Questa verifica è solo un rituale di sopravvivenza di un ceto politico, a prescindere dalla sopravvivenza delle persone.
Alessandro De AngelisViceDirettore
È chiaro: è una mossa. Per tenere aperta la crisi strisciante. Evidentemente anche per prendere tempo. Certo è tattica, in una situazione di dominio assoluto della tattica. Renzi, letti i giornali, decide, col pretesto che il ministro Bellanova è a Bruxelles, di far saltare l’incontro col premier. Poi scrive una e-news in cui maliziosamente loda Draghi, per analisi e visione (che è un po’ come sventolare un drappo rosso nella corrida) e ribadisce che, se non si farà una discussione seria a partire da un documento che presenterà al premier quando sarà, le poltrone delle sue ministre sono a disposizione.
Insomma, Conte sta provando a troncare, sopire, tra predisposizione “ascolto”, “confronto approfondito”, l’altro vuole portare la discussione sul suo terreno, consapevole che questi incontri, così come si svolti finora, non servono a nulla, come raccontano anche i presenti del Pd. E assicura che fa sul serio: per un po’ il gioco sarà tutto così, incontri, bluff, rilanci, attesa della contromossa; si approverà la finanziaria, poi arriverà il tempo di una “mossa” che spariglia, al momento datata all’inizio del prossimo anno. E che non è vero ciò che maliziosamente si sussurra nel Palazzo, e cioè che i suoi gruppi sono spaventati dall’eventualità del voto, inducendolo a una retromarcia. Di mosse a disposizione in questo gioco Renzi ne potrebbe fare parecchie, rispolverando i classici dei “chiarimenti”: c’è sempre un “più uno” giocando sul filo. E figuriamoci se il premier, esperto a sua volta in tattiche dilatorie, ha intenzione, come di dire “vedo”, giocando d’anticipo. In fondo, basterebbe andare in Parlamento, chiedere un voto di fiducia su un programma e chiudere la storia: o la va o la spacca. Soprattutto se fosse vero ciò che viene detto senza paura del pericolo e cioè che si è pronti al voto (altra chiacchiera tattica).
Morale, direbbe il poeta: qui si ciurla nel manico, tra “tagliandi”, “cambi di passo”, “riassetti”, “chiamate delle energie migliori”, “raccolta dei contributi”, “ricerca delle sinergie”, “tavoli”, “ascolti”. Con un certo compiacimento dei protagonisti che hanno ritrovato il palcoscenico dell’inconcludenza, al punto che dalle prime pagine dei giornali è scomparsa la parola “morti” e si parla di “verifica” o di tutti i sinonimi possibili della parola bandita che però è l’unica che andrebbe usata perché di questo si tratta: rimpasto. Di questo si sta parlando adesso che all’ordine del giorno c’è la discussione sul Recovery: di chi avrà potere per gestire una valanga di soldi. Quali uomini e quali strutture.
Non c’è da scandalizzarsi, la politica è anche questo. Basterebbe chiamare le cose con il loro nome senza l’ipocrisia di una discussione iniziatica. Se però è solo questo, è la tumulazione della politica, come emerge da tutto il resto. Tutto il resto è la seconda ondata ha fatto pressoché più morti della prima, ma per il premier “le misure stanno funzionando” perché “abbiamo evitato il lockdown generalizzato”. E poco importa che le misure in questione per evitarlo, compreso lo spostamento tra comuni diventato oggetto di baratto politico con le opposizioni e date per sufficienti solo una settimana fa al 24esimo dpcm saranno messe in discussione nel 25esimo con la creazione di una zona rossa o arancione per il Natale. E ancora, tutto il resto è la vicenda del rapporto dell’Oms, in relazione all’aggiornamento del piano pandemico italiano non meritevole di essere chiarita in Parlamento.
Il confronto su come affrontare una terza ondata data per ineluttabile anche dal punto di vista economico fuori dal dibattito politico, come se non fosse politica. Tutto racconta che dalla cosiddetta verifica è rimosso il tema dell’emergenza sanitaria, ovvero il principio di realtà. Detta in modo brutale: ci sono i soldi e il potere, meno la salute. A conferma di quel che questa verifica è: un rituale di sopravvivenza di un ceto politico, a prescindere dalla sopravvivenza delle persone. Che, ad oggi, ancora non sanno cosa potranno fare a Natale, ma hanno appreso che a palazzo Chigi ci sono una serie di incontri con i partiti dove non si capisce di cosa si parli, con l’evidente sensazione in questa fase di angoscia di essere in mano a una classe dirigente la cui responsabilità è superiore al proprio spessore, persa nel proprio particolare. Un vecchio intellettuale francese avrebbe urlato, con una qualche ragione, al tradimento dei chierici.
- Alessandro De AngelisViceDirettore
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