martedì 4 giugno 2024

Voltairenet.org - di Thierry Meyssan- Focus DUELLO Benjamin Netanyahu contro gli Stati Uniti

 

PARIGI (FRANCIA)

Benjamin Netanyahu non ce l’ha fatta a piegare il presidente Joe Biden, nonostante a gennaio avesse affermato di poterci riuscire.
Ma il primo ministro israeliano ha comunque vinto il duello con la Casa Bianca, impedendole di opporsi alla sua politica. Davanti ai nostri occhi, si rifiuta di obbedire al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e alla Corte internazionale di giustizia e pratica una pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania. Anche volendo, nessuno potrebbe fare alcunché per fermare i suoi crimini.


Il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha messo in guardia da qualsiasi tentativo di fare pressione sul personale della CPI. Secondo +972 Magazine, Local call e The Guardian, il Mossad, dal 2016 al 2021, ricattò il predecessore di Karim Khan, Fatou Bensouda. Ma allora non si trattava di mascherare crimini della portata di quelli odierni.

Afine gennaio scorso 12 ministri israeliani in carica, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno partecipato a un grande spettacolo organizzato a Gerusalemme, intitolato «Conferenza per la vittoria di Israele – gli insediamenti portano sicurezza: ritornare nella Striscia di Gaza e nel nord della Samaria» [1].

Con l’occasione, gli organizzatori hanno minacciato gli anglosassoni di ricostituire il Gruppo Stern — che combatté contro gli Alleati durante e dopo la seconda guerra mondiale — se si fossero opposti alla colonizzazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.

In sostanza, il fascista Vladimir Ze’ev Jabotinsky ebbe sempre la velleità di appropriarsi di Eretz Israel, cioè la Terra promessa, il Grande Israele: tutti i territori dal Nilo all’Eufrate, compresi Israele, i Territori palestinesi, il Libano, la Giordania, la Siria e parte dell’Iraq, Nel definire Jabotinsky fascista, non esprimo un giudizio di valore, ma semplicemente sottolineo che fu un alleato di Benito Mussolini, prima e durante la seconda guerra mondiale [2].
Quattro mesi fa i discepoli di Jabotinsky esigevano di realizzarne il progetto, di espellere gli arabi dalla Palestina e di conquistare l’intera regione.

Washington ha reagito adottando il 1° febbraio 2024 misure coercitive unilaterali contro i “suprematisti ebrei” di Cisgiordania [3], architettando un piano per rovesciare Netanyahu e sostituirlo con Benny Gantz [4], sospendendo le forniture di armi e, infine, tentando di imporre un accordo di pace. Per “suprematisti ebrei” intendo i seguaci del rabbino Meir Kahane, cui fu vietato di sedere alla Knesset, dove ora dettano legge.
Nello steso periodo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, su pressione dell’Assemblea generale e dopo diversi veti degli Stati Uniti, il 25 marzo ha finalmente adottato una risoluzione che chiedeva un cessate-il-fuoco umanitario a Gaza [5]. Tuttavia, l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield, rappresentante speciale degli Stati Uniti presso le Nazioni unite, mostrando disprezzo per la Carta dell’Onu, ha immediatamente affermato che la risoluzione non era vincolante, ossia che Israele poteva decidere di non applicarla.

La Corte internazionale di giustizia (CIJ), allineandosi alla retorica della Casa Bianca, ha a sua volta ordinato a Israele di prendere misure precauzionali per evitare il genocidio [6], ingiungendogli anche di ritirarsi immediatamente da Rafah [7].
Ma, su iniziativa del presidente della Camera dei rappresentanti Mike Johnson, il presidente dei Repubblicanti al senato, Mitch McConnell, i presidenti dei Democratici al senato, Charles Schumer, e alla Camera, Hakeem Jeffries, hanno ora invitato Netanyahu a intervenire davanti ai parlamentari riuniti in Congresso.
In questo modo il potere legislativo statunitense si oppone al potere esecutivo e sostiene chiaramente la pulizia etnica in corso.

