PS << Il 22 aprile cade il 150° anniversario della nascita di Lenin. Probabile che in Russia si ripropongano opposti atteggiamenti che, da un lato, lo dipingano come colui “che pose una bomba sotto la statualità russa” (Putin) e, dall'altro, ne facciano la solita icona, ferma a cento anni fa e dunque “innocua” per il presente. Falsi entrambi >>.
umberto marabese
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La situazione attuale vede la contrapposizione tra cordate imperialiste, aggravata da una crisi che le circostanze e le condizioni legate all'epidemia hanno esacerbato al massimo. È possibile e ovviamente augurabile, che le rivalità tra potenze e gruppi di nazioni capitaliste non sfocino in conflitti armati. Le condizioni per un tale scenario, in ogni caso, purtroppo non mancano. Quanto indicato da Lenin oltre cento anni fa, a proposito dello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti, dello “sviluppo a balzi”, che avrebbe permesso la vittoria del socialismo, all'inizio, anche in un piccolo gruppo di paesi o addirittura in un paese solo – e su cui poi Stalin avrebbe basato la necessità della “costruzione delle basi materiali” del socialismo in URSS - è sotto gli occhi di tutti. Non è oggi così palese la possibilità di una tale vittoria del socialismo, pur essendo sotto gli occhi di tutti l'evidenza sia di un tale “sviluppo a balzi”, che le impossibili condizioni di vita di milioni di lavoratori...
I ritmi di sviluppo portano alla ribalta ora questo o quel singolo paese; le condizioni del mercato lo spingono poi indietro rispetto ad altri; determinate avanzate tecniche e produttive, l'accaparramento di un mercato, consentono a un terzo paese di spodestarne un quarto dalla scena. Questo è quanto sta accadendo oggi, con i diversi gruppi capitalistici che tentato di scalzare i concorrenti, approfittando della momentanea crisi dovuta al fermo produttivo, o intervenendo strategicamente sui prezzi dei prodotti energetici; seguono poi la successiva ripresa dei primi e la frenata dei secondi, ecc. Tutto questo non fa che confermare le intuizioni di Lenin sugli scatti e i sobbalzi ineguali del capitalismo, pur se, per la vittoria del socialismo, spicca la drammatica assenza, oggi, di un partito leninista in grado di indirizzare ogni “scoppio” spontaneo delle masse verso un diverso ordine sociale. In ogni caso, come scriveva Lenin nella famosa “Lettera agli operai americani” del 1918, “I risultati di quattro anni di guerra hanno mostrato la legge generale del capitalismo, nella sua applicazione a una guerra tra ladroni per la spartizione del bottino: quello che era più ricco e più forte, ha incassato e depredato più di tutti; quello che era più debole di tutti, è stato razziato, sbranato, schiacciato e strangolato fino alla fine”.
Molto più probabile, insieme all'augurio di soluzioni “pacifiche” - per quanto possano apparire “pacifiche”, le serrate di industrie, con milioni e milioni di disoccupati, che inevitabilmente accompagnano ogni sconfitta di di un gruppo imperialista, uscito battuto dagli assalti pirateschi di un gruppo concorrente – che lo scontro attuale sfoci in inevitabili “riposizionamenti” politico-territoriali, nello stesso vecchio continente.
Poco più di dieci anni, la cosiddetta “CIA privata”, l'agenzia StratFor (Strategic Forecasting) divulgava tale pronostico: “verso il 2030 la Polonia dominerà su Bielorussia e Ucraina, mentre la Russia si sgretolerà in tanti principati… verso il 2045 la Polonia riunirà intorno a sé Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e stabilirà un protettorato su Slovenia e Croazia. Così per la metà di questo secolo l’Europa sbalordita scorgerà sulla sua carta un nuovo impero, la Rec Pospolita polacca, come nel XVII secolo, da mare a mare”.
Da tempo ormai, ad esempio, perdurante la contrapposizione tra USA e Germania, la Polonia non fa mistero delle proprie ambizioni di voler prendere il posto del “IV Reich” e porsi quale alternativa all'Europa a guida tedesca, obbedendo alla Casa Bianca e contemporaneamente strizzando l'occhio persino a Pechino, proponendosi quale sponda “cinese” in Europa. Probabile che, per Washington, sul momento l'affare possa apparire appetibile. Tra l'altro, sullo sfondo della guerra commerciale con Berlino e di quella energetica con Mosca, la Casa Bianca sta dando man forte alle ambizioni polacche. Quale scenario possa successivamente svilupparsi, è difficile da dire e i pronostici della StratFor su uno sgretolamento della Russia, possono solo rappresentare, a oggi, l'augurio di una situazione alla cui realizzazione, in ogni caso, gli USA lavorano da tempo, sul modello di come sono riusciti a sgretolare l'Unione Sovietica. E la risposta di Mosca, nella consapevolezza di una relativa inferiorità rispetto sia a Washington che a Pechino, è il tentativo di rimettere insieme, quantomeno a livello economico e commerciale, il vecchio “spazio sovietico”; ma solo lo spazio.
