Il 27 maggio, in Usa, è il Memorial Day, che celebra i caduti delle guerre. L’ufficio di propaganda ha avuto la sfortunata idea di chiedere in un tweet: “Come ha influito su di te servire la bandiera?”. Le risposte non sono state quelle previste, patriottiche e militariste. Più di 11 mila tweet furiosi, dolorosi, amarissimi, hanno rotto la coltre della narrativa ufficiale. Storie di suicidi di reduci, di disturbi post-traumatici ed alcolismo conseguenze, depressione ed ansia ed incubi, ed anche violenze carnali subite da ufficiali, mancata assistenza sanitaria; racconti di crimini di guerra e di danni permanenti per esposizione ad agenti chimici.
“Al mio migliore amico del liceo è stato negato il trattamento per la salute mentale ed è stato costretto a tornare a un terzo turno in Iraq, nonostante avesse un trauma così profondo da riuscire a malapena a funzionare”, ha scritto Shane. “Ha preso una manciata di sonniferi e si è sparato alla testa due settimane prima di essere dispiegato.”
Un altro: “Il mio cocktail da combattimento? PSTD, depressione gravissima. Ansia. Isolamento. Tentativi di suicidio. Una rabbia senza fine. Mi è costato il rapporto con mio figlio maggiore e mio nipote. Ad alcuni dei miei uomini è costato anche di più. Come ha influito su di me il servizio militare? Chiedete alla mia famiglia”...
Revulsione generale per le menzogne secondo cui il bellicismo Usa ha l’approvazione popolare. “Smettete di fabbricare nemici e lanciare americani innocenti in guerre dove uccidono civili innocenti. Da tutte queste guerre combinate non avete guadagnato niente, ed per il mondo è stato l’inferno”. Vite spezzate, ferite fuori e nell’itnimo, mutilate che accusano furiosamente i metodi, i modi le distruzioni psichiche che le guerre americane senza fine (la “lunga guerra al terrorismo”, come la chiamò Donald Rumsfeld, dura dal 2001 ) hanno ridotto le vite dei soldati; il diluvio di risposte dice che il prezzo pagato è troppo alto e la misura è colma. Non solo per i veterani ma per la società nel suo complesso: i 5500 reduci che si sono tolti la vita l’anno scorso, e i 321 che si sono suicidati in servizio attivo, si aggiungono alle morti per overdose da oppiacei, ed ai suicidi nella “società civile”: aumentati del 30 per cento negli ultimi dieci anni, laddove in tutti gli altri stati del mondo diminuiscono.
“Più di 150.000 americani sono morti per decesso e suicidio indotto da alcol e droghe nel 2017. Quasi un terzo – 47.173 – erano suicidi”, ha scritto il New York Times. “Nel 2017, più di 1.000 americani sono morti per overdose da oppioidi sintetici ogni due settimane, superando i 28.000 all’anno”.
Una sofferenza sociale senza limiti e non affrontata, una “fatica del materiale” sociale e una usura del vivere che – suggerisce Philippe Grasset – non può che preludere alla “disintegrazione-entropizzazione” delle forze armate, le più sovrappeso della storia , proprio nel pieno del loro gigantismo e della loro superpotenza che si traduce nel suo contrario. Non è una esagerazione. Gli Usa non sanno come ritirare le truppe bloccate in Afghanistan, dove ormai assistono alle vittorie dei Talebani senza reagire, perché non si sa come ritirare l’immane equipaggiamento. Non è trasportabile per aereo: era stato inoltrato via terra attraverso la Russia, ma ora le condizioni di ostilità che Washington contro Mosca non rendono fattibile questo favore. Attraverso il Pakistan: ma i rapporti con il Pakistan sono oggi pessimi. Dimitri Orlov suggerisce, sarcastico, di abbandonare tutto il materiale sul posto ed evacuare il solo personale, da inviare direttamente negli ospedali psichiatrici della Veteran Health Administration, se ci sono ancora posti.
Quando le forze USA si disintegrarono
Philippe Grasset ricorda che altre volte l’esercito americano conobbe una implosione gigantesca, che la storia nasconde, proprio subito dopo la vittoria sulla Germania e sul Giappone. Aprile ’45, la fine del Reich: erano presenti in Europa 3 milioni di soldati americani; tra maggio e settembre, sono ridotti a 500 mila; il 31 dicembre 1945, non ne restano che 200 mila. Un movimento simile si verifica nel Pacifico; la smobilitazione graduale, prevista dal capo di stato maggiore generale Marshall che intendeva portarla a termine nel novembre 1949, non fu possibile. Lo stesso generale parlò non di “smobilitazione”, ma di disintegrazione.
