L’inviolabilità dello spazio aereo, da parte di qualsiasi tipo di velivolo non autorizzato, è uno dei principi cardine del diritto globale. Tutto ciò si applica anche al caso della Polonia che ha visto, nella notte tra il 9 e il 10 settembre, una incursione di tali mezzi provenienti, a suo giudizio, dalla Russia. La stessa ha respinto le accuse, negando di disporre di mezzi in grado di raggiungere obiettivi così a lungo raggio. Ha attribuito dunque la paternità dell’accaduto a Kiev, che ha prontamente rigettato ogni responsabilità.
Lo story telling
Il resoconto immediato, fornito da Varsavia, parlava di una grande minaccia per la popolazione, affrontata in modo decisivo grazie alla segnalazione degli 007 bielorussi (alleati di Mosca), motivando la necessità di attivare rapidamente l’articolo 4 della Nato che prevede l’obbligo di consultarsi tra i partner nel caso in cui uno di questi percepisse un grave pericolo per la propria sicurezza.
La reazione
Il Patto Atlantico ha dato il via, in maniera celere e senza attendere la fine degli accertamenti degli accadimenti verificatosi, all’operazione “Sentinella dell’Est” che prevede la presenza di migliaia di soldati al confine con la Federazione guidata da Vladimir Putin.
La nuova versione
Il governo di Donald Tusk ha specificato però, a distanza di qualche ora dall’annuncio giunto da Bruxelles, che l’ufficio del procuratore regionale di Lublino ha sottolineato che i 19 apparecchi, recuperati dagli esperti nei luoghi in cui erano precipitati, non avevano a bordo alcun esplosivo e non rappresentavano quindi nessun rischio per la popolazione.
I riscontri oggettivi
Il risultato dell’inchiesta ha smentito pertanto la presenza di danni, denunciati nelle ore successive al presunto raid, contro un edificio ad uso abitativo, avvalorando implicitamente le voci, circolate sui social network, secondo cui la rottura del tetto della casa era dovuto al maltempo imperversato, in quell’area, qualche giorno prima.
I possibili passi
Il titolare del dicastero degli Esteri, Radoslaw Sikorski, non ha gettato acqua sul fuoco, per stemperare la tensione crescente, col nemico di sempre, magari domandando a Mark Rutte lo stop dell’iniziativa multilaterale appena presentata agli organi di informazione. Ha auspicato persino una no fly zone sull’Ucraina, dimenticando che significherebbe una dichiarazione di guerra alla Russia, come ha ricordato il numero due del consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev.
La paura
Un altro strano episodio ha fatto letteralmente tremare le vene ai polsi. I caccia polacchi sono decollati, insieme a quelli olandesi e tedeschi sulla base di segnali radar influenzati da condizioni meteo avverse, “in forma preventiva” lo scorso 13 settembre per scongiurare il rischio che nuovi intrusi entrassero nei propri cieli.
I vecchi spettri
Non solo non si è verificato quanto temuto, ma tutto ciò ha coinvolto anche la popolazione della città di Chelm che è stata inutilmente allertata addirittura, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, con le sirene impiegate, all’epoca, in caso di imminenti bombardamenti.
Il possibile scopo
C’è probabilmente un tentativo di abituare i residenti all’idea che sarà possibile vivere un domani sotto gli ordigni con la conseguente necessità di ripararsi, nei rifugi appropriati, ogni volta che ascolteranno il noto richiamo che pensavamo di leggere solo più nei libri di Storia.
Gli step precedenti
Tutto questo avviene dopo un riarmo generale, degli arsenali del vecchio continente, con la scusa del conseguimento della “pace attraverso la forza”. L’ossimorico concetto ha garantito, alle autorità europee negli anni, di preparare le strutture civili, a partire da quelle sanitarie, a fronteggiare eventuali scenari bellici. Il coinvolgimento attivo dei civili, mediante avvisi acustici, in tale processo rappresenterebbe la parte conclusiva di piani definiti a priori dalle cancellerie di un Occidente collettivo che desidera arrivare alla resa dei conti col Cremlino. Non sono da sottovalutare, dato il contesto generale, le testuali parole odierne del portavoce Dmitry Peskov: “La Nato è di fatto in guerra contro la Russia. Questo è evidente e non ha bisogno di prove”, poiché sostiene gli uomini di Volodymyr Zelensky sui campi di battaglia.
I timori
La paura, nel frattempo, sale un po’ ovunque. Un sondaggio, condotto dall’istituto INSA per il giornale teutonico Bild, ha rivelato che il 62% dei tedeschi crede che sia altamente probabile una escalation.

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