domenica 19 luglio 2020

Ugo Magri - Il Pd e le tasse, un’attrazione fatale....

Italian Tax


Ugo Magri


Il Governo prepara una stangata sulla tassa di successione. Pensa a una riforma ampia del fisco, rastrellando dalle classi alte per alleggerire i ceti medio-bassi. Lodevole, ma sorgono problemi politici che Zingaretti sarebbe incosciente a trascurare.

Nessuno smentisce, così la voce circola: si prepara una stangata sulle tasse di successione. Oggi ereditiamo gratis fino a un milione di euro, come dire una bella casa con Jacuzzi in un quartiere elegante; in futuro verseremo il pizzo all’Erario per case meno lussuose (da 500mila euro in su) e i grandi patrimoni non la passeranno liscia...
Secondo i canoni classici della giustizia sociale, il Governo giallo-rosso infilerà la mano nelle tasche dei ricchi incominciando proprio dalle fortune che vengono guadagnate senza una goccia di sudore. In fondo c’era da aspettarselo: nel resto d’Europa ereditare costa mediamente il triplo, in Francia addirittura dieci volte di più. Le imposte di successione da noi sono talmente basse - secondo uno studio dell’Agenzia delle Entrate valgono lo 0,05 per cento del Pil - che presto o tardi il Fisco ci avrebbe fatto per forza un pensierino. Per incassare qualche miliardo in più basterà allinearsi al resto dell’Unione. Facile, no?
Seguirà un “riordino” delle rendite immobiliari che, nei progetti del Pd ispirati dagli studi di Fabrizio Barca, salverà forse la prima casa, ma sarà fortemente progressivo. E anche qui le intenzioni sono da applausi: chi vive sulle spalle degli inquilini non può pagare meno tasse di chi produce ricchezza come ad esempio le imprese (che in Italia hanno carichi da record, ci battono soltanto i soliti francesi). Il parassitismo sociale va debellato nell’interesse delle stesse classi agiate. Perfino un liberale d’altri tempi come Luigi Einaudi sarebbe stato d’accordo, leggere per conferma “La terra e l’imposta”, sebbene il prelievo sulla proprietà immobiliare rapportato al Pil sia oggi già un filo sopra la media europea, addirittura il triplo che in Germania. L’”allineamento” con l’Unione, in questo caso, dovrebbe portare a sgravare di tasse le case e non il contrario, ma è inutile andare per il sottile. In questi casi ciò che conta è il fine. E quando si parla di denari pubblici, la prima domanda è: per farne che cosa?
L’obiettivo lodevole del “think tank” Pd, confermato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, consiste nel gettare le basi di una vera riforma del fisco: rastrellare denari dalle classi alte per alleggerire l’Irpef dei ceti medio-bassi. Ma qui sorgono un paio di problemi squisitamente politici, che Nicola Zingaretti sarebbe incosciente a trascurare. Anzitutto non sarà per niente facile convincere la gente che le tasse verranno aumentate allo scopo di abbassarle. Cioè che pochi pagheranno di più per consentire a molti di tirare il fiato. Così funziona nei libri delle fiabe. Da noi regna invece un’atavica sfiducia al riguardo. Tanto più in quest’Italia piegata dal Covid: con il Governo alla disperata ricerca di denari, molti penseranno che si cerchi solo di far cassa. E sospetteranno che bastonare le rendite serva non a sostenere la crescita dell’economia, attraverso grandi investimenti nei settori strategici; semmai a finanziare un assistenzialismo di massa che sta soprattutto nella testa dei grillini, in un loro mondo fantastico popolato di monopattini elettrici e di bonus a pioggia. Anziché sospendere alcune costose riforme del precedente Governo giallo-verde, come il reddito di cittadinanza, si preferisce acchiappare i denari dove è più comodo reperirli, con la promessa di riformare prossimamente l’intero impianto delle aliquote. E qui sorge, per il Pd, un ulteriore problema.
In politica, come nella vita, ci sono degli “shitty jobs”, lavori sporchi che qualcuno deve pur fare. Imporre le tasse e riscuoterle è uno di questi. Chi se ne fa carico andrebbe trattato con gratitudine, ma di regola non succede così, semmai il contrario. Non a caso la Dc, nel suo sconfinato cinismo, concedeva spesso agli alleati il ministero delle Finanze, identificato con le gabelle, tendendo per sé il Tesoro, che spendeva e spandeva. Il Pd, invece, maneggia con troppo entusiasmo questa dinamite, come se fosse per loro un’attrazione fatale. Dà prova di serietà, perché i conti pubblici dovrebbero sempre tornare, ma col rischio talvolta di venire identificato come il partito delle tasse. Non più tardi di aprile fece chiasso il contributo di solidarietà proposto dal capogruppo “dem” Graziano Delrio per chi supera gli 80mila euro l’anno. Il Pd fece subito retromarcia, ma da quel momento aleggia il timore di una bella patrimoniale che sembra fatta apposta per tirare la volata a Matteo Salvini. Quando la tirò fuori Fausto Bertinotti, nel 2006, vinse a mani basse un certo Silvio Berlusconi. Il quale aveva promesso di abbassare le tasse con una sola aliquota Irpef, anzi due, salvo poi non fare nulla, solo chiacchiere e distintivo. Insomma: riformare il fisco è giusto e pure necessario. Ma il Pd non può dare l’impressione di rastrellare miliardi che i Cinque stelle provvedono a sperperare.

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