“Il 30 giugno 1946, il 99,2% degli effettivi che esistevano al momento della capitolazione tedesca sul territorio vinto, erano spariti. …1.282.000 rientrarono a casa in unità costituite; 983 mila individualmente“, insomma un gigantesco fenomeno di diserzioni di massa e alla spicciolata, di rifiuto di obbedienza, di insubordinazione, eccitata in patria dalle famiglie e dal Congresso, cui le famiglie chiedevano a gran voce di far tornare i loro cari; in un caos ed anarchia totale, tumultuosamente, l’America lasciò sguarnita l’Europa. Per le sue dimensioni, “la smobilitazione americana del 1945 non si può paragonare che a un solo altro caso nella storia, la disintegrazione dell’armata russa nel 1917”, ha scritto lo storico Richard Pipes. Ebreo polacco , che fu a capo del gruppo di lotta clandestina anticomunista della Cia negli anni ’70, Richard Pipes è il padre di uno dei più fanatici neocon, Daniel Pipes. Forse farebbero bene a chiedersi se non hanno richiesto un prezzo troppo alto per Israele a questo popolo, come già ne chiesero uno altissimo ai popoli russi sotto il giudeo-bolscevismo.
La seconda volta è stato nella guerra del Vietnam, anni ’70: “secondo ogni indicatore immaginabile il nostro esercito ora di stanza in Vietnam è in uno stato prossimo al collasso, con unità che rifiutano il combattimento , uccidono i propri ufficiali, drogati fino ai capelli, morale a terra, ammutinati”, scriveva il colonnello dei Marines Robert D. Heinl Jr., e aggiungeva: nei reparti “conflitti razziali, tossicodipendenza pandemica, reclute che disobbediscono malevolmente, furti in caserma, reati comuni”.
Si dovettero costituire unità separate per i soldati (se così si possono chiamare) che si rifiutavano di salire sugli elicotteri per andare in operazione. Nel 1970 gli ufficiali uccisi dai loro soldati furono 109; l’anno prima erano stati 96. A metà del 1969, i G-men misero una taglia da 10 mila dollari sul tenente colonnello Weldon Honerycutt, che aveva ordinato (e guidato) il sanguinoso assalto alla collina che fu chiamata Hamburger Hill, ed effettivamente l’ufficiale subì vari tentativo di ammazzarlo.
L’elusione tacita dal combattimento era diventata “praticamente un principio”, dice il colonnello: sbarcati dagli elicotteri i GI invece di cominciare le operazioni, si rintanavano nella giungla e aspettavano, fumando e bevendo, di essere rilevati. I Vietcong lo sapevano così bene che avevano ricevuto istruzioni di non disturbare quelle unità che non li disturbavano …e lo dissero ai colloqui di Parigi.
(Offensiva del Tet – https://libcom.org/history/vietnam-collapse-armed-forces)
I due fenomeni di disintegrazione sono propri di un’armata di coscritti di leva, di una gioventù di inesistenti attitudini militari, inabituata dalla vita civile alla disciplina e ad ogni sacrificio, in forte collegamento psicologico con la società, le famiglie, il clima culturale e politico democratico: per tutta la guerra, i sondaggi rivelavano che i soldati avevano come prima preoccupazione non di sconfiggere i nazisti, ma di non tornare nella Grande Depressione. Il Vietnam coincise (o fece nascere) l’età dei Figli dei Fiori, l’edonismo come traguardo della gioventù.
E’ stato per questo che oggi le forze armate sono completamente professionali. Ma l’odiarne crisi morale delle forze armate americane, nota Grasset, “deriva da quattro fattori, essenzialmente voluti dal Sistema”, che hanno un effetto terribile sul morale (e sulla morale) dei combattenti:
- “Le guerre estremamente impopolari, illegali, senza alcuna giustificazione politica accettabile né alcuna necessità strategica [le guerre per Sion, ndr.] e segnate da grandi distruzioni delle infrastrutture e stragi di popolazioni dei paesi attaccati.
- Strutture di comando delle forze USA estremamente mediocri tanto sul piano tattico che strategico, tutte tese verso le proprie promozioni e l’affermazione di “narrative” falsissime della propaganda.
- Equipaggiamenti che sacrificano tutto a un tecnologismo sfrenato, che troppo spesso porta situazioni di blocco e inefficacia per i soldati sul campo di battaglia, e la cui creazione acquisizione risponde solo agli interessi del complesso militare industriale e l’orientamento inflessibile burocratico.
- L’utilizzo sempre maggiore di mercenari, di contractors di agenzie private (che sono ex soldati di elite che guadagnano molto di più dei colleghi in servizio); il ricorso a guerriglieri pseudo-terroristi inquadrati e manipolati da agenzie concorrenti in seno al Sistema – è inevitabile che ciò produca una accumulazione di disordine, la perdita del senso della gerarchia, del dovere e dell’onore, e del patriottismo che deve essere abituale nelle forze armate”.
Non è forse paradossale che la “superpotenza” oggi aumenti le sue minacce militaresche in provocazioni elliciste a Rusia, Iran, Cina, con toni sempre più acuti: forse proprio perché si sa intimamente vulnerabile, a rischio di entropia militare e compensa con atti provocatori rumorosi l’intima insicurezza. Con il terrore di dover combattere una guerra di troppo,spinta da Sion.
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