Come giustificare l’aggressione della Nato contro la Russia
Joseph Stalin faceva ritoccare le vecchie fotografie ufficiali per eliminare ogni traccia degli oppositori. Anche Joe Biden, Emmanuel Macron e i loro alleati riscrivono la Storia. Sotto il nome di “sbarco in Normandia” hanno inscenato avvenimenti accaduti in modo molto diverso. Hanno ignorato il gravissimo conflitto che oppose il Consiglio nazionale della Resistenza e il Comitato francese di liberazione nazionale (Francia Libera) a Franklin D. Roosevelt da giugno ad agosto 1944, nonché il rifiuto di De Gaulle di partecipare allo sbarco. Si sono inventati anche la partecipazione dell’Ucraina.
Abbiamo appena assistito a una vasta riscrittura della Storia volta a manipolare le opinioni pubbliche per giustificare l’attuale condotta della Nato verso la Russia. Una visione menzognera dello sbarco del 6 giugno 1944 è all’origine di una commemorazione di avvenimenti che non sono accaduti come ci vengono presentati.
Secondo gli organizzatori delle cerimonie di commemorazione, ossia secondo la Nato che ha fornito la maggior delle comparse compresi capi di Stato e di governo gli Alleati erano uniti per combattere il nazismo e difendere la libertà. In realtà lo sbarco degli anglosassoni non aveva lo scopo di liberare la Francia, ma di sostituirne l’occupazione nazista con il Governo Militare Alleato dei Territori Occupati, Allied Military Government of Occupied Territories (AMGOT).
RISCRITTURA DELLA STORIA
Mentre il Regno Unito accettò Charles De Gaulle e i suoi Francesi Liberi sul proprio territorio, gli Stati Uniti non lo riconobbero mai leader della Resistenza francese durante la seconda guerra mondiale. Mantennero invece un’ambasciata a Vichy fino al 27 aprile 1942, ovvero per quattro mesi dopo essere entrati in guerra. Peggio: il 22 novembre 1942 negoziarono un accordo con l’ammiraglio François Darlan, rappresentante del governo collaborazionista. L’intesa prevedeva che alla fine della guerra sarebbe stato impedito a De Gaulle di andare in Nord Africa e, a nome di Philippe Pétain, l’autorità coloniale della Francia sarebbe stata trasferita agli Stati Uniti.
Gli anglosassoni avevano già imposto l’AMGOT all’Italia e avevano tentato d’insediarlo nei territori dell’impero francese in Nord Africa. Si stavano preparando a estenderlo a Norvegia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Belgio e Danimarca. A questo scopo, amministratori civili venivano formati a Charlottesville e a Yale, negli Stati Uniti.
Reso edotto di quanto stavano preparando gli anglosassoni, Charles De Gaulle si precipitò a Londra da Algeri. Il 3 giugno 1944, tre giorni prima dello sbarco, trasformò il Comitato francese di liberazione nazionale (CFLN), da lui presieduto, in Governo provvisorio della Repubblica francese (GPRF). Si scontrò duramente con il primo ministro britannico Winston Churchill. Si rifiutò di diffondere un discorso scritto dagli anglosassoni per presentare la loro visione dello sbarco e negò l’invio di 120 ufficiali di collegamento delle FFL [Forze Francesi Libere] per unirsi alle truppe dello sbarco. Rifiutò anche il piano anglosassone per un’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) che avrebbe istituito un direttorio di Stati Uniti e Regno Unito su tutto il mondo [1]; un piano che riemerse nel 1950 con la Guerra di Corea, nel 1991 con l’operazione Desert Storm (Tempesta del deserto), e di nuovo nel 2001 con gli attentati negli Stati Uniti. Alla fine De Gaulle accetterà di registrare un vago sostegno allo sbarco (ma non all’AMGOT), d’inviare soltanto 20 ufficiali di collegamento e riuscirà a far fallire il piano anglosassone dell’Onu [2].
In Memorie di guerra, Charles De Gaulle scrive: «Il presidente [Roosevelt] teneva il documento [la proposta di accordo tra il CFLN e gli Alleati per la liberazione della Francia] sul suo tavolo mese dopo mese. Nel frattempo negli Stati Uniti si stava costituendo un Allied military government (AMGOT) per assumere l’amministrazione della Francia. In questa organizzazione affluivano ogni sorta di teorici, tecnici, uomini d’affari, propagandisti ed ex francesi naturalizzati yankee. I passi che [Jean] Monnet e [Henry] Hoppenot ritenevano necessario fare a Washington, le osservazioni che il governo britannico indirizzava agli Stati Uniti, le insistenti richieste che Eisenhower inviava alla Casa Bianca non producevano alcun effetto. Tuttavia, poiché era necessario accordarsi su un testo, ad aprile Roosevelt si decise a dare istruzioni a [Dwight] Eisenhower affinché il potere supremo in Francia fosse attribuito al Comandante in capo. A tale titolo doveva scegliere egli stesso le autorità francesi che avrebbero collaborato con lui. Ben presto venimmo a sapere che Eisenhower scongiurava il presidente di non addossargli questa responsabilità politica e che gli inglesi disapprovavano una procedura così arbitraria. Ma Roosevelt, pur apportando qualche modifica alla lettera di istruzioni, ne mantenne la sostanza.
