La proposta della Banca centrale tedesca potrebbe far schizzare i debiti dei Paesi Ue
Una proposta della Banca centrale tedesca, prima “azionista” della Bce, che potrebbe minare il Recovery Fund e avere effetti dannosi su alcuni Paesi del Sud Europa, tra cui l’Italia, se prendesse quota. Nel suo ultimo rapporto mensile, gli esperti della Bundesbank hanno lanciato l’idea di applicare i controversi parametri di Maastricht su debito e deficit anche alle risorse che verranno distribuite da Bruxelles agli Stati membri con il Recovery Fund.
La proposta viene motivata dall’esigenza di trasparenza nella contabilità nazionale, ma dietro non appare difficile intravedere l’approccio di un certo establishment tedesco da sempre allergico all’idea di contrarre debiti, tanto più se si tratta di debiti condivisi con gli altri Stati membri dell’Unione Europea, e soprattutto tradisce il desiderio di ritornare alle vecchie regole sulla disciplina di bilancio, ora sospese, quanto prima una volta superata l’emergenza pandemicaGli indicatori attuali “non mostrano il debito e i deficit” contratti a livello europeo “e quindi non sono adeguati”, si legge nel rapporto della Bundesbank. “Ciò comporta il rischio che queste passività sfuggano di vista” e “potrebbe aumentare l’incentivo a trasferire ulteriormente i prestiti a livello europeo”. Cosa vuol dire? L’Ue, com’è noto, ha approvato il Recovery Fund, il fondo da 750 miliardi per combattere la pandemia che verranno trovati da Bruxelles sui mercati attraverso le emissioni di debito comune. Il Recovery si divide in due quote, una di prestiti (360 miliardi) dall’Ue agli Stati membri, e una - soprattutto - di sussidi, per circa 390 miliardi. Questi ultimi, a differenza dei prestiti, sono sovvenzioni “a fondo perduto”, e non vanno perciò ad aumentare - nell’immediato - il livello di debito pubblico del Paese che ne beneficia. Tuttavia, secondo la Bundesbank, i deficit - per quanto condivisi - creano un onere futuro definito per gli Stati membri, dal momento che per ripagarli dovranno attingere al bilancio Ue e alle “risorse proprie”. Motivo per cui è “particolarmente importante” tenerne conto nell’interpretazione degli indicatori nazionali.
Ecco quindi la proposta: quantificare il contributo nazionale al Recovery Fund e inserirlo nella contabilità nazionale dei Paesi membri. In questo modo, però, aumenterebbero certamente i livelli di deficit e debito, quei parametri di cui bisognerà tener conto quando il Patto di Stabilità sulla disciplina di bilancio ritornerà in vigore. Parametri, per altro, già oggetto di una revisione scientifica anche da parte delle istituzioni europee perché rivelatisi fallimentari e che, nel caso dell’Italia, hanno certamente contribuito a frenarne la crescita dopo la crisi finanziaria del 2009. Secondo le norme del Recovery Fund, lamenta la Bundesbank, una volta ricevuti i sussidi Ue, gli indicatori nazionali non registreranno il debito aggiuntivo, ma fornirebbero una immagine distorta della contabilità nazionale di uno Stato. “Anche se gli indicatori nazionali sembreranno migliori, le finanze statali non saranno complessivamente migliori”, spiegano gli economisti della Banca centrale.
Se passasse una proposta simile, è chiaro che verrebbe meno gran parte dell’utilità del Recovery Fund per determinati Paesi, quelli del Sud Europa gravati da debiti pubblici più elevati rispetto al Nord. Ed è altrettanto chiaro che condizionerebbe non poco l’accesso alle risorse europee. Secondo Achim Truger, membro “colomba” del Consiglio degli esperti economici della cancelliera Angela Merkel, con una simile idea “l’effetto espansivo desiderato del fondo e quindi le prospettive del suo successo macroeconomico si ridurrebbero notevolmente”, ha commentato via twitter.
D’altro canto, per far fronte ai debiti contratti dai Paesi contro la crisi pandemica, la Bce ha messo in campo il suo “bazooka” con l’obiettivo - finora raggiunto - di tenere sotto controllo i rendimenti dei titoli di Stato. Con il suo programma Pepp, Francoforte ha acquistato più di 700 miliardi di debito dell’Eurozona da marzo a oggi. Ma da un po’ di tempo la Bundesbank sta cercando di tirare il freno anche all’azione monetaria della Bce. Pochi giorni fa in un discorso all’Università Humboldt di Berlino il presidente Weidmann ha criticato le misure di politica monetaria per far fronte alla crisi del coronavirus adottate dal Consiglio direttivo della Bce il 10 dicembre scorso, con l’aumento e l’allungamento del suo programma di acquisto di titoli Pepp. Weidmann ha affermato che è “certo” di come “ultimamente” vi fosse “bisogno di un intervento di politica monetaria” da parte della Bce, tuttavia la quota di titoli in pancia all’istituto di Francoforte “non dovrebbe diventare troppo grande. Altrimenti, vi è il rischio che la politica monetaria acquisisca “un’influenza troppo dominante sul mercato e livelli le differenze nei premi di rischio dei titoli di Stato”. E questo, ha avvertito Weidmann “indebolisce ulteriormente la disciplina di mercato”. Perché è alle vecchie regole che bisogna ritornare: “Si deve stare attenti che le misure di politica monetaria di emergenza non diventino permanenti: devono essere ridimensionate dopo la crisi”.
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