venerdì 15 maggio 2020

XHuffingtoPost Luciana Matarese -"Non condannateci per Covid". La protesta di imprese e ristoranti


Da Genova a Roma, ristoratori ed imprenditori non ci stanno: "Non possiamo essere responsabili per il contagio di un dipendente. Così lunedì non riapriamo".


Luciana Matarerse
C’è chi “guardi, sono basita”, chi “non comprendo e non posso accettare una
 disposizione del genere” e chi è “proprio incazzato nero”.
Per gli imprenditori la ripresa dell’attività dopo il lockdown, attesa, agognata,
 invocata, rischia di diventare un percorso a ostacoli, aggravando una situazione già 
assai critica. Due più rilevanti di altri: la responsabilità civile e penale che le nuove
 norme fanno ricadere sui datori di lavoro nel caso di contagio da Covid-19 di un 
dipendente e il distanziamento da rispettare, per i ristoranti fissato a 2 metri di 
distanza tra i tavoli (ai clienti va garantita una superficie di 4 metri quadrati). I titolari
 delle aziende e delle attività - molte delle quali si apprestano a riaprire da lunedì, 
sono preoccupati, non lo nascondono e chiedono al Governo di ripensarci. Né a 
rassicurare più di tanto è servita la nota con cui l’Inail ha provato a correre ai ripari
 precisando che “il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni 
di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per
 colpa”. La responsabilità del titolare non è esclusa: il problema resta, lo sconcerto 
pure....

“Sono basita, ma come si fa dimostrare che un dipendente ha contratto il virus sul luog
 di lavoro, dove trascorre solo una parte della giornata?”, chiede Giovanna Giolitti, titolare 
della storica gelateria e pasticceria “Giolitti” di Roma, tre sedi e 35 dipendenti, in parte
 oggi in cassa integrazione per le perdite registrate causa coronavirus. Nella zona 
circostante via Uffici del Vicario, su cui affaccia il più antico dei tre punti vendita, tanti
 negozi non hanno ancora riaperto “e i titolari mi hanno detto che ci penseranno bene a 
farlo, proprio a causa di questa disposizione. Stiamo facendo fronte a grandi difficoltà, m
i sembra troppo dover rispondere anche della responsabilità nel caso in cui un nostro 
dipendente risulti contagiato”, spiega la titolare di “Giolitti”. La speranza è “che chi ha 
dato queste disposizioni si renda conto che sono irragionevoli e ci ripensi”. E intanto
 bisogna lavorare per adeguare i locali in base a quanto previsto per il distanziamento.
 “Stiamo facendo tutto quello che ci è stato richiesto. Su questo piano siamo fortunati - 
spiega Giovanna Giolitti - perché abbiamo un locale abbastanza grande”. Già, ma chi
 invece ha un locale medio o piccolo? I 2 metri tra un tavolo e l’altro previsti dal protocollo
 ridurranno, e di molto, i posti a disposizione. 

“È improponibile - si accalora Stefano Tedesco, titolare del ristorante “Naturale”,
 quartiere Garbatella a Roma, sei dipendenti in tutto. “Il nostro locale ha una sala di 35 
metri quadrati, vuol dire che potremo mettere due tavoli. Dai 25 posti iniziali andremmo
 a finire a 4, con i parafiato di plexiglass arriveremmo a sei, otto al massimo”. Anche su
 questo, dunque, bisogna fare marcia indietro. “Ma poi non siamo mica così stolti da far
 entrare venti persone insieme?”. È “proprio incazzato” Stefano e la rabbia sale ancora di
 più se pensa che qualora un suo dipendente risultasse contagiato dal Covid-19 la
 responsabilità civile e penale potrebbe ricadere su di lui. “Mi sembra una follia - dice - S
 è così credo che la metà dei ristoratori chiuderà. In questo modo si farà morire un settore
 che è già in estrema difficoltà. Solo l’allestimento della sala per far fronte alle 
disposizioni sulla sicurezza mi costa oltre tremila euro. Ma poi se devo rischiare la galera
 lavoro da solo. Insomma, è una norma strampalata, non attuabile, va rivista”, conclude. 
E ripropone il quesito: “Come farà il titolare di un’azienda a dimostrare che il dipendente
 si è ammalato sul luogo di lavoro anziché al supermercato o sul tram?”. 
Per Piero Gai, uno dei titolari del gruppo metalmeccanico “Ultraflex” - direzione a Busalla,
 provincia di Genova, un’azienda negli Usa, quattro in Italia e 250 dipendenti -“è una di
 quelle disposizioni che da imprenditore subisco, ma che non comprendo e non posso
 accettare. Il Covid-19 non può essere considerato un infortunio sul lavoro e un
 imprenditore non può rischiare una condanna penale perché un dipendente ha contratto il
 virus”. Ancora, “la norma non è chiara, non si capisce ad esempio a chi spetti provare se
 il lavoratore ha contratto il virus in azienda o all’esterno, dove ci sono innumerevoli
 occasioni di ammalarsi”, prosegue Gai, precisando: “Le disposizioni per tenere a freno il
 contagio “devono essere pensate differenziando i contesti di lavoro, distinguendo un r
eparto di malattie infettive da un’azienda metalmeccanica”.  
Il protocollo di sicurezza condiviso da Confindustria e sindacati, va avanti, “è sacrosanto e
 va rispettato, ma in questa situazione vanno tutelati anche gli imprenditori”. La conclusione è che “bisogna rivedere la norma 
riportando il contagio da Covid-19 nell’alveo delle malattie e individuando mezzi diversi per penalizzare gli imprenditori che non 
dovessero rispettare i protocolli di sicurezza”.   

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