«A dire il vero, le intenzioni del presidente mi parevano appartenere allo stesso ordine di Alice nel paese delle meraviglie. Roosevelt aveva già tentato in Nord Africa — e in condizioni molto più favorevoli ai propri disegni — un’impresa politica analoga a quella che aveva in progetto per la Francia. Ma di questo tentativo non era rimasto nulla. Il mio governo esercitava un’autorità senza impedimenti in Corsica, Algeria, Marocco, Tunisia, Africa Nera. Le persone sulle quali Washington contava per ostacolarla erano scomparse dalla scena. Nessuno si occupava dell’accordo Darlan-Clark [trasferimento dei poteri dell’impero coloniale francese agli Stati Uniti] che il Comitato per la Liberazione Nazionale [Francia Libera] riteneva nullo e che io, alla tribuna dell’Assemblea consultiva, avevo apertamente dichiarato inesistente per la Francia. Mi dispiaceva per Roosevelt e per i nostri rapporti che la sua politica fosse fallita in Africa senza realizzare alcuna delle sue illusioni. Ma ero certo che, portato nella Francia metropolitana, il suo progetto non avrebbe avuto nemmeno un cenno di abbrivio. Gli Alleati avrebbero incontrato in Francia solo ministri e funzionari nominati da me. Non avrebbero trovato altre truppe francesi se non quelle da me comandate. Senza peccare di presunzione potevo sfidare Eisenhower a trovare in Francia qualcuno con cui trattare validamente che non fosse nominato da me. Egli stesso, del resto, non ci pensava affatto».
Alla fine, allo sbarco del 6 giugno 1944 parteciparono 30.000 soldati alleati, di cui solo 177 francesi (i fucilieri della marina del commando Kieffer). I 20.000 uomini della 2^ divisione blindata (2° DB) del generale Philippe Leclerc de Hauteclocque sbarcarono in Normandia soltanto il 1° agosto, tra Sainte-Marie-du-Mont e Quinéville, un’area che gli Alleati chiamarono Utah Beach. Si precipitarono a Parigi, che si sollevò e si liberò.
AMALGAMA CON LA GUERRA IN UCRAINA
Per il presidente Joe Biden e il maestro di cerimonia, il presidente francese Emmanuel Macron, la commemorazione della versione falsificata dello sbarco è stata l’occasione per stabilire un parallelo con la presentazione, altrettanto falsificata, dell’attuale guerra in Ucraina.
Per rimuovere ogni dubbio, non è stata invitata alla
cerimonia alcuna delegazione russa; è stato invitato
invece l’esercito ucraino, che combatté a fianco dei
nazisti.
Joe Biden, Emmanuel Macron e i loro ospiti hanno presentato gli Stati Uniti come i vincitori della seconda guerra mondiale, mentre fu l’Unione Sovietica a prendere Berlino e a rovesciare il Terzo Reich. Hanno ignorato il sacrificio di 8,6 milioni di soldati sovietici. Si sono invece concentrati sui 292.000 soldati statunitensi morti soprattutto nella battaglia contro il Giappone dopo la sconfitta dei nazisti. Due sforzi bellici assolutamente incomparabili.
Hanno inoltre ricordato en passant l’uccisione di sei milioni di ebrei per mano dei nazisti, sia con la “shoah delle pallottole”, sia, a partire dal 1942, nei campi di concentramento. È stato un modo per passare sotto silenzio l’uccisione di 18,2 milioni di civili slavi sovietici (oltre ai 8,6 milioni di morti citati), anche loro considerati “subumani” e designati come principali obiettivi del progetto di sterminio nazista. Non una parola nemmeno sugli altri obiettivi dei nazisti, come gli altri slavi e gli zingari.
Rivolgendosi a Volodymyr Zelenzky, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto: «L’Ucraina è invasa da un tiranno e noi non l’abbandoneremo mai (…) Non possiamo arrenderci ai dittatori, è inimmaginabile (…) I soldati del D-day hanno fatto il loro dovere: noi faremo il nostro? (…) Non dobbiamo perdere ciò che fu fatto qui».
Giova ricordare che il presidente Vladimir Putin, lungi dall’essere un dittatore, è stato eletto a marzo con l’88,5% dei voti espressi. La votazione si è svolta in modo trasparente, anche se, secondo gli Occidentali, la campagna elettorale ha lasciato poco spazio all’opposizione. Volodymyr Zelensky invece ha cessato di essere il presidente dell’Ucraina alla scadenza del mandato, il 21 maggio. Ha bandito i 12 partiti politici di opposizione [3], ha spedito il suo rivale, il generale Valeri Zaloujny, nel Regno Unito come ambasciatore e non ha indetto elezioni. Ciononostante si mantiene al potere. Può essere considerato il capo del governo provvisorio ucraino, ma certamente non può essere considerato il presidente eletto.
Comanda illegalmente le forze armate del suo Paese, i cui principali capi sono dei “nazionalisti integralisti”. Questi ultimi si richiamano al fondatore del “nazionalismo integralista” [4], Dmytro Dontsov, e al suo scagnozzo, il nazista Stepan Bandera. Durante la seconda guerra mondiale Dontsov fu amministratore dell’Istituto Reinard Heinrich, responsabile della soluzione finale per le questioni ebraica e zigana, mentre Bandera, a capo dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini, massacrò almeno 1,6 milioni di ucraini, soprattutto del Donbass e della Novorossia. È dunque in quanto continuatore dei nazisti che l’ex presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha partecipato alla mascherata.
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