Tempo di lettura: 4 minuti
“Putin è andato in Asia per sconvolgere la situazione e ci è riuscito”. Questo il titolo, azzeccato, di un articolo del New York Times per il resto non indimenticabile. In sostanza, Washington ha accusato il colpo perché Putin, con il suo viaggio in Corea del Nord e Vietnam, ha fatto una vera e propria mossa del cavallo, che rovina anni e anni di programmazione degli strateghi statunitensi.
Anzitutto, è d’obbligo una premessa. La visita di Putin, che sapeva perfettamente che sarebbe suonata come una sfida agli occhi dei suoi antagonisti, è in reazione alla continua escalation della Nato in Ucraina, che ha toccato il fondo con il placet dato a Kiev di attaccare il suolo russo con armi americane.
Lo zar aveva ammonito che la mossa avrebbe avuto una risposta e così è avvenuto. Ma come si è concretizzata tale risposta? Tante le criticità poste agli Usa dagli accordi raggiunti con Corea del Nord e Vietnam, ad esempio la possibilità di fornire a Pyongyang armi in grado di colpire le basi Usa nel Pacifico.
Ma l’essenza della questione è un’altra. Da anni gli strateghi statunitensi fanno piani secondo uno schema predefinito: alle colonie europee la mission suicida di confrontarsi con la Russia attraverso l’ampliamento della guerra ucraina – fino a farla diventare una guerra europea su larga scala – così che gli Stati Uniti possano dedicarsi al confronto più decisivo, quello contro la Cina, considerato il nemico più insidioso.
Il sottomarino russo a Cuba
Uno schema che la Russia aveva infranto già con l’invio di un sottomarino russo a Cuba. Un’azione del tutto dimostrativa, dal momento che è cosa usuale per i sottomarini russi battere rotte prossime agli Stati Uniti (come per gli americani battere rotte prossime alla Russia).
La missione del sottomarino in questione era quella di farsi vedere, come appunto è avvenuto, comunicando a Washington che una guerra su ampia scala in Europa a rischio nucleare non sarà limitata al Vecchio Continente. Se nucleare sarà, le atomiche cadrebbero anche sull’America, e forse prima là che qua.
Questo, in realtà, era il messaggio in subordine, dal momento che il messaggio principale, inequivocabile, era quello di rievocare la crisi dei missili cubani, che ebbe l’esito di aprire gli occhi agli antagonisti globali spingendoli a mettersi d’accordo (rimandiamo a un articolo di Piccolenote sul carteggio Kurscev-Kennedy di allora, che fa percepire, per contrasto, l’abisso politico e cognitivo in cui è caduto l’Occidente).
Purtroppo, il motore della macchina bellica americana va al massimo dei giri, alimentato dalla follia dei circoli che la gestiscono traendone potere e prebende, per cui gli è impossibile aprirsi a una prospettiva negoziale.
Non accolta la prospettiva negoziale, com’era ovvio che fosse, resta quindi la rottura dello schema statunitense del confronto parallelo Ue-Russia e Usa-Cina. Con il suo tour asiatico, lo zar ha inteso rompere ancora più tale schema, segnalando che la Russia non lo accetta e intende partecipare, e non certo come mera comparsa, anche al confronto asiatico, dove peraltro si gioca la lotta più cruciale per il destino del mondo, dal momento che il baricentro del commercio globale si è spostato nel Pacifico.
Se si pensa che tutta la strategia Indo-pacifica sulla quale gli Stati Uniti stanno lavorando da decenni è tutta e solo rivolta a contenere la Cina, si può comprendere la portata di quanto avvenuto. I poveretti, nel chiuso dei loro salotti, dei loro circoli e dei loro think tank, rischiano di dover buttare nel cestino tutto quel che hanno prodotto finora. Si comprende l’irritazione.
Il secolo asiatico, il collante russo
Peraltro, la mossa del cavallo di Putin apre prospettive del tutto imprevedibili se vista sotto un altro punto di vista. Infatti, la Russia ha rapporti con Paesi con i quali la Cina non riesce a trovare un appeasement, tanto che certe conflittualità, a parte momenti distensivi, si sono ormai cristallizzate.
Anzitutto quella con l’India, che non riesce a non vedere nel gigante asiatico ai suoi confini altro che un concorrente. Ma anche il Vietnam, col quale, pure dopo la storica visita di inizio anno di Xi Jinping, sono rimasti contenziosi.
La Russia può arrivare laddove la Cina – che ha con Mosca un partenariato ormai indissolubile – non può, agendo come collante di un mosaico che può far prendere forma concreta al “Secolo asiatico”.
Questa la vera posta in gioco, cioè il confronto tra il “Progetto per un nuovo secolo americano”, redatto dai circoli neocon poco prima del crollo delle Torri gemelle, e il “Secolo asiatico”. Non per nulla, prima di intraprendere il suo viaggio, lo zar aveva detto che la priorità della Russia per il prossimo secolo è lo sviluppo dell’Estremo oriente russo.
Da cui la furia dei neocon, che in risposta al viaggio asiatico dello zar, hanno dato via libera a Kiev di colpire il territorio russo fino a 100 Km di profondità. La rabbia, oltre a essere uno stato d’animo, è anche una patologia, che, nella sua forma “furiosa” si accompagna a sintomi quali “inquietudine, confusione, agitazione, comportamento bizzarro, allucinazioni”…
Nessun commento:
Posta un commento