Contatti col Pd dopo l’ultimo intervento tv del premier. E si lavora a una road map della crisi.
«L’esperienza del Conte 2 per me è già archiviata. Se volete discutiamo sul dopo». Renzi non si capacita del fatto che alcuni suoi ex compagni di partito continuino a non credergli, e ancora ieri — parlando dell’esecutivo — gli è toccato ripetere il ritornello sul «game over», «anche perché dovrei nascondermi su Marte se cambiassi idea». Ed è un’idea che si è rafforzata dopo la performance televisiva del premier. «L’hai sentito cos’ha detto sulla delega dei servizi?», ha commentato con un dirigente del Pd: «Ne ha fatto un problema di partito. Battuta degna di un analfabeta istituzionale». Renzi non teme le contromosse che mirerebbero a renderlo ininfluente in Parlamento, le voci sulla tenuta dei suoi gruppi e il contemporaneo arrivo di un drappello di «responsabili» a sostegno di Conte: il suo conto alla rovescia verso la crisi «non si fermerà».
Il primo passo verrà formalizzato domani, quando presenterà le osservazioni di Iv alla bozza sul Recovery plan redatta da Palazzo Chigi: trenta pagine e un centinaio di obiezioni gli serviranno per bocciare «un collage di ovvietà senza visione, zeppo di ripetizioni e con paragrafi sbagliati». Il secondo passo sarà il suo intervento al Senato a fine anno, su una Finanziaria che voterà per evitare al Paese l’esercizio provvisorio. Il terzo, quello su cui molti nutrono riserve, avverrà «i primi giorni di gennaio, quando mi farò carico del coraggio anche per Di Maio e Zingaretti». La stoccata al ministro degli Esteri e al segretario del Pd serve a ricordare ciò che un esponente dem al governo non fatica a riconoscere: «Un mesa fa circa, metà del mio partito e un pezzo di M5S avevano stretto un patto con Renzi, tranne poi ritrarsi».
Quale fosse il motivo del malessere verso Conte era evidente: le forze di maggioranza non accettavano che il premier — con le sue mosse sul Recovery fund e i servizi segreti — «trasformasse le strutture dello Stato a propria immagine e somiglianza, con l’obiettivo di organizzarsi un partito personale per svuotare il Movimento, vampirizzare il Pd e annientare Iv». E poco importa oggi capire se non si volesse dar seguito alle critiche o se si siano anticipati troppo i tempi: il punto è che Renzi insiste a voler aprire il vaso di Pandora. In questo contesto l’idea che la legislatura possa precipitare verso le urne non sembra attecchire: «Le elezioni non esistono», taglia corto il capogruppo del Pd Delrio.
Il quadro della situazione testimonia comunque l’esaurimento della spinta propulsiva del Conte 2, che paradossalmente resta ancora in piedi per le diffidenze tra alleati. Ma siccome il Paese non può essere governato da un paradosso, come ha spiegato in un colloquio riservato il ministro della Difesa «bisogna intanto resettare tutto e ricostruire un clima di fiducia reciproco». È questo il presupposto indispensabile perché l’attuale coalizione possa trovare un nuovo equilibrio, siccome nei passaggi di crisi ognuno consegna un pezzo del proprio destino nelle mani degli altri.Così la maggioranza si trova al crocevia di una crisi che per ora non c’è ma che di fatto è già innescata. Il timing sarà scandito dalla gestione di una complicata trattativa sul governo che verrà, tra nuovi attori e vecchie rivalità. Il braccio di ferro a distanza tra Renzi e Franceschini, per esempio, è una storia che viene da lontano. Al momento le comunicazioni dirette sono interrotte, e uno manda segnali all’altro: se il leader di Iv stuzzica l’ex compagno di partito chiamandolo «Ribery», il ministro della Cultura ricorda di essere «tifoso della Spal non della Fiorentina»; se Franceschini sostiene che «con Matteo è impossibile mettersi d’accordo», Renzi considera «Dario una sorta di medico legale, che interviene solo all’ultimo momento per certificare i decessi politici».
Sarà un esercizio complicato, ma è la prova che si inizia a ritenere credibile l’offensiva renziana. E al fondo c’è una verità inconfessabile per i Cinquestelle e per il Pd: molti loro dirigenti sperano che Iv non faccia marcia indietro. Altrimenti non si capirebbe l’affannoso posizionamento che prelude a un cambio di scenario, le discussioni su chi e come potrebbe gestire la nuova fase. E non è escluso che alla fine — per effetto dei veti contrapposti — Conte arrivi a succedere ancora una volta a se stesso. «Può essere, anche se dare la fiducia a un Conte 3 — ha confidato Renzi a un esponente del Pd — mi costerebbe». Chissà perché su questo punto il dirigente dem ha sentito puzza di bruciato ed è rimasto sospettoso...
Nessun commento:
Posta un commento