venerdì 11 dicembre 2020

x HUFFPOST Alessandro De Angelis - Renzi-Conte, teatrino di crisi

 


"Rottura", "voto" e "verifica". In assenza di regia, la voglia di rimpasto ha portato la situazione fuori controllo

Il salto di qualità è nella parola “crisi di governo”, pronunciata da un leader di maggioranza, mentre il premier è allo “storico” Consiglio europeo di Bruxelles. Evoca lo spettro dell’instabilità, l’Italietta delle coalizioni litigiose e dei governi fragili che cambiano con una certa disinvoltura. Racconta spesso Romano Prodi che una volta, dopo il suo primo vertice internazionale, l’allora cancelliere Khol, salutandolo gli chiese: “Chi verrà la prossima volta, al posto suo?”. È la stessa domanda che avrebbero potuto rivolgere a Conte oggi la Merkel o Macron, perché le parole hanno un peso, anche se tattiche, strumentali, funzionali al teatrino nostrano.

L’intervista di Renzi al Pais squaderna comunque una crisi sostanziale e, con essa, l’immagine di un premier allo sbaraglio in un contesto internazionale anche con una certa personale responsabilità, propria di chi ha coltivato più la prassi del rinvio che soluzione dei nodi politici che, non da oggi, attanagliano la sua maggioranza. È vero: le parole del leader di Italia viva non sono dissimili da quelle pronunciate al Senato qualche giorno fa. Però l’enfatica riproposizione, con toni quasi da opposizione in questa giornata, in questo contesto, e dopo che il premier sostanzialmente sulla cabina di regia ha ingranato la retromarcia, dicendosi pronto a ridiscutere tutto, rivelano che la questione va ben oltre il barocco strumento di tecnici e consulenti pensato per gestire il Recovery.

nsomma, il problema è la regia più che la cabina. Perché la situazione è, tecnicamente, fuori controllo, in una situazione in cui tutti gli attori sono in una sorta di overdose. Chi ha parlato con Renzi ha avuto la sensazione che sia gasato come nei momenti migliori, determinato, per nulla intenzionato a chiuderla in tempi brevi, perché “così non si va avanti” e il punto è tutto politico: o Conte accetta un chiarimento vero oppure andrà fino in fondo. I Cinque stelle, partito ancora di maggioranza relativa in overdose da confusione, avvitati in una discussione interna iniziata ad agosto e non conclusa neanche a Natale, tra fronde espliciti e implicito compiacimento da parte di chi non è al governo per il rosolamento di Conte. Il Pd in overdose letargica, intesa come mediazione a oltranza, tra proposte di “canali di dialogo” e suggerimenti di collegialità, che paventa il voto anticipato come deterrente nei confronti di Renzi.

Dietro questo atteggiamento di “responsabilità” a oltranza c’è la richiesta al premier di un’iniziativa. Glielo hanno spiegato più volte: se si va avanti così, a navigare finché regge secondo gli schemi di Casalino, prima o poi si affonda, perché la ricostruzione è un affare politico serio; e allora chiamati in una stanza i leader della maggioranza, trova un accordo, guida tu anche un’operazione che arriva a un nuovo governo che coinvolga di più i partiti ai loro massimi livelli, anche dando all’operazione una nuova e più solenne narrazione nel rapporto col paese, che vada oltre i posti a tavola nei cenoni e i viaggi tra i comuni. Chiedono cioè a Conte di gestire una crisi pilotata con l’abilità di D’Alema, la voce empatica della Merkel, lo spirito di un domatore di leone con Renzi. Ovvero di diventare all’improvviso ciò che non è sfoggiando una capacità di leadership oggettivamente superiore alla sua storia. E anche alla sua cronaca quotidiana, fatta di “vedremo” e di promesse di “confronto”, nutrita di scetticismo verso la politica e i partiti e di fede assoluta verso il Dio della comunicazione, tra conferenze stampa e spifferi ai giornali. L’ultimo sul fatto che sarebbe pronto ad andare al voto.

In questo surf sull’acqua in ebollizione di un paese in crisi in cui dal dibattito politico è rimossa la parola “morti” (altra differenza non banale con i paesi di cui sopra) la tragedia è che non c’è un vero “stabilizzatore”, che si ponga il problema della way out, di una idea per andare avanti oltre la tattica, anche intesa come sfida. Ad esempio, se si mette davvero in conto il voto e anche il Pd ne è convinto, uno trova il coraggio di andare alle Camere per chiedere un voto di fiducia e, a quel punto, o si riparte senza questa confusione o ci si conta nel paese. Se il punto è la verifica, invece che sui giornali, ci si chiude in una stanza, si chiedono panini e caffè e non si esce finché non c’è un accordo.

Ma siccome invece tutti sanno che è difficile votare tra una seconda ondata che non finisce, una terza che ancora non comincia e la campagna sui vaccini da mettere a terra, tutto il gioco ruota attorno a un non detto perché la parola è ritenuta disdicevole: il famoso rimpasto di gennaio, a finanziaria approvata. Di questo, al fondo, si sta parlando. E proprio perché Conte è Conte, non è D’Alema, non è la Merkel né un domatore di leoni è restio in quanto pensa che è una trappola per favorire il suo trasloco. Se fosse un politico l’avrebbe già chiusa, assicurandosi un altro biglietto per Bruxelles. 

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