È tutta qui la confusione delle ultime 24 ore. Sia detto senza retorica: davvero senza precedenti.
Mettiamo in fila gli elementi: attorno alle 19 di sabato sera viene pubblicata dai siti la bozza del decreto, non ancora firmata e dunque non ufficiale, che contiene misure straordinarie, di fatto la chiusura della Lombardia e di altre 11 province (alla fine saranno 14), probabilmente un atto ostile al Governo, una sorta di sabotaggio condotto magari da chi non era d’accordo. Secondo la Cnn, da fonti della Regione Lombardia. Come evidente, la notizia, non smentita da nessuno, è l’apertura di tutti i telegiornali e rimbalza su tutti i siti del mondo. E produce, nelle zone interessate, una fuga, disperata ed emotiva, sulla base della convinzione del “se non vado via ora, non esco mai più”.
Solo 6 ore dopo, alle 2.18 di notte il presidente del Consiglio si materializza in conferenza stampa per spiegare le misure, dopo aver esternato la sua indignazione per la circolazione di una notizia che doveva rimanere riservata fino all’ufficialità. Disorganizzazione, ingenuità di fronte a un atto di cinismo, incapacità: sia come sia, il Governo della “fuga di notizie”, come avvenuto qualche giorno fa sulla chiusura delle scuole, dà un’immagine devastante. Al paese, non agli addetti ai lavori. In una condizione di emergenza estrema, in cui nessuno scienziato, neppure il migliore, sa come andrà a finire, la giustificazione postuma sulla fuga di notizie è sinonimo di una clamorosa incertezza.
L’HuffPost è in grado di affermare, dopo aver parlato con fonti di governo, che la bozza non era stata “condivisa”, nella fase della sua elaborazione, con tutto il Governo e in particolare con i Ministeri più interessati. E, altro elemento non irrilevante, le forze dell’ordine e gli apparati preposti alla sicurezza nazionale non erano pronti, perché non avevano ancora ricevuto direttive. Tanto per fare un esempio, se cioè un campano o un pugliese avessero chiesto ieri sera od oggi a un poliziotto “voglio tornare nella mia Regione, posso prendere l’aereo?”, avrebbero potuto ricevere, come risposta, un “non so, attendo disposizioni”. Le disposizioni del Viminale, invece, arrivano ai prefetti 24 ore dopo, alle ore 21.
Eccolo, il colabrodo, che muta radicalmente lo scenario, causato da due incauti, diciamo così, elementi. Il primo: l’idea che si possa “chiudere” un’area del paese, senza un provvedimento condiviso e blindato, tra i soggetti coinvolti e senza accompagnare le misure con una massiccia presenza dello Stato, intesa come forze dell’ordine, preposte a gestire e controllare la situazione. Il che ha prodotto l’esodo da una zona che era fortemente infettata, ma delimitata, in una zona bianca, dove sono arrivati i cittadini delle zone rosse, con effetti che si vedranno tra due-tre settimane. Il secondo: annunciata come rossa, un lockdown radicale, è diventata arancione, il che introduce una “falla” nel meccanismo, e lo rende soggetto a interpretazioni. L’assenza di un divieto assoluto di circolazione – per lavoro ci si può spostare ovunque - e l’assenza di un vero sistema di sanzioni rende le norme meno incisive, soprattutto in attesa che ne venga definita l’operatività.
Ecco, è il racconto di una perdita di senso, inteso come senso di drammaticità di quel che sta accadendo, in cui tra il “giallo” e il “rosso” si sceglie “l’arancione”, che è come il grigio tra il bianco e il nero. Perché non c’è una vera plancia di comando, ma una sovrapposizione tra più piani, in particolare Governo e Regioni, nella debolezza della Protezione civile. E nell’assenza di un “commissario straordinario” accade che, nel coro, tocca a Speranza invocare il “pugno di ferro”, da ministro dell’Interno mentre il ministro dell’Interno ancora non parla.
Una catena di errori al posto di una catena di comando, che da oggi aggiunge a questa crisi un elemento in più rispetto a quello sanitario, che riguarda l’ordine pubblico e la tenuta sociale del paese. Carceri in subbuglio, treni presi d’assalto, rianimazioni al collasso, i governatori del centro-sud che dicono “mettiamo in quarantena chi viene dalla Lombardia”, senza sapere come, perché solo quelli che arrivano in aereo sono tracciabili. E questo avviene in un paese dove Roma è deserta perché i romani sono andati a fare la gita a Fregene, dove continua la movida ai Navigli, ignorando che la prima misura di prevenzione è stare a casa, limitare i contatti e rispettare le norme.
Solo pochi giorni fa Mattarella aveva invitato il paese a non cedere all’emotività, le istituzioni a tutti i livelli a una gestione univoca, coordinando competenze e piani istituzionali, le forze politiche alla concordia e all’unità di impegni. Sono messaggi già franati e, oggi, non potrebbe più fare lo stesso tranquillizzante discorso. Per molto meno Stati americani hanno dichiarato lo stato di emergenza. Mettendoci la faccia e assumendosi la responsabilità delle scelte più necessarie e più radicali. Può capitare che il consenso non coincida con la salute pubblica e con il bene dei cittadini.
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