I “sionisti revisionisti”, come chiamava Jabotinsky i membri della sua scuola di pensiero, non sono quindi riusciti a imporre la propria volontà al presidente Joe Biden, ma sono riusciti a imporla al Congresso. Come ci sono riusciti?

Già nel 2015 il Congresso invitò Benjamin Netanyahu, nonostante il rifiuto del presidente Barack Obama di riceverlo alla Casa Bianca. Secondo il New York Times, agenti dell’ambasciata israeliana individuavano i parlamentari che non applaudivano per sanzionarli.

IL SOSTEGNO DEL CONGRESSO IN OPPOSIZIONE ALLA


 CASA BIANCA


Il presidente della Camera dei rappresentanti, il Repubblicano Mike Johnson (Louisiana) è un avvocato evangelico [8]. Si è fatto un nome con le cause intentate per imporre la sua concezione del cristianesimo, nonché le sue posizioni contro gli omosessuali. Ma è soprattutto un “cristiano sionista”, ossia un assertore del principio che la difesa di Israele è un dovere religioso, a prescindere da ciò che fa. È stato eletto presidente della Camera in circostanze poco chiare, con l’aiuto inaspettato degli ultraconservatori del Freedom Caucus, che si opponevano all’innalzamento del tetto del debito pubblico.

Mitch McConnell, presidente del gruppo Repubblicano al senato, disprezza il diritto internazionale [9] in nome dell’«eccezionalismo americano» [10] ed è noto da tempo per la sua posizione pro-Eretz Israel. Nel 2017 questo politico di fede battista esortò i presidenti degli Stati Uniti a «rispettare la prassi di porre il veto a tutte le risoluzione del Consiglio di sicurezza che mirano a inserire le Nazioni unite nel processo di pace, a non riconoscere le iniziative palestinesi unilaterali, compresa la dichiarazione di uno Stato palestinese, o che vogliono dettare termini e calendario per una soluzione al conflitto israelo-palestinese» [11].

Hakeem Jeffries, presidente del gruppo Democratico alla Camera, è anch’egli noto per il suo costante allineamento alle posizioni dello Stato di Israele. Pur non avendo difeso il principio della pulizia etnica degli arabi in Palestina, si è ampiamente espresso a favore dello sterminio dei membri di Hamas, senza distinzione tra quelli affiliati ai Fratelli Mussulmani e quelli che fanno parte della Resistenza palestinese.

Chuck Schumer, presidente del gruppo Democratico al senato, è il caso più sorprendente. Questo ebreo ortodosso per 43 anni ha sostenuto per principio tutte le posizioni dello Stato di Israele, fino alla spettacolare inversione di rotta di marzo, quando ha dichiarato che si poteva essere pro-Israele e al tempo stesso contrari alla politica di Netanyahu [12]. All’epoca si era fermamente opposto a una visita di Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti. Tuttavia, in seguito ha consentito a Netanyahu di parlare in collegamento video al gruppo parlamentare Democratico, e a breve lo riceverà al Congresso in veste di primo ministro israeliano.

Di questi quattro politici, solo Schumer è ebreo; ma gli altri tre devono la loro rielezione in gran parte al sostegno finanziario degli oligarchi ebrei statunitensi. Rappresentano i politici emblematici che John Maersheimer ha denunciato nel saggio The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy. La democrazia statunitense era in vendita e gli israeliani l’hanno comperata.