In questa situazione, sembra utile riproporre alcuni brani presi da un testo leniniano, che evidenziano come il metodo dialettico consentisse a Vladimir Ilic, di contro sia alla retorica astratta dei pacifisti, sia alle affermazioni banditesche dei capitalisti, di fornire un'analisi delle condizioni in cui le guerre sorgono e si sviluppano; e anche di come troppo spesso lo scontro tra potenze imperialiste si trasferisca su teatri che costano la vita a milioni di persone dei popoli che un tempo si definivano (con espressione che Antonio Pesenti rifiutava, proprio perché nascondeva il ruolo dell'imperialismo nel sottosviluppo) “in via di sviluppo”.
Vorremmo solo aggiungere che, negli anni '30 del secolo scorso, quando i venti di una nuova guerra si facevano più forti, in Unione Sovietica si era convinti che la seconda guerra imperialista mondiale fosse già un dato di fatto (attacco giapponese alla Cina, italiano all'Etiopia, tedesco-italiano alla Repubblica spagnola, smembramento della Cecoslovacchia, ecc.) ma, nonostante, tutto si continuava a operare per la sicurezza collettiva, contro la politica anglo-francese di appeasement, che foraggiava la Germania hitleriana per spingerla ad attaccare l'URSS. In quella situazione, la rivista teorica del Partito comunista, il Bol'ševik, mentre descriveva la guerra quale “prodotto della crisi generale del capitalismo”, notava come “ai precedenti metodi di inganno delle masse se ne aggiungono dei nuovi, più complessi di quelli usati dagli imperialisti del periodo 1914. E uno di questi metodi” era individuato nella “tesi sulla possibilità di "guerre locali", "isolate"; una tesi che ha ampia diffusione quale mezzo per attenuare la vigilanza dei popoli, "per mascherare il progressivo strisciare verso una nuova guerra mondiale". Ricorda qualcosa?
Fabrizio Poggi
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“Guerra e rivoluzione” - maggio 1917
(…) Mi sembra che l'essenziale, che viene solitamente dimenticato nella questione della guerra, a cui non si riserva la dovuta attenzione, la cosa principale, su cui vertono molti contrasti, e anche, direi, discussioni vuote, sterili, prive di scopo, sia la dimenticanza della questione principale: cioè quale carattere di classe rivesta la guerra, le cause per cui essa è scoppiata, quali classi la conducono, quali condizioni storiche e storiche-economiche l'abbiano provocata...
Dal punto di vista del marxismo, cioè del socialismo scientifico moderno, la questione fondamentale, nella discussione da parte dei socialisti su come debba valutarsi la guerra e sull'atteggiamento da assumere nei suoi confronti, consiste nel determinare per cosa questa guerra venga condotta, quali classi l'abbiano preparata e diretta. Noi, marxisti, non facciamo parte del numero degli avversari incondizionati di ogni guerra. Noi diciamo: il nostro obiettivo è il raggiungimento di un ordinamento sociale socialista che, eliminando la divisione dell'umanità in classi, eliminando ogni sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e di una nazione da parte di altre nazioni, eliminerà immancabilmente ogni possibilità di guerra in generale... Possono darsi guerre e guerre. Bisogna raccapezzarsi: da quali condizioni storiche sia scaturita la data guerra, quali classi la conducano e in nome di cosa...
È noto il detto di uno dei più eminenti scrittori di filosofia della guerra e storia militare, Clausewitz: "La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi"... 80 anni fa, egli lottava contro l'ignaro pregiudizio filisteo secondo cui una guerra possa esser separata dalla politica dei governi e delle classi che la conducono, oppure secondo cui una guerra possa essere considerata una semplice aggressione che violi la pace, cui poi segua il ripristino della pace violata! Prima si sono azzuffati e poi hanno fatto pace! … Ogni guerra è indissolubilmente legata all'ordine politico da cui scaturisce...
In Europa regnava la pace, ma essa reggeva perché la dominazione dei popoli europei su centinaia di milioni di abitanti delle colonie era realizzata solo attraverso guerre continue, incessanti, ininterrotte, che noi europei non consideriamo come tali, poiché troppo spesso somigliano a un bestiale sterminio, una carneficina di popolazioni inermi. E invece la questione sta proprio così, che, per la comprensione della guerra attuale, dobbiamo prima di tutto gettare uno sguardo generale sulla politica delle potenze europee nel loro insieme.
