Fra i commenti dei global-progressisti ostili a Donald Trump, non poteva mancare questo: “E’ un nazionalista. E i nazionalismi, prima o poi, sono destinati a farsi la guerra”: così Timothy Garton Ash, maitre a penser del Guardian, gran difensore di Israele. Immediatamente seguito sulla stessa linea da “El Papa” il quale, nel suo modo obliquo, ha subito avvicinato Trump a Hitler: «Per me l’esempio più tipico del populismo, nel senso europeo, è il 33 tedesco» ha detto Papa Francesco. «La Germania distrutta cerca di alzarsi, cerca la sua identità, cerca un leader che gliela restituisca, c’è un giovane che si chiama Hitler e dice `io posso´. Hitler non rubò il potere, fu votato dal suo popolo”.
Questo mito – che siano i populismi e nazionalismi a fare le guerre – è assolutamente centrale nell’ideologia globalista, ed ha giustificato l’assoggettamento dei popoli europei a tecnocrazie sovrannazionali nella UE; già Jean Monnet fu inviato dai banchieri d’affari americani in Europa distrutta con il compito di distribuire i fondi del piano Marshall e le istruzioni di darli in solo in contropartita di cessioni della sovranità nazionale. Un cammino che, per azioni sistematicamente “nell’ombra”, antidemocratiche, , ha portato alla UE, al mostro che oggi si rivela “Prigione dei Popoli”: vizio originale, perché il progetto di “togliere sovranità” significava “neutralizzare” la volontà popolare, sostituire la democrazia con tecnocrazie ritenute “neutre” perché “apatridi” , castrare i popoli, ritenuti taurini, pieni di testosterone, e perciò bellicosi. Contro queste forze si oppose De Gaulle, quando propose – contro l’Europeismo tecnocratico, la “Europa delle patrie”: patrie fraterne, nella pienezza delle rispettive sovranità....
“El Papa” non ha sentito – e questa sordità conferma il carattere ideologico, militante global, di tutto ciò che dice Bergoglio – che Trump ha detto la sua intenzione di cessare le guerre ed aggressioni imperialiste scatenate dalla due amministrazioni, nei precedenti 16 anni di Bush jr e Obama; non continuarle, ma smetterle: ascoltato, Bergoglio? O ha bisogno dell’apparecchio acustico?
Trump il nazionalista ha avuto espressioni di amicizia – amicizia, capito? – verso le nazioni del mondo. “Noi – ha detto – cercheremo amicizia e benvolere con le nazioni del mondo – lo faremo con l’intesa che è nel diritto di tutte le nazioni di mettere il loro interesse al primo posto”.
Sapete cosa annuncia questo, almeno nelle intenzioni? Il ritorno all’ordine di Westfalia (1648): quel riconoscimento reciproco della sovranità degli stati, e amicizia basata sulla non-ingerenza negli affari interno, che garantì in Europa 150 anni di pace (Jus Publicum Aeuropaeum) e fu rotta dall’imperialismo giacobino, con Napoleone scatenato a “liberare” i popoli dai regimi “reazionari e oscurantisti”, beninteso saccheggiandoli a man bassa.
L’ordine di Westfalia è stato apertamente rigettato da Bush jr. nel 2002 (e col pretesto dell’11 Settembre) quando ha pubblicato la sua “dottrina di Sicurezza Nazionale, che proclamava il diritto americano di lanciare guerre preventive contro qualsiasi nazionale, per “espandere la democrazia e libertà nelle nazioni del mondo”. Ciò significava non riconoscere alle altre nazioni lo status di soggetti di diritto; tutti gli stati erano aggredibili, ad arbitraria volontà americana.
Usa: 223 guerre in 240 anni
Naturalmente, ciò non vuol dire che Trump sappia del trattato di Westfalia e nemmeno che la sua promessa di non aggredire altre nazioni sarà mantenuta. Ma ciò perché l’America, che è “la più grande democrazia” (e dunque la più giacobina), ha sferrato, quasi sempre sotto falsi pretesti, 223 guerre nei 240 anni della sua esistenza (qui per la lista: http://informare.over-blog.it/2015/02/gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html )
Dalla fondazione nel 1776 gli Stati Uniti sono stati in guerra nel 93 per cento del tempo; non sono mai stati un decennio senza scatenarne una. “ L’unica volta che gli Stati Uniti sono rimasti 5 anni senza guerra (1935-1940) è stato durante il periodo isolazionista della Grande Depressione”.
Guarda che caso: fu quando l’isolazionismo, ossia il nazionalismo, erano forti, che essi hanno conosciuto un po’ di pace. Il motto dei nazionalisti, era lo stesso di Trump oggi: “America first”.
Dopotutto, se El Papa non avesse la vista otturata dagli occhiali ideologici e la mente intossicata dai pregiudizi del giacobinismo (massonico?), avrebbe visto che Trump già 1) ha tagliato l’erba sotto i piedi del fondamentalismo terrorista, che Obama ha nutrito e armato coi sauditi; 2) praticamente contribuito a cessare lo strazio bellico destabilizzante in Siria; 3) ha teso la mano amica a Vladimir Putin, scongiurando una guerra fra superpotenze atomiche che Obama ha avvicinato con tante provocazioni, sperando di rendere irreversibile la china bellica; e ciò perché l’America di Hillary credeva di poter “sferrare il primo colpo nucleare” e vincere. A loro andava avvicinato Hitler.
