Ieri l’Ucraina ha nuovamente colpito il territorio russo con i missili a lungo raggio ATACMS made in Usa. Una sfida aperta, dopo che la ritorsione russa con i missili ipersonici Oreshnik in risposta a un attacco simile aveva convinto i curatori di Kiev a evitare di colpire il territorio russo con gli ATACMS, stabilendo un tacito patto con Mosca (vedi Piccolenote).
La Nato, quindi, rilancia l’escalation, superando nuovamente le linee rosse di Mosca, nulla importando il rischio di innescare un conflitto nucleare. Peraltro, a essere presa di mira è stata la cittadina di Taganrog, dove ha sede il Beriev Taganrog Aviation Scientific Technical Complex e il 325th Aircraft Repair Plant, centri di ricerca avanzati dell’aviazione russa.
Rilanciare l’escalation
Al di là dei danni subiti, sui quali Mosca minimizza (come peraltro d’obbligo), non può lasciar correre e ha già annunciato che è pronta la ritorsione con un altro missile ipersonico Oreshnik. Più che probabile che gli obiettivi siano scelti tra i tanti centri Nato disseminati in Ucraina.
Da notare che l’attacco è avvenuto dopo che Putin ha dichiarato che il missile Oreshnik rende non più necessaria l’atomica, dal momento che un attacco massivo con tali vettori ha “un impatto paragonabile a quello di un’arma nucleare“, evitando la persistente radioattività.
Possibile che dalle parti della Nato qualcuno abbia fatto leva su tale dichiarazione per rassicurare l’establishment occidentale riguardo ai pregressi avvertimenti di Putin sull’utilizzo delle testate atomiche. Qualcosa del tipo: ora che Putin non brandisce più l’atomica possiamo violare le linee rosse russe, anche perché l’Oreshnik non è l’arma decantata da Putin. Nulla da temere, dunque.
Quindi, per chiarire agli Stranamore della Nato che stanno giocando con il fuoco, la Russia dovrà presumibilmente effettuare un attacco più potente del precedente, che in fondo era solo dimostrativo, o mirare a target di più alto livello.
Detto questo, è azzardato ritenere che l’attacco di deterrenza russo sarà sufficiente a raffreddare le tante teste calde che ruotano attorno a questo conflitto. Vogliono la terza guerra mondiale e la vogliono prima che entri in carica Trump, che ha promesso di rompergli il giocattolo e porre fine alla guerra (promessa, peraltro, difficile da mantenere).
La caduta di Assad e l’attacco degli ATACMS
Ma se la connessione tra le parole di Putin sull’Oreshnik è tutta da dimostrare, riteniamo che abbia certo fondamento un’altra causale riguardo gli attacchi con gli ATACMS, cioè la caduta di Assad, non per nulla l’attacco con i missili a lungo raggio è avvenuto dopo il trionfo delle milizie islamiste e dei loro sostenitori (Nato e Israele) in Siria.
Con la caduta di Assad Putin ha ricevuto una enorme sconfitta strategica, è il mantra che circola sui media. Per la Russia non è solo un enorme danno geopolitico, che peraltro mette a rischio la sua presenza nel Mediterraneo, è la declinazione di tale assunto, ma anche la dimostrazione della fragilità di Putin. La caduta del “dittatore” Assad precluderebbe alla caduta del “dittatore” Putin, perché tale è il destino dei dittatori (vedi, ad esempio, la CNN).
Al di là della veridicità di tali assunti e dell’etichetta dictator affissa su quanti i neocon hanno inserito nella lista dei nemici – e al di là dell’innegabile sconfitta russa in Siria, da vedere quanto profonda e duratura – l’attacco degli ATACMS in territorio russo segnala che quanti hanno trionfato in Siria vogliono rilanciare la sfida diretta alla Russia.
Putin è indebolito, la vittoria della guerra ucraina – una vittoria della Nato, ovviamente, non di Kiev – non è più una chimera. Quindi, la guerra ucraina deve proseguire e il suo sviluppo verso un coinvolgimento della Nato nel conflitto non deve essere fermato. Tale il folle sottinteso degli attacchi con gli ATACMS che, date tali premesse, potrebbero moltiplicarsi.
I neocon e la transizione Biden-Trump
In attesa della reazione russa, non possiamo che sottolineare quanto sia folle l’élite neocon che governa, di fatto, l’Impero d’Occidente. Sul punto un disilluso scritto di James W. Carden sull’American Conservative dal titolo più che significativo: “Come i neocon hanno vinto la transizione“.
Carden spiega come le manovre neocon, un mix di minacce (Abcnews) e scandali più o meno pretestuosi, abbiano impedito a Trump di nominare nella sua amministrazione persone da lui scelte, dovendo ripiegare su figure gradite a essi nei dicasteri chiave. Sarà imperatore, ma l’Impero resta in mano a quanti lo hanno gestito e continuano a gestirlo sotto l’amministrazione Biden.
“Sembra che una politica estera fatta di buonsenso e moderazione dovrà aspettare fino a quando il presidente Vance [J.D. Vance, vicepresidente di Trump ndr.] non presterà giuramento tra quattro anni. Che peccato”, conclude il cronista.
Questo scritto anzitutto rende chiaro che Trump voleva uscire dal tunnel buio nel quale i neocon hanno costretto il mondo, altrimenti le persone da lui nominate non sarebbero state minacciate e impallinate. Allo stesso tempo, sebbene Carden abbia ragione, a Trump e ai suoi associati restano dei margini di manovra, seppur ridotti.
Trump conta molto sul nuovo ministero sull’efficienza economica guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy, perché può dargli una grande mano nell’agenda che ha detto di voler perseguire. Il ministero, per fare solo un esempio che circola negli ambiti Maga, dovrebbe indagare sugli sprechi e la corruzione riconducibili alla guerra ucraina, scandali che dovrebbero dare argomenti al presidente per chiuderla.
È solo un esempio, né è pensabile che tutto fili liscio come da auspici, ma è solo per dare un’idea della partita che si sta giocando all’interno dell’Impero e che ha ripercussioni globali.
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