venerdì 27 marzo 2020

Alessandro De Angelis - Un altro (possibile) scenario... È sfuggito che il clima sta cambiando. E che, alle sei, sui balconi non si canta più?.

Ansa


Cosa evoca l'intervento di Draghi. A prescindere da come un pezzo della politica lo ha accolto, la sua agenda di emergenza resta comunque squadernata come soluzione più radicale, più globale, più politica se l'attuale governo dovesse fallire.

Poteva tacere. E invece, in un momento cruciale, ha deciso di parlare, con immagini e toni di inconsueta drammaticità per il suo lessico, di fronte a “una tragedia umana dalle proporzioni potenzialmente bibliche”. Comunque, il discorso di Mario Draghi al Ft, apre un altro livello di discussione. Una visione che resta sul tavolo, a prescindere da quanto la politica nostrana la “inchiodi” al presente, dentro un orizzonte tutto politicista sul “come incrocia i destini di questa maggioranza” o “come la scardina”... 
 
Parole accolte quasi con fastidio dal premier, accompagnate da uno scatto di nervi del suo Movimento, perché lette con la lente del retropensiero politico: la manovra, il governissimo, le solite chiacchiere e i soliti riflessi di una politica normale, e di uomini normali in tempi eccezionali. Un po’ poco, per una figura davvero aliena, pressoché un marziano, rispetto a queste dinamiche, che rappresenta un grande asset per l’Italia, proprio nel momento in cui l’Italia chiede politiche espansive che la sottraggano dal giogo del debito. Il gioco degli specchi, andato in scena a palazzo Madama, rischia di deformare l’essenza stessa della riflessione, che resta ad ogni modo squadernata in questa crisi lunga, inedita, diventata in Lombardia, e non solo, un labirinto del dolore di cui ad oggi non si intravede l’uscita.
Un nuovo Wathever it takes, che vale per l’Unione europea che, guarda caso, proprio oggi si è divisa sulle scelte da compiere su questioni cruciali e per l’Italia, chiamata a mostrare una determinazione finora non avuta. È già chiaro, con un po’ di realismo, che i 25 miliardi annunciati dal governo per il suo secondo decreto non basteranno, basta un semplice raffronto con quel che stanno facendo gli altri paesi. È questa l’agenda che, nelle prossime settimane, sarà in discussione: una soluzione più radicale, più globale, più politica.
Questo il punto. In questa agenda non c’è un commissariamento della politica, ma una sollecitazione ad affrontare una emergenza drammatica proprio con la forza della politica. Trascinare, o come si suol dire, tirare Draghi per la giacca, sgualcendola nelle tensioni della quotidianità, significa non leggere questa agenda di emergenza, a cui accedere nel caso in cui la pandemia dovesse evolvere in carestia, in uno scenario economico e sociale ancora più impegnativo, per un paese che ha già un problema di peso internazionale e un debito impennato, ben prima del contagio virale. E ciò che oggi è stato tritato nel presentismo di un dibattito tutto nostrano, potrebbe diventare l’unico modo di uscirne, a quel punto sì, invocando il “salvatore della patria”, in grado di far valere in Europa il suo peso per ottenere quei crediti che oggi vengono negati.
Presentismo di chi, ancora in questo contesto, concepisce l’identità come “contrapposizione”, come “essere contro qualcuno”. Per cui, quasi come riflesso condizionato, tutto è stato letto come un modo per disarcionare Conte, con l’inguaribile ottimismo di chi pensa che si può ancora parlare di governo se sotto c’è un paese che salta. Il raffronto con il resto del mondo è impietoso. Nell’America di un populista spericolato come Trump, in piena campagna elettorale per le presidenziali, le misure straordinarie sono state varate col consenso dei democratici in 48 ore. In Italia, patria della democrazia parlamentare, c’è un governo che si arrocca nel suo solipsismo di fronte agli indirizzi di figure di garanzia: al capo dello Stato che invita alla condivisione con le opposizioni, nella distinzione delle funzioni, e all’ex capo della Bce, figura di garanzia immateriale, che suggerisce una riflessione per il suo paese e non solo.
Non c’è mai stata una emergenza senza un punto di caduta su una più stretta collaborazione tra maggioranza e opposizione. E, normalmente, accade che è l’opposizione a sfilarsi dall’abbraccio. Invece sta accadendo che un pezzo di maggioranza non accetta fino in fondo questa sfida, chiudendosi dentro uno stanzino politicista mentre la casa brucia. È un paradosso: Salvini oggi si è tolto dall’angolo dell’irresponsabilità, del “tanto peggio”, con parole impegnative sull’ex presidente della Bce, in tempi normali un “nemico” dei sovranisti. Al fondo dell’arrocco di palazzo Chigi c’è invece l’illusione del proprio consenso in questa fase. È sfuggito che il clima sta cambiando. E che, alle sei, sui balconi non si canta più. 

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