giovedì 16 aprile 2020

Giuseppe Colombo - LO SCHIAFFO...di CARLO BONOMI designato nuovo Presidente di Confindustria.




Appena designato presidente di Confindustria, subito bordate alla politica che "non sa dove andare" per sconfiggere il virus. Attacco al governo per i ritardi e la proliferazione delle task force


Giuseppe Colombo x Huffington Post
Non è il momento dei festeggiamenti perché non c’è nulla da festeggiare con un Paese chiuso da più di un mese. E non è neppure il tempo dell’agenda che può aspettare qualche settimana, dei rapporti con il governo da testare nei giorni a venire, dell’apertura di credito che solitamente si dà a chi gioca nello stesso campo, leggere sindacati. Il virus, le fabbriche chiuse, gli industriali del Nord che premono, la catena di comando evanescente impongono a Carlo Bonomi, designato presidente di Confindustria, di prendere subito posizione. Ecco come lo fa: “La politica non sa dove andare”. È uno schiaffo al governo...
Bonomi, l’imprenditore di quel Nord dilaniato più di tutti dalla pandemia, il numero uno di quella Assolombarda che è la potentissima costola del sistema Confindustria in termini di Pil e fatturato, il favorito che ha portato dalla sua una valanga di imprenditori (ha battuto Licia Mattioli con un dirompente 123 a 60) e quindi la responsabilità di rappresentare le imprese di tutto il territorio nazionale. È con questo fardello che poco prima delle due del pomeriggio, quando sono passati appena quaranta minuti dall’esito del voto, parla dal quartier generale di viale dell’Astronomia per dire dove vuole portare la nuova Confindustria. Il tema non è quello delle relazioni tra i pezzi del sistema, ma rispondere alla grande questione della riapertura e soprattutto del come. Bonomi la indica come la priorità: “Bisogna riaprire le produzioni perché solo le produzioni danno reddito e lavoro e non certo lo Stato, che come un padre dispensa favori e non ha le risorse per farlo”.
Quindi riaprire, il prima possibile, rifiutando la logica dell’allungamento della lista con i famigerati codici Ateco, quelli che identificano le attività e che danno volto al punto di caduta scelto dal governo per puntellare il perimetro delle aperture ammesse durante il lockdown. Il taglio deve essere netto, non nel senso di un spalancate le porte, ma di un disegno compiuto, organico, che abbraccia tutte le attività, che non faccia discriminazioni tra una fabbrica che produce divani e una che costruisce ruote per le macchine agricole. È questo il primo punto che cozza con la visione del governo. Perché anche l’esecutivo parla di fase due, di ripartenza, ma né palazzo Chigi, né il comitato tecnico-scientifico, né la task force guidata da Colao, hanno messo sul tavolo uno straccio di strategia, un documento che dica, con chiarezza, il come, il dove e il quando della fine della serrata. Tutto confuso e sbagliato secondo Bonomi. Eccola la bordata al governo: “Vanno benissimo i comitati degli esperti, ma la loro proliferazione dà il senso che la politica non a capito, non sa dove andare”. Ancora: “Abbiamo un comitato a settimana senza poteri, senza capire dove si vuole andare”. 
Ma il posizionamento che Bonomi indica per la nuova Confindustria, e che allo stesso tempo diverge dalla direzione del governo, non è solo una questione di ampiezza della riapertura. Il punto è il come. E non è un caso se viene indicato come il “secondo obiettivo”. Bisogna riaprire garantendo la massima sicurezza ai lavoratori dentro le fabbriche perché, spiega, “una seconda ondata di contagio ci porterebbe a nuove chiusure drammatiche e devastanti per noi”. Il come di Bonomi è la fabbrica come posto sicuro, mascherine, app, tecnologie, distanziamento sociale. I modelli già ci sono e sono Fca e Marelli, che hanno riaperto e con tanto di accordo con i sindacati. Già, i sindacati. Accusati da Bonomi di ingiuriare le imprese. Fautori di un “pregiudizio anti-industriale” che sta montando nel Paese. Anche questo punto va affrontato subito perché o si gioca nello stesso campo oppure è arrivato il momento di dividere definitivamente le proprie vie. 
Quello che Bonomi tenta di fare è anche stoppare fin dall’inizio la narrazione degli imprenditori cattivi e spietati, che antepongono il fatturato alla salute dei lavoratori. Deve farlo perché questa è la grande accusa che viene rivolta a chi vuole riaprire subito. Sono gli imprenditori di Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia-Romagna. Quelli che macinano il 45% del Pil nazionale. Quelli che una settimana fa hanno lanciato un arrembaggio al governo, scavalcando la più cauta linea romana del presidente uscente Vincenzo Boccia. Bonomi difende le ragioni di chi si è rilevato determinante per la sua affermazione. Il Nord è il suo territorio, Milano è la sua bussola. Ma la difesa si ferma prima della condivisione della modalità della strategia. Il documento con cui si sono fatte avanti le territoriali delle quattro Regioni non è piaciuto a Bonomi per i toni scelti. Bene il punto in cui si ricorda al governo che la Germania va avanti e le aziende italiane rischiano di ritrovarsi senza mercato, ma non i modi. Non è questa la modalità che porterà al tavolo con il governo, fino al 20 maggio - data della ratifica della sua nomina - di fatto da uomo ombra di Boccia. 
E la linea non sarà tantomeno quella indicata da Attilio Fontana, il governatore della Lombardia che spinto da Matteo Salvini vuole riaprire tutto e subito. Chi ha avuto modo di sondare gli umori di Bonomi spiega che la fuga in avanti ha “un orizzonte politicista non condivisibile”. Perché è letto come un tentativo della Lega di smarcarsi dal disagio del caso Lombardia, quello dell’esplosione dell’emergenza sanitaria e delle inchieste sulle Rsa. Bonomi non cavalcherà questa linea, non vede di buon occhio la diatriba tra il governo e la Lombardia perché non porta a nulla. Non porta nulla alle imprese, che secondo quanto riporta la base guardano con maggior favore a Luca Zaia, il governatore del Veneto preso come punto di riferimento. La terza via di Bonomi, tuttavia, è qualcosa che esula dal colore politico. Almeno per ora. Nei prossimi giorni, quando si arriverà al dunque, bisognerà prendere posizione su un dato di realismo: se si vuole giocare la partita, allora bisogna confrontarsi con il governo, con Fontana e con Salvini. Con la politica. Anche con il mal di pancia. 





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