Guerini rinfaccia a Conte la prima pagina del Fatto. Il premier reagisce, accusando De Micheli di scorrettezza. Tra pizza e cornetti, veleni e sospetti, passa un accordo su Autostrade da definire. Sulla bocca di molti la frase "non ne possiamo più".
By Alessandro De Angelis
A mezzanotte anche il più mite di tutti, mai una parola fuori posto, mai uno scatto, modi che gli valsero il soprannome dell’Arnaldo Forlani del Pd, anche lui sbotta, e questo misura la temperatura della situazione. Lorenzo Guerini si avvicina a Giuseppe Conte mostrando sul suo iPhone la prima pagina del Fatto, quella dove compare mezzo Pd sotto la scritta “United dem of Benetton”: “Guarda il tuo amico Casalino - dice avvicinandoglielo ad altezza viso – ha fatto la prima pagina contro di noi. Adesso basta, così non si può andare avanti in questo modo”. Non si scompone più di tanto il premier, più teso del solito, quasi non aspettasse altro: “Tu mi parli del Fatto? La tua amica De Micheli ha fatto uscire un documento riservato contro di noi, da avvocato ci sarebbero anche dei profili legali su cui intervenire”....
Palazzo Chigi, interno notte, tra le più lunghe del Governo: “Paola – prosegue il premier – è stata una scorrettezza inammissibile”. È nero. Nel suo volto c’è una richiesta implicita di dimissioni, anche se la parola non è pronunciata. La lettera in questione è quella in cui la ministra dei Trasporti chiede di riflettere sui rischi della revoca, facendo capire che se c’è una responsabilità è di palazzo Chigi, che prima ha ritardato il dossier e poi ha prospettato una soluzione da danno erariale: “Sai bene che non ho fatto uscire io quella lettera – è la risposta della ministra – qui c’è qualcuno che ha giocato a farmi passare da amica dei Benetton. A me dei Benetton non frega nulla, sto difendendo il lavoro di un anno”.
L’ombra di Casalino avvolge il conclave di Governo, in un clima di sospetti, veleni, voci di rimpasto. Neanche il Pd ha gradito la fuga di notizie. Boccia, Provenzano, Amendola, che però non crocifiggono la ministra. Prima che arrivino i cartoni di pizze già tagliate e le birre ghiacciate all’una di notte, la prima riunione separata. Via i capidelegazione. Conte si riunisce, nella stanza accanto, con De Micheli e Gualtieri, con grande stupore di Dario Franceschini: “Perché – domanda stizzito il ministro della Cultura - non si può sentire Paola?”. Il premier è ultimativo: “O chiudiamo o si revoca”. Il decreto di revoca è pronto. È in una delle due cartelline che ha portato Gualtieri, col via libera di Zingaretti, che ha coperto la linea di Conte, superando la prudenza del suo stesso capodelegazione Franceschini. Boccia e Provenzano parlano fitto fitto, mentre azzannano uno spicchio di pizza alla diavola: “Nicola ha fatto un capolavoro politico, dicendo che la lettera di Autostrade era insufficiente. Perché da quel momento i Benetton ha capito che non c’erano più margini. E ha evitato di regalare una prateria a Di Maio”.
Altra linea di tensione. Lui e il premier si scrutano, si parlano a stento, da settimane ormai, distanza diventata visibile anche qualche ora prima all’ambasciata francese dove si festeggia la presa della Bastiglia. Il premier sa che l’affaire Autostrade è una Bastiglia per il Movimento. E “Luigi” lo aspetta al varco, perché lì rischia di saltare, soprattutto dopo che ha fissato l’asticella alta sulla revoca per conquistarsi la leadership di fatto del Movimento: “Guarda che così, con Benetton dentro, non la reggiamo, non erano questi i patti”. È a qual punto che il premier, a Consiglio dei ministri in corso, chiama i vertici della società autostradale. Bellanova è la più insofferente: “Basta, qui non si capisce cosa dobbiamo aspettare, doveva essere un’informativa, un’ora e andiamo a casa”.
Alle quattro del mattino, qualche ministro si è appisolato, risvegliato da un sussulto quando Spadafora torna con un paio di vassoi di cornetti. Dentro lo Stato con Cdp, i Benetton scendono attorno all’11 per cento, poi lo sbarco in Borsa, questo il canovaccio di mediazione sul far dell’alba: non una revoca, ma una mutazione genetica radicale, con i Benetton che da padroni di Autostrade diventano una minoranza senza una poltrona nel Cda. Il che consente a tutti di cantare vittoria: la famiglia Benetton comunque non è stata cacciata, Conte ha lo scalpo perché le Autostrade non sono più roba loro, il Pd per una mediazione che non fa saltare il Governo.
Evviva, nel day after hanno vinto tutti, soprattutto il mitico “popolo” che si è ripreso le Autostrade. A caro prezzo. Resterà alla storia come il Consiglio dei ministri in cui alle quattro di notte il premier si è “comprato” Autostrade, concordando i dettagli della valutazione, per poi raccontare l’acquisto come fosse una revoca. Una delle ipotesi notturne è che lo Stato paga per avere, attraverso Cdp, l’88 per cento di Aspi che è più di quanto pagherebbe per avere il controllo di Atlantia, il che per Benetton è una profumata via d’uscita più che un calcio nel sedere. E resta la scia di veleni politici, che conduce a un altro classico di questa fase, il rimpasto, valvola di sfogo di un equilibrio in cui i soci fondatori non “ne possono più”, altra frase sulla bocca di tutti stanotte. Lo si è visto questa mattina quando Marcucci e Perilli, i capigruppo di Pd e 5 stelle al Senato hanno avuto una quasi rissa per le commissioni. Rimpasto che non si farà, perché se tocchi una casella viene giù tutto ciò che si regge a stento.
- Alessandro De AngelisViceDirettore
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