La denuncia del Papa
Ma al di là della querelle, resta la denuncia papale, che le ire israeliane, accompagnate dalle usuali giustificazioni sulla lotta al terrorismo e sull’asserito abuso dei terroristi di nascondersi dietro i civili, non cancellano. Peraltro, le cronache (nere) non lasciano dubbi su quanto sta avvenendo, come da denunce sempre più numerose da parte di tanti organismi internazionali, uomini di cultura, ebrei e non, e politici (questi ultimi, in realtà, pochini in Occidente).
Il papa non può rimanere indifferente all’orrore di Gaza; e se le ire di Tel Aviv hanno fatto sparire la kefiah dalla culla di Gesù Bambino davanti alla quale si fatto fotografare, foto che comunque rimarrà nella Storia, non può accettare di rimanere in silenzio su quanto sta accadendo.
A commento delle parole del Papa, pubblichiamo stralci di uno scritto, pubblicato su Haaretz, di Gideon Levy sulla mancata visita di Netanyahu ad Auschwitz, evitata nel timore che le autorità polacche lo arrestino per crimini di guerra in ottemperanza alla sentenza del Tribunale penale internazionale. È la prima volta che un premier israeliano non partecipa alla commemorazione di Auschwitz, puntualizza Levy.
Quando Israele ha perso la sua umanità
“Ottant’anni fa, quando Auschwitz fu liberata – scrive il cronista – sarebbe sembrato lo sviluppo più folle che si potesse immaginare. Ora non più. Ottant’anni fa agli ebrei fu data la possibilità di scegliere tra due eredità: gli ebrei non avrebbero mai più affrontato un simile pericolo, oppure nessuno al mondo avrebbe mai più affrontato un simile pericolo. Israele ha scelto la prima opzione, con un’aggiunta fatale: dopo Auschwitz, agli ebrei è permesso fare qualsiasi cosa”.
“Israele ha elaborato questa dottrina nell’ultimo anno come mai prima d’ora. Un primo ministro che ha evitato una cerimonia ad Auschwitz è forse la dimostrazione più grossolana di tutto ciò. Il fatto che, tra i tutti i posti del mondo, Auschwitz sia il primo in cui Netanyahu teme di andare grida simbolismo e giustizia storica”.
“Altri capi di stato saranno presenti alla cerimonia, ma non Netanyahu. È ricercato dal Tribunale istituito in seguito a quanto accaduto ad Auschwitz per sospetti crimini di guerra che, con allarmante rapidità, assomigliano sempre di più ai crimini di Auschwitz”.
“La distanza tra Auschwitz e Gaza, con scalo all’Aia, è ancora enorme, ma non si può più sostenere che il paragone sia assurdo. Dopo aver letto il resoconto da incubo di Yaniv Kubovich su ciò che sta accadendo nel corridoio della morte di Netzarim, ci si rende conto che questa distanza si sta riducendo di giorno in giorno” [ne abbiamo accennato su Piccolenote ndr].
“È sempre stato un tabù paragonare qualsiasi cosa all’Olocausto, e giustamente. Non c’è mai stato niente di simile. I peggiori crimini dell’occupazione impallidiscono se confrontati con i crimini di Auschwitz”.
“Inoltre, questo paragone ha sempre lasciato Israele bianco come la neve e i suoi accusatori marchiati come antisemiti: dopo tutto, non ci sono campi di sterminio a Gaza, quindi ogni accusa in tal senso può essere facilmente respinta. Non ci sono campi di sterminio, quindi l’IDF è l’esercito più morale del mondo”.
Le macerie di Gaza
“Non ci saranno mai campi di sterminio a Gaza e tuttavia i paragoni stanno iniziando a gridare da sotto le macerie e le fosse comuni”.
“Quando i palestinesi di Gaza vengono a sapere che dove si aggirano branchi di cani randagi si trovano cadaveri umani mangiati dagli animali, i ricordi dell’Olocausto cominciano a riaffiorare”.
“Quando nella Gaza occupata si traccia una linea immaginaria della morte e chiunque la attraversi è condannato a morte, persino un bambino affamato o disabile, il ricordo dell’Olocausto inizia a sussurrare”.
“E quando nel nord di Gaza viene perpetrata una pulizia etnica, seguita da evidenti segni di genocidio in tutta la Striscia, il ricordo dell’Olocausto già riecheggia”.
“Il 7 ottobre 2023 sta emergendo sempre più come un punto di svolta fatale per Israele, molto più di quanto sembri al momento, simile solo alla sua precedente calamità, la guerra del 1967, che non è stata diagnosticata in tempo. Nella Guerra dei Sei giorni Israele ha perso la sua umiltà e il 7 ottobre ha perso la sua umanità. In entrambi i casi, si è prodotto un danno irreversibile”.
Levy non è solo nella sua denuncia: “Israele sta perdendo la sua umanità a Gaza”, titola, infatti, un editoriale di Haaretz che prende anch’esso spunto dall’articolo di Kubovich commentato da Levy e spiega come il dolore e lo shock del 7 ottobre stiano impedendo agli israeliani di prendere coscienza che a Gaza stanno agendo “in un modo che contraddice ogni moralità umana”.
Quindi, dopo aver ripercorso gli orrori descritti nell’articolo di Kubovoch, conclude: “Più prove emergono da Gaza, più chiaro diventa il quadro nauseabondo della nostra perdita di umanità. Il fatto che molti israeliani cerchino di negare le testimonianze su quanto viene fatto lì non solo non aiuta Israele nell’arena internazionale, ma continua anche a legittimare crimini e ingiustizie che offuscano il carattere morale e umano dell’intero paese”.
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