… Ora invece siamo di fronte all'unione di due gruppi di potenze capitaliste. Abbiamo di fronte tutte le più grandi potenze capitaliste mondiali - Inghilterra, Francia, America, Germania - la cui politica nel corso di una serie di decenni è consistita in una ininterrotta rivalità economica per il dominio sul mondo intero, per strangolare piccole nazioni, assicurarsi profitti triplicati e decuplicati del capitale bancario, che ghermisce il mondo intero nella rete della propria influenza. In questo consiste l'autentica politica di Inghilterra e Germania...
Si può davvero spiegare una guerra senza metterla in relazione con la precedente politica di un dato Stato, di un dato sistema di Stati e di determinate classi? … Questa politica ci mostra sempre una sola cosa: l'ininterrotta rivalità economica dei due maggiori giganti mondiali, delle due economie capitaliste. Da una parte l'Inghilterra … Dall'altra parte, contro questo gruppo, essenzialmente anglo-francese, si è fatto avanti un altro gruppo di capitalisti, ancor più rapace, ancor più brigantesco, un gruppo che si è presentato alla tavola del capitalismo quando i posti erano occupati, ma che ha introdotto nella lotta nuovi metodi di sviluppo della produzione capitalista, una tecnica superiore, un'organizzazione incomparabile, che ha trasformato il vecchio capitalismo, il capitalismo dell'epoca della libera concorrenza, nel capitalismo di giganteschi trust, sindacati, cartelli. Questo gruppo ha introdotto il principio della statalizzazione della produzione capitalista, dell'unione in un unico meccanismo delle gigantesche forze del capitalismo con la gigantesca forza dello Stato, un meccanismo che riunisce decine di milioni di uomini in un'unica organizzazione del capitalismo di Stato...
L'antica spartizione era fondata sul fatto che, nel corso di vari secoli, l'Inghilterra aveva rovinato le sue vecchie rivali, Olanda... Francia... Comparve un nuovo predone, nel 1871 si costituì una nuova potenza capitalista, che si sviluppava a un ritmo incomparabilmente più rapido dell'Inghilterra... Questa rapida espansione del capitalismo in Germania era lo sviluppo di un predone giovane e vigoroso... che dichiarava “datemi la parte che mi spetta!". Ma che cos'era questa "parte"? Come determinarla nel mondo capitalista, nel mondo delle banche? La forza è data in questo mondo dal numero delle banche e, come ha scritto con franchezza e cinismo puramente americani uno degli organi di stampa dei miliardari statunitensi, è data a questo modo: "In Europa si combatte per il dominio del mondo. Per dominare sul mondo occorrono due cose: i dollari e le banche. I dollari li abbiamo, le banche le creeremo: così potremo dominare sul mondo"...
Perciò, è chiaro che per noi non ha alcuna importanza la questione su quale dei due predoni abbia per primo tirato fuori il coltello. Esaminate la storia degli investimenti di carattere militare e navale dei due gruppi di potenze negli ultimi decenni, prendete la storia delle piccole guerre che essi hanno condotto prima di quella grande - "piccole", perché in esse sono morti pochi europei, ma vi sono morti centinaia di migliaia di uomini di quei popoli che gli europei strangolavano, che dal loro punto di vista non sono considerati nemmeno popoli (degli asiatici, o africani: sono forse popoli?); contro tali popoli si sono condotte guerre di altro tipo: erano inermi e gli europei li hanno sterminati con le mitraglie.
… Dimenticando la storia del capitale finanziario, la storia di come sia maturata questa guerra per una nuova spartizione, si presenta la questione così: vivevano in pace due popoli, e poi uno ha attaccato e l'altro si è difeso. Si dimentica così ogni scienza, si dimenticano le banche, si chiamano i popoli alle armi... questa guerra è stata provocata inevitabilmente da quel gigantesco sviluppo del capitalismo, soprattutto bancario, che ha fatto sì che quattro banche a Berlino e cinque o sei banche a Londra dominino sul mondo intero, si impossessino di tutti i fondi, rafforzino la propria politica finanziaria con l'intera forza armata e, infine, si scontrino in una disputa di inaudita bestialità, perché è impossibile procedere oltre liberamente nelle conquiste...
Passo adesso all'ultima questione. La questione su come mettere fine alla guerra... Che una guerra condotta dai capitalisti delle potenze più ricche, originata da decenni di sviluppo economico, possa concludersi con la rinuncia alle operazioni belliche di una sola parte, è una sciocchezza tale che è persino ridicolo confutarla... Una guerra condotta dai capitalisti di tutti i paesi non può esser conclusa senza una rivoluzione operaia contro questi capitalisti... Questa guerra può esser conclusa soltanto attraverso la rivoluzione operaia in alcuni paesi...!
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