano meno opportunità” e che adesso affronteranno il mondo del lavoro profondamente colpito dalla crisi economica conseguente alla pandemia.
Gli adolescenti sono come un vaso di cristallo, lucente, trasparente, forte, ma anche fragile e pronto ad andare in mille pezzi se non se ne ha cura. Soprattutto gli adolescenti, i ragazzi che abitano le nostre scuole, sono, con poca retorica, effettivamente, il nostro futuro. Da loro dipenderà la piega che prenderanno le cose nel mondo tra dieci, vent’anni.
Si tratta di una generazione che ha già trasferito parte delle relazioni sociali in presenza in relazioni virtuali, a distanza. C’è da dire che la didattica a distanza, al di là delle profonde lacune culturali che determina soprattutto negli studenti più fragili, acuisce un processo di spersonalizzazione purtroppo già comune nei nostri giovani, cosiddetti “nativi digitali”. I ragazzi sono già immersi in un sistema relazionale all’interno del quale la fisicità, i segni di trasmissione del linguaggio del corpo sono sostituiti da uno schermo, che sia il cellulare o il tablet o il pc poco importa, che comprime i segnali in poche parole, inventando un linguaggio scarno, freddo, da riempire emozionalmente sul piano interpretativo. E’ un mondo dove prevalgono le emozioni forti e le risposte immediate, compulsive. Un mondo che forse diventerà anche il loro ambiente lavorativo, almeno in parte, con uno smart working più economico per le grandi aziende e perciò giocoforza vincente a lungo termine. Si tratta di una direzione precisa e il coronavirus, la pandemia, ha accelerato la corsa verso questa nuova dimensione sociale e lavorativa. Il prezzo da pagare è però, e sempre di più, l’isolamento, il silenzio della propria stanza, la sostituzione dello spazio e della libertà fisica con trame di segnali elettromagnetici che rimbalzano nello spazio vuoto alla ricerca dell’altro.
I ragazzi, già fragili dal punto emotivo e psicologico, con la didattica a distanza sono esposti all’attacco di nemici silenziosi che si insinuano furtivamente minandone l’integrità: solitudine, depressione, demotivazione che si vanno a combinare in una miscela esiziale alle tante insicurezze sul futuro che una società sempre più spersonalizzante offre loro.
La scuola è uno dei pochi baluardi che ancora reggono, sul piano della relazionalità autentica, della sicurezza emotiva, della certezza di trovare il bandolo della matassa in un mondo sempre più aggrovigliato su stesso.
E’ importante che la scuola riparta in presenza, che insegni ancora il valore delle cose semplici, un ammiccamento, un sorriso, una pacca sulle spalle, i passi nervosi e trionfanti nei corridoi, il suono delle parole e i gesti all’entrata o all’uscita, tra i banchi. E’ importante che ricominci da subito e che duri.
Silvana, 18 anni, quinto liceo, dice: “Il primo lockdown l’ho retto. E’ stato difficile e ho avuto paura ma sapevo che era l’unica soluzione chiudermi a casa. Adesso non ce la faccio, avrei voglia di urlare. Sono stanca di queste pareti, di questa luce che passa attraverso la finestra mentre sta passando anche la mia adolescenza. Chi mi ridarà indietro i miei 18 anni?”.
Urgono misure razionali e certe, urge uno sforzo titanico, ma necessario. Trasporti, misure ad hoc, medici all’interno delle scuole, un tracciamento più organizzato e razionale. La scuola in presenza non è a rischio zero, non va nascosto, ma proprio per questo, e per la inderogabilità della sua riapertura, è necessario che si faccia tutto il possibile, che vengano impiegate misure e sforzi straordinari da tutte le parti, perché si cerchi di recuperare ancora i nostri giovani e il nostro Paese.
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