Da Genova a Roma, ristoratori ed imprenditori non ci stanno: "Non possiamo essere responsabili per il contagio di un dipendente. Così lunedì non riapriamo".
Luciana Matarerse
C’è chi “guardi, sono basita”, chi “non comprendo e non posso accettare una
disposizione del genere” e chi è “proprio incazzato nero”.
disposizione del genere” e chi è “proprio incazzato nero”.
Per gli imprenditori la ripresa dell’attività dopo il lockdown, attesa, agognata,
invocata, rischia di diventare un percorso a ostacoli, aggravando una situazione già
assai critica. Due più rilevanti di altri: la responsabilità civile e penale che le nuove
norme fanno ricadere sui datori di lavoro nel caso di contagio da Covid-19 di un
dipendente e il distanziamento da rispettare, per i ristoranti fissato a 2 metri di
distanza tra i tavoli (ai clienti va garantita una superficie di 4 metri quadrati). I titolari
delle aziende e delle attività - molte delle quali si apprestano a riaprire da lunedì,
sono preoccupati, non lo nascondono e chiedono al Governo di ripensarci. Né a
rassicurare più di tanto è servita la nota con cui l’Inail ha provato a correre ai ripari
precisando che “il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni
di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per
colpa”. La responsabilità del titolare non è esclusa: il problema resta, lo sconcerto
pure....
invocata, rischia di diventare un percorso a ostacoli, aggravando una situazione già
assai critica. Due più rilevanti di altri: la responsabilità civile e penale che le nuove
norme fanno ricadere sui datori di lavoro nel caso di contagio da Covid-19 di un
dipendente e il distanziamento da rispettare, per i ristoranti fissato a 2 metri di
distanza tra i tavoli (ai clienti va garantita una superficie di 4 metri quadrati). I titolari
delle aziende e delle attività - molte delle quali si apprestano a riaprire da lunedì,
sono preoccupati, non lo nascondono e chiedono al Governo di ripensarci. Né a
rassicurare più di tanto è servita la nota con cui l’Inail ha provato a correre ai ripari
precisando che “il datore di lavoro risponde penalmente e civilmente delle infezioni
di origine professionale solo se viene accertata la propria responsabilità per dolo o per
colpa”. La responsabilità del titolare non è esclusa: il problema resta, lo sconcerto
pure....
“Sono basita, ma come si fa dimostrare che un dipendente ha contratto il virus sul luog
di lavoro, dove trascorre solo una parte della giornata?”, chiede Giovanna Giolitti, titolare
della storica gelateria e pasticceria “Giolitti” di Roma, tre sedi e 35 dipendenti, in parte
oggi in cassa integrazione per le perdite registrate causa coronavirus. Nella zona
circostante via Uffici del Vicario, su cui affaccia il più antico dei tre punti vendita, tanti
negozi non hanno ancora riaperto “e i titolari mi hanno detto che ci penseranno bene a
farlo, proprio a causa di questa disposizione. Stiamo facendo fronte a grandi difficoltà, m
i sembra troppo dover rispondere anche della responsabilità nel caso in cui un nostro
dipendente risulti contagiato”, spiega la titolare di “Giolitti”. La speranza è “che chi ha
dato queste disposizioni si renda conto che sono irragionevoli e ci ripensi”. E intanto
bisogna lavorare per adeguare i locali in base a quanto previsto per il distanziamento.
“Stiamo facendo tutto quello che ci è stato richiesto. Su questo piano siamo fortunati -
spiega Giovanna Giolitti - perché abbiamo un locale abbastanza grande”. Già, ma chi
invece ha un locale medio o piccolo? I 2 metri tra un tavolo e l’altro previsti dal protocollo
ridurranno, e di molto, i posti a disposizione.
di lavoro, dove trascorre solo una parte della giornata?”, chiede Giovanna Giolitti, titolare
della storica gelateria e pasticceria “Giolitti” di Roma, tre sedi e 35 dipendenti, in parte
oggi in cassa integrazione per le perdite registrate causa coronavirus. Nella zona
circostante via Uffici del Vicario, su cui affaccia il più antico dei tre punti vendita, tanti
negozi non hanno ancora riaperto “e i titolari mi hanno detto che ci penseranno bene a
farlo, proprio a causa di questa disposizione. Stiamo facendo fronte a grandi difficoltà, m
i sembra troppo dover rispondere anche della responsabilità nel caso in cui un nostro
dipendente risulti contagiato”, spiega la titolare di “Giolitti”. La speranza è “che chi ha
dato queste disposizioni si renda conto che sono irragionevoli e ci ripensi”. E intanto
bisogna lavorare per adeguare i locali in base a quanto previsto per il distanziamento.
“Stiamo facendo tutto quello che ci è stato richiesto. Su questo piano siamo fortunati -
spiega Giovanna Giolitti - perché abbiamo un locale abbastanza grande”. Già, ma chi
invece ha un locale medio o piccolo? I 2 metri tra un tavolo e l’altro previsti dal protocollo
ridurranno, e di molto, i posti a disposizione.