L’IMPOSSIBILITÀ DI PRENDERE DECISIONI CONTRARIE A QUELLE DEI “SIONISTI REVISIONISTI”


Facendo un confronto tra Stati Uniti e Francia, lo stato della democrazia in questi Paesi è diverso. Certo, in entrambi i casi i finanziatori delle campagne elettorali influiscono più dell’elettorato sulla politica nazionale, ma hanno proprie peculiarità. A Washington nessuno si meraviglia dell’appartenenza a religioni settarie degli eletti. Si può essere parlamentare, membro del governo, persino presidente e credere ancora a Gog e Magog. A Parigi invece non si tiene in alcun conto delle appartenenze religiose ed etniche dei rappresentanti eletti. Come sta accadendo oggi, possiamo quindi trovarci, senza che qualcuno ne sia consapevole, con metà delle presidenze delle istituzioni costituzionali occupata da cittadini aventi diritto di acquisire la nazionalità israeliana.

In entrambi i casi, i governi non possono prendere decisioni contrarie alla politica dello Stato di Israele, o, nel caso degli Stati Uniti, contrarie alla politica dei “sionisti revisionisti”, ossia dei neofascisti che praticano apertamente la pulizia etnica in Palestina.

Per uscire da questa situazione i rappresentanti eletti dovrebbero rendersi indipendenti dai loro finanziatori e non esitare a rivelare il sostegno offerto dal campo occidentale durante la guerra fredda ai criminali contro l’umanità. Se oggi Netanyahu e i suoi “suprematisti ebrei” sono al potere, è perché l’Occidente collettivo ha trovato per decenni interesse a sostenere la loro corrente ideologica, pur avendola sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Lo scorso ottobre Galit Distel-

Etebaryan, ministra israeliana

 dell’Informazione, si è dimessa per

 protestare contro l’onnipresenza della

 censura militare. Successivamente, si

 sono dimessi anche i principali

 ufficiali di questo servizio per

 protestare contro il ricorso al pretesto

 della sicurezza nazionale per

 censurare le inchieste della stampa

 israeliana.

ONNIPRESENZA DELLA CENSURA MILITARE


I crimini perpetrati dai sionisti revisionisti sono segreti di Stato. Per decenni massacrarono comunisti e semplici oppositori in tutto il mondo. Dal Guatemala al Congo, passando dall’Iran, dal Sudafrica a Taiwan, passando per la Bolivia, parteciparono alle peggiori scelleratezze della guerra fredda. Tutti questi crimini sono protetti da una censura implacabile [13].

La censura dello Stato ebraico è oggi la più efficace al mondo. Centinaia d’inchieste dei giornali israeliani sui legami tra Benjamin Netanyahu, i Fratelli Mussulmani e Hamas, sui preparativi dell’attacco del 7 ottobre, sulla mancata risposta per diverse ore dei servizi di sicurezza, o sui reali obiettivi a Gaza delle FDI sono stati censurati. Durante l’ultimo trimestre del 2023 sono stati oscurati passaggi di 2.703 articoli e 613 articoli sono stati completamente censurati, ha ammesso il servizio di censura militare [14].

Tutto ciò che sappiamo degli avvenimenti del 7 ottobre è la versione ufficiale, ossia solo menzogne. Mentre sappiamo che, contrariamente alle testimonianze dei servizi di soccorso, Hamas non ha decapitato alcun bambino, ignoriamo quanti israeliani siano stati uccisi dagli assalitori, e chi abbia fornito armi ucraine alla Resistenza palestinese.
I sostenitori di Israele continuano a ragionare come se Hamas fosse un’organizzazione omogenea e Netanyahu ignorasse che avrebbe attaccato Israele [15].

Per avere chiarezza, il generale Benny Gantz ha chiesto la creazione di una commissione d’inchiesta sulla preparazione, l’esecuzione e le conseguenze dell’attacco del 7 ottobre; una richiesta che investe direttamente i “sionisti revisionisti” e che, per il momento, non può avere seguito.

È probabile che molto più tardi, quando l’inchiesta infine si farà e rivelerà quanto realmente accaduto, gli attuali sostenitori di Netanyahu tenteranno di giustificarsi dicendo che nemmeno loro sapevano: non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

Traduzione

Rachele Marmetti

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