lunedì 27 aprile 2020

Brunello Cucinelli: "Stipendi garantiti per i lavoratori e misure di sicurezza, la mia ricetta per ripartire"



PS: ...questo è lapersona alla quale "bisogna" affidare il pesante sistema lavoro italiano: con "Lui" ...solo il giusto per tutti: per chi lavora, per l'imprenditore, per lo stato, per l'ambiente...per una vita da trascorrere senza paura per il domani...dopo-domani.....! Grazie Signor Brunelli Cucinelli
umberto marabese
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L'imprenditore umbro ha riaperto 11 giorni fa gli stabilimenti del suo brand, uno dei simboli del lusso Made in Italy. Ci racconta come ha affrontato lo stop forzato da Coronavirus, e perché secondo lui la ripartenza comincia guardando lontano.
Come tutti quelli che operano nel sistema moda - dai colossi del lusso stranieri ai laboratori a conduzione familiare da generazioni -, Brunello Cucinelli è perfettamente consapevole della necessità di “ripartire” il prima possibile. Ma dove molti paiono puntare sul risalire la china in fretta e furia per riprendere là dove s'era lasciato il discorso a febbraio, lui pare più concentrato sulla lunga distanza, tanto che i suoi progetti paiono convergere sul 2021. In vista di questi obiettivi, gli stabilimenti del marchio che porta il suo nome, con sede nel borgo umbro di Solomeo - da lui ricostruito letteralmente dalle macerie -, hanno riaperto i battenti da 11 giorni. Scopo dichiarato, preparare il terreno per la prossima stagione invernale, quando sì che avrà senso fare progetti. L’imprenditore discute con noi di strategie e progetti. E della paura per ciò che s’è dovuto affrontare....


Qual è la situazione in azienda?
Da 11 giorni abbiamo riaperto circa il 23% della struttura per iniziare a lavorare sulla collezione per la primavera/estate 2021. Devo dire che lo choc di vederci tutti con la mascherina è stato tanto, ma ci si fa subito l’abitudine. Per il resto, mi pare che si proceda bene: tutti i dipendenti sono attenti, parcheggiano le auto più distanti tra loro, mantengono gli spazi senza che nessuno debba dire loro nulla. Abbiamo approntato il controllo della temperatura per chi entra, ogni notte l’intera struttura viene sanificata, la mensa è chiusa ma il servizio di ristorazione funziona con la distribuzione di “cestini” con il pranzo. Non è l’ideale, certo che no, però lavoriamo tutti assieme, e questo sì che fa la differenza: anche se si tratta di venire in laboratorio di sabato per recuperare il tempo perso, o magari di riorganizzare il piano ferie - stavolta non possiamo permetterci le canoniche due settimane ad agosto -, siamo tutti sulla stessa barca.


Come ha affrontato lo stop forzato?
Per prima cosa, non toccando gli stipendi dei dipendenti. L’azienda impiega duemila persone, mille qui a Solomeo e altre mille all’estero: ho detto subito a tutti, di stare tranquilli. Questo è un marchio solido, che è cresciuto per 40 anni ininterrottamente (il fatturato del 2019 è stato di 607,8 milioni di euro, quasi il 10% in più rispetto al 2018, ndr), e che quindi si può permettere di fermarsi per un anno, senza per questo far ricadere la decisione su chi ci lavora. Abbiamo le spalle abbastanza larghe, e così possiamo affrontare il futuro, non dico a cuor leggero, ma di sicuro con minore cupezza. Anche per questo motivo nelle settimane scorse ho incontrato “virtualmente” i nostri azionisti per spiegare la decisione di non distribuire dividendi quest’anno e reinvestirli nel futuro. Tutti hanno capito.

Molti suoi colleghi paiono concentrati sul brevissimo termine, lei no.
Il 2020 è andato, inutile girarci attorno. Adesso bisogna non lasciarsi distrarre dalle scorciatoie che lasciano il tempo che trovano. Anche per questo motivo ho scelto di non partecipare alla prossima edizione di Pitti Immagine Uomo, in programmazione per l’inizio di settembre: a quel punto saremo già troppo proiettati in avanti, sarebbe una battuta d’arresto che non possiamo permetterci. Però due giorni fa ho confermato la mia adesione all’edizione del prossimo gennaio; lo ripeto, è una situazione temporanea da cui usciremo. Con i miei collaboratori discuto delle vetrine di Natale, di quelle di gennaio, di come incantare i consumatori in quei prossimi mesi. Progettare prima di allora - maggio, giugno, luglio - non mi pare una via sicura.

Lei è stato uno dei primi a rendersi conto della pericolosità della situazione. Come mai?
E come non avrei potuto? Sono cresciuto con un nonno che mi raccontava dell’epidemia di spagnola del 1918, e con mio padre che mi parlava di quella del 1957; anzi, con lui ne parlo ancora spesso: ha 98 anni, vive di fronte casa mia, e ogni mattina, mascherina in faccia, ci salutiamo da lontano e ci parliamo. E poi uno dei miei idoli, Pericle, è stato portato via dalla peste. Tenendo tutti i loro esempi a mente, quando i nostri impiegati cinesi a fine gennaio hanno iniziato a parlare del Covid-19, e di come le cose stessero precipitando, onestamente mi sono spaventato, e ho capito che andavano presi subito provvedimenti adeguati, dallo smart-working alla chiusura degli stabilimenti.

Viste come sono andate le cose era la scelta giusta, ma ci sono stati momenti parecchio bui: soprattutto a metà marzo, quando l’epidemia è seriamente esplosa in Italia. Allora ho mostrato ai nostri lavoratori in azienda i video che mi arrivavano, ancora una volta, dalla Cina, dove nel frattempo la vita stava piano piano ricominciando: non sapevo cosa altro dirgli se non fargli vedere che saremmo tornati alla normalità, anche se lentamente. Noi Italiani ci siamo trovati in una posizione complicata in quanto avamposto epidemico dell’Occidente, senza termini di paragone per capire cosa fare: ho cercato di rassicurarli così, e ho fatto lo stesso quando poi la pandemia s'è propagata negli Stati Uniti. Dove, secondo me, sono messi ancora peggio.

Come mai?
Perché da loro licenziare in situazioni del genere è la norma, non ci pensano due volte. Per fortuna da noi abbiamo una forma mentis completamente diversa: per questo dico e ripeto che la mia priorità è stata garantire lo stipendio di chi lavora con me. L’azienda sono loro, sono essenziali adesso più che mai. Per utili, dividendi e compagnia bella ci sarà tempo.

In una sua lettera aperta di qualche giorno fa, parla del post-quarantena come di un “tempo nuovo” denso di opportunità, in cui però va usata anche quella che definisce "prudenza somma”. Cosa intende?
Questa non è la prima crisi che l’azienda si trova ad affrontare, e non sarà nemmeno l’ultima. Abbiamo passato dei gran brutti momenti dopo l’11 settembre del 2001, e anche nel 2008, quando ci è piombata addosso una crisi economica di dimensioni spaventose, peggiore anche di questa, che è sì più intensa, ma anche più circoscritta. Ne siamo sempre usciti, e ne siamo usciti bene. Credo si debba fare tesoro di ciò che abbiamo passato, scegliere bene ogni mossa, e andare avanti.---

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