“È improponibile - si accalora Stefano Tedesco, titolare del ristorante “Naturale”,
quartiere Garbatella a Roma, sei dipendenti in tutto. “Il nostro locale ha una sala di 35
metri quadrati, vuol dire che potremo mettere due tavoli. Dai 25 posti iniziali andremmo
a finire a 4, con i parafiato di plexiglass arriveremmo a sei, otto al massimo”. Anche su
questo, dunque, bisogna fare marcia indietro. “Ma poi non siamo mica così stolti da far
entrare venti persone insieme?”. È “proprio incazzato” Stefano e la rabbia sale ancora di
più se pensa che qualora un suo dipendente risultasse contagiato dal Covid-19 la
responsabilità civile e penale potrebbe ricadere su di lui. “Mi sembra una follia - dice - S
è così credo che la metà dei ristoratori chiuderà. In questo modo si farà morire un settore
che è già in estrema difficoltà. Solo l’allestimento della sala per far fronte alle
disposizioni sulla sicurezza mi costa oltre tremila euro. Ma poi se devo rischiare la galera
lavoro da solo. Insomma, è una norma strampalata, non attuabile, va rivista”, conclude.
E ripropone il quesito: “Come farà il titolare di un’azienda a dimostrare che il dipendente
si è ammalato sul luogo di lavoro anziché al supermercato o sul tram?”.
quartiere Garbatella a Roma, sei dipendenti in tutto. “Il nostro locale ha una sala di 35
metri quadrati, vuol dire che potremo mettere due tavoli. Dai 25 posti iniziali andremmo
a finire a 4, con i parafiato di plexiglass arriveremmo a sei, otto al massimo”. Anche su
questo, dunque, bisogna fare marcia indietro. “Ma poi non siamo mica così stolti da far
entrare venti persone insieme?”. È “proprio incazzato” Stefano e la rabbia sale ancora di
più se pensa che qualora un suo dipendente risultasse contagiato dal Covid-19 la
responsabilità civile e penale potrebbe ricadere su di lui. “Mi sembra una follia - dice - S
è così credo che la metà dei ristoratori chiuderà. In questo modo si farà morire un settore
che è già in estrema difficoltà. Solo l’allestimento della sala per far fronte alle
disposizioni sulla sicurezza mi costa oltre tremila euro. Ma poi se devo rischiare la galera
lavoro da solo. Insomma, è una norma strampalata, non attuabile, va rivista”, conclude.
E ripropone il quesito: “Come farà il titolare di un’azienda a dimostrare che il dipendente
si è ammalato sul luogo di lavoro anziché al supermercato o sul tram?”.
Per Piero Gai, uno dei titolari del gruppo metalmeccanico “Ultraflex” - direzione a Busalla,
provincia di Genova, un’azienda negli Usa, quattro in Italia e 250 dipendenti -“è una di
quelle disposizioni che da imprenditore subisco, ma che non comprendo e non posso
accettare. Il Covid-19 non può essere considerato un infortunio sul lavoro e un
imprenditore non può rischiare una condanna penale perché un dipendente ha contratto il
virus”. Ancora, “la norma non è chiara, non si capisce ad esempio a chi spetti provare se
il lavoratore ha contratto il virus in azienda o all’esterno, dove ci sono innumerevoli
occasioni di ammalarsi”, prosegue Gai, precisando: “Le disposizioni per tenere a freno il
contagio “devono essere pensate differenziando i contesti di lavoro, distinguendo un r
eparto di malattie infettive da un’azienda metalmeccanica”.
provincia di Genova, un’azienda negli Usa, quattro in Italia e 250 dipendenti -“è una di
quelle disposizioni che da imprenditore subisco, ma che non comprendo e non posso
accettare. Il Covid-19 non può essere considerato un infortunio sul lavoro e un
imprenditore non può rischiare una condanna penale perché un dipendente ha contratto il
virus”. Ancora, “la norma non è chiara, non si capisce ad esempio a chi spetti provare se
il lavoratore ha contratto il virus in azienda o all’esterno, dove ci sono innumerevoli
occasioni di ammalarsi”, prosegue Gai, precisando: “Le disposizioni per tenere a freno il
contagio “devono essere pensate differenziando i contesti di lavoro, distinguendo un r
eparto di malattie infettive da un’azienda metalmeccanica”.
Il protocollo di sicurezza condiviso da Confindustria e sindacati, va avanti, “è sacrosanto e
va rispettato, ma in questa situazione vanno tutelati anche gli imprenditori”. La conclusione è che “bisogna rivedere la norma
riportando il contagio da Covid-19 nell’alveo delle malattie e individuando mezzi diversi per penalizzare gli imprenditori che non
dovessero rispettare i protocolli di sicurezza”.
va rispettato, ma in questa situazione vanno tutelati anche gli imprenditori”. La conclusione è che “bisogna rivedere la norma
riportando il contagio da Covid-19 nell’alveo delle malattie e individuando mezzi diversi per penalizzare gli imprenditori che non
dovessero rispettare i protocolli di sicurezza”.
- Luciana MatareseGiornalista
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