Un vero Pontefice dovrebbe rallegrarsi, se fosse un uomo di pace e non un falso Papa giacobino, di questi atti di pace. Della sua intenzione di “formare nuove alleanze “ per unire “il mondo civilizzato contro il terrorismo islamico radicale, che eradicheremo completamente dalla faccia della Terra”: frase in cui si legge la volontà di allearsi con la Russia, con grande allarme degli imperialisti massonici.
Fraternità nazionaliste: il precedente storico
Trump è nazionalista; Putin è nazionalista; come può essere che due nazionalisti vanno d’accordo invece di scontrarsi in guerra? Secondo la dottrina ripetuta da Garton Ash (j?) e da Bergoglio, ma anche dai neocon, le nazioni”goy” sono portate a farsi continuamente guerre, e quindi vanno evirate dalla loro identità nazionale onde, come placidi buoi, lavorino per gli eletti.
Questi padroni del discorso hanno avuto cura di cancellare dalla memoria storica la scandalosa verità dell’Europa anni 30: la fraternità fra nazionalismi. Nazionalismi duri: dittature fasciste in Germania e Italia, regimi nazionalisti autoritari dal Portogallo alla Spagna, dalla Grecia alla Jugoslavia, dall’Ungheria alla Bulgaria alla Romania, dalla Polonia (Pilsudski) ai paesi baltici, fino alla Turchia.ù
Tutti portati al potere dai popoli contro gli Establishment a causa della grande depressione del 1939 che gli Establishment (comitati di affari) non avevano voluto o saputo curare con l’ortodossia finanziaria; tutti col loro “duce” in uniforme, tutti con la loro retorica militare, i loro protezionismi…
Si sono forse avventati l’uno contro l’altro? Sbudellati in guerre? Tutto il contrario: avevano rapporti fraterni, scambi culturali reciproci, stima e amicizia. Di più: l’Italia del nazionalista Mussolini fu il primo stato europeo a riconoscere de jure l’Unione Sovietica di Stalin, con scambio di ambasciatori; e ciò nel 1924, appena preso al potere, ancor caldo della lotta contro i comunisti in patria! L’ordine di Westfalia, era quel che difese.
Infatti, fu ancora il duce che ritardò di 4 anni l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Reich; quando i nazi austriaci assassinarono il cancelliere austriaco Dollfuss nel 1934, mandò le famose quattro divisioni al Brennero: un atto di audacia solitaria, perché”le democrazie” (Francia, Regno Unito) rifiutarono di impegnarsi per l’indipendenza austriaca, esplicitamente, nella conferenza di Stresa del ’35. Era ancora una volta l’ordine di Westfalia che difese. Hitler, che aveva per lui ammirazione, di un fratello minore, rimandò il progetto. Lo rifece nel 1938; le “democrazie”, con la sanzioni per l’Etiopia, avevano tra le braccia di Hitler Mussolini, che diventato succubo della “potenza” germanica. Fu infatti il regime tedesco a costituire un’anomalia nella fraternità fra nazionalismi che s’era stabilita, come oggi la Germania è l’anomalia politica della UE: allora fu il razzismo come dottrina politica (paradossale carattere giudaico dell’hitlerismo) il verme “impolitico” che rose quella fraternità (Hitler invase la Polonia autoritaria), oggi è, sotto altre forme, sempre rifiuto di solidarietà a chi non è “dei loro”, provinciale incapacità di “chiamare popoli diversi” a fare qualcosa di grande assieme.
E’ chiaro che, se come conseguenza della vittoria del “nazionalista” Trump, francesi, italiani, olandesi, tedeschi
riescono a liberarsi dei loro establishment e si danno governo “nazionalisti”, possono andare benissimo d’accordo con Usa e Russia, e ripetere l’esperimento della fraternità fra nazioni sovrane.
Forse, dopo tutto, non è un caso che “Francesco” ha scelto proprio questo passaggio storico per far stampare dal Vaticano un francobollo in onore di Lutero: figura che incarna l’ostilità e incomprensione radicale della foresta germanica a “Roma”, e alla sua civiltà universale. Ora lo vediamo – questo Papap che has leccato dittatori come Fidel e si confrica con la dittatura cinese – unito alla Merkel, a Juncker; alla Cia e al Pizzagate Club; alle femministe, a “Madonna” e ai neocon, ai nichilisti black bloc e ai LGBT nella loro “lotte” contro “il dittatore” per “il gender”. Come ha notato la giornalista Katie Hopkins a proposito della manifestazione monstre delle “donne” a Washington, “avere la vagina è un fatto biologico, non un tema politico”. Che è un modo di dire con humor la stessa cosa: anche la razza, come la vagina, o avere voglie finocchie, o trans, non è un tema politico.. e chi lo impone in politica, fa perdere di vista il “nemico principale” (il nemico della giustizia sociale) – e in definitiva, fa sempre il gioco dei comitati d’affari e del capitale.
Due guerre incombenti
Non si può concludere senza evocare i due rischi di guerra che possono annullare le speranze create da Trump.
John Kerry a Davos ha profetizzato che l’Amministrazione Trump durerà “uno, due anni”.
Il capo della Cia uscente, John Brennan, ha ancora una volta attaccato verbalmente il presidente; un segno inaudito di rivolta, che fa’ dire a Paul Craig Roberts: attenzione, “Russia, Cina, Iran, Venezuela, Equador, tutti gli altri paesi da colpire sulla lista della Cia devono capire che l’insediamento di Trump dà una protezione insufficiente. La Cia è un’organizzazione mondiale. I suoi fiorenti affari generano rendite indipendenti dal bilancio Usa. Questa organizzazione è capace di lanciare operazioni senza il consenso del presidente, e neanche del proprio direttore. La Cia ha avuto 70 per trincerarsi. Non se ne è andata”.
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