Lo squadrismo dei buonisti interrompe la proiezione del film “L’Urlo” a Napoli
- Michelangelo Severgnini
Ieri sera, venerdì 25 novembre 2022 a Napoli (pianeta Terra), la proiezione del film “L’Urlo” in programma all’interno del Festival dei diritti umani è stata interrotta dopo soli 20 minuti (su 80 di lunghezza) per l’intervento di alcuni personaggi attivi nelle cosiddette Ong, i quali hanno imposto ai tecnici la sospensione della proiezione e, afferrato un microfono, in chiaro stato di alterazione, hanno preso ad accusare i contenuti del film (per altro espressi dai migranti-schiavi in Libia) e il regista.
ANTEFATTO
Ma facciamo un passo indietro a come è nata la serata. Alcune settimane fa ho ricevuto la telefonata del direttore del festival, Maurizio Del Bufalo, il quale entusiasta diceva di volermi invitare a questa proiezione fuori concorso in seguito alla segnalazione di 2 persone da lui stimate.
Quando mi ha raccontato il genere di serata a tema che sarebbe stata, ossia un’apoteosi celebrativa del diritto al salvataggio (come lo chiamano loro) o del diritto alla circonvenzione (come lo chiamo io), alla presenza di alcuni tra i maggiori esponenti delle Ong italiane, gli ho fatto notare che il mio film non era esattamente il lavoro più indicato per questa serata. Stupefatto mi ha chiesto: “E perché?”. Io ho risposto: “Perché molti migranti in Libia che si esprimono durante il film accusano le Ong”.
La risposta è stata che lui è sempre per il dialogo e il confronto e che comunque tutti ne sarebbero usciti più arricchiti. Poste queste premesse, ho accettato l’invito.
I 20 MINUTI DI PROIEZIONE
Come raccontato all’inizio, dopo soli 20 minuti la proiezione del film è stata interrotta per l’intervento prevaricatore di un gruppo di persone.
Ma cosa ha portato a questa reazione scomposta?
A giudicare dal rumoreggiare delle prime file della sala (dove stavano seduti i responsabili delle Ong), il crescendo dell’insofferenza ha avuto 3 tappe. La prima quando un migrante in Libia afferma: “Ora molti qui voglio tornare a casa, ma voi Europei piuttosto li volete spingere a rischiare la vita ancora una volta di più nel Mediterraneo”.
Questa frase innocente e apparentemente innocua, in realtà è una bomba nella testa di un attivista delle Ong, perché in poche e semplici parole dimostra senza possibilità di smentita che il “pull factor” esiste, ossia è vero che i migranti-schiavi in Libia subiscono la propaganda delle Ong, attraverso i social, e sono in tal modo invitati a partire (e a rischiare la vita).
Questo è uno dei punti che, qualora dimostrato (e dimostrato lo è), fa cascare tutto il castello della loro narrazione fiabesca.
Il secondo momento di insofferenza è stato quando nel film Giacomo Sferlazzo afferma: “Apriamo i confini. Ma per fare che cosa? Per spostare masse di disperati dall’Africa all’Europa? Per fare che cosa? Per suonare i tamburi in un circolo?”.
Il terzo e definitivo momento di insofferenza è stato quando nel film Daniel Korbaria afferma “Nel mio lavoro mi sono occupato della Open Society Foundation”.
A quel punto, come detto, si è prodotto il cortocircuito e la proiezione è stata interrotta. Peccato, perché molti altri migranti-schiavi in Libia nei restanti 60 minuti si sarebbero potuti esprimere e avrebbero potuto raccontare un’altra storia.
I FATTI
In seguito all’interruzione della proiezione e ai primi insulti, uno degli organizzatori prende il microfono e cerca di spiegare che non è possibile interrompere la proiezione di un film, che il festival si assume la responsabilità di aver scelto la pellicola, ma che la proiezione deve proseguire e chi non volesse vedere il film può sempre accomodarsi e aspettare fuori dalla sala.
Il tentativo fallisce perché a questo punto anche altri esponenti delle Ong raggiungono il microfono e rincarano la dose.
Io nel frattempo passeggio impaziente al fondo della sala, aspettando che qualcuno degli organizzatori mi dia almeno la possibilità di parlare, invitandomi al microfono, non avendo alcuna intenzione di buttarmi nella caciara.
Nel frattempo al contrario al microfono sfilano tutti i rappresentanti delle Ong presenti i quali non solo avallano e giustificano l’interruzione, ma si lasciano andare a dichiarazioni del tipo “tutto quello che avete sentito in questi 20 minuti è falso” (anche quanto raccontato dai migranti-schiavi in Libia, evidentemente), “il regista è andato a farsi ricevere in pompa magna dai criminali di Bengasi”, “questo lavoro può essere proiettato solo a Casa Pound”.
Dalla sala, che nel frattempo si svuotava, a dire il vero qualcuno ha provato a protestare, dicendo di essere venuto per vedere il film e che ciò che stava succedendo fosse censura. E’ stato zittito.
A benedire l’operazione di censura del film e di linciaggio del regista accorre anche padre Alex Zanotelli il quale afferma che “questa robaccia non può essere proiettata in questo festival”.
Dopo 20 minuti ad ascoltare con composta indifferenza dal fondo della sala le accuse scomposte dei suddetti, ricevuta la notizia dagli organizzatori che non erano fisicamente in grado di riprendere il controllo della situazione, ho abbandonato la sala.
Non prima di aver sentito queste parole dalla voce del direttore Maurizio Del Bufalo (in collegamento video con la sala, a quel punto scomodato a casa benché malato): “Michelangelo ha insistito per fare questa proiezione, io gliel’avevo detto che non dovevamo impantanarci sul suo documentario”, chiedendo scusa ai responsabili delle Ong per l’errore di aver selezionato il film e non prendendo le difese dell’opera e dell’autore da lui invitato.
La solidarietà di diverse persone è continuata al di fuori della sala.
Questo è quanto. A breve sarà caricato il video dell’accaduto e saranno messe in campo tutte le azioni possibili a tutela del mio lavoro e della mia persona.
Ulteriori considerazioni verranno espresse in seguito.
Mi sento moralmente rafforzato da quanto accaduto ieri sera, ma affranto e indignato come cittadino per lo spettacolo cui ho assistito.
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