sabato 23 novembre 2019

di Francesca Basso e Federico Fubini - Fondo salva-Stati, Moscovici: «Decisivo, altrimenti banche a rischio»


Fondo salva-Stati, Moscovici: «Decisivo, altrimenti banche a rischio»

di Francesca Basso e Federico Fubini

Pierre Moscovici, commissario europeo per gli Affari economici
Pierre Moscovici emana il senso di leggerezza di uno che vede la fine della scuola. La Commissione Ue di cui lui è stato responsabile per l’Economia sta per concludere il mandato. Lui si lascia andare su una poltrona del suo ufficio invaso dai libri. Sono ammassati alle pareti, sui tavoli. Persino il quadro dietro la sua scrivania raffigura una libreria. Ma niente saggi, dice lui: legge quasi solo romanzi e soprattutto Balzac. Con l’universo «non fiction» il francese ha già fin troppo a che fare in orario d’ufficio ed è qui che ha due messaggi per l’Italia: se la riforma del fondo salvataggi Mes finisse bloccata, salterebbe la rete di sostegno delle banche che essa contiene, fa notare; ma è già chiaro che l’euro è la frontiera dove anche il sovranismo deve fare un passo indietro.
Lei dice che il bilancio italiano è a rischio di “non osservanza”, niente di più. Ma il deficit strutturale aumenta, il debito anche. Avete chiuso un occhio con un governo filo-europeo?...


«Non facciamo favori all’Italia, né ne abbiamo fatti nei miei cinque anni. C’è sempre stata una comprensione. L’Italia è un Paese decisivo della zona euro. Ha un debito pubblico elevato e una situazione di finanza pubblica non semplice. Abbiamo applicato a tutti i governi la flessibilità prevista dalle regole. Ma se si paragona la bozza di bilancio di quest’anno con quella di un anno fa, c’è qualcosa che cambia: quella fu respinta, avemmo una situazione estremamente conflittuale e poi un’altra discussione difficile in giugno. Il ministro Giovanni Tria fu coraggioso e così il premier Giuseppe Conte. Ma, onestamente, stavolta è diverso: la volontà del governo di adeguarsi quanto possibile ha rassicurato i mercati. La differenza di metodo e di approccio è evidente».
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Tutto bene dunque?
«Non l’ho detto. C’è un rischio di non ottemperanza e invitiamo le autorità italiane a prendere le misure necessarie a evitarlo. C’è un gap che andrà ridiscusso a primavera. Il problema di fondo resta l’alto debito pubblico, l’anno prossimo e nel 2021».
Per allora lo vedete al 137,4% del Pil. C’è un livello a cui non è più sostenibile?
«Sono i mercati che valutano e quest’anno il loro giudizio è più positivo. Gli investitori tengono conto della situazione complessiva, dello stato di salute dell’economia, della volontà filo-europea del governo di rispettare le regole comuni. Ma questo livello di debito pubblico è troppo alto e, alla lunga, preoccupante. Nei prossimi anni la sua riduzione dovrà essere la priorità dell’Italia. È una situazione che non può durare senza conseguenze, per il vostro Paese e l’area euro. Gli euro consacrati a pagare gli interessi sul debito sono euro tolti al welfare, alle infrastrutture, alla giustizia. La spesa per il debito è la più stupida».
In Italia monta l’opposizione alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il fondo salvataggi. C’è il rischio che il governo metta un veto al prossimo vertice di Bruxelles. La sorprende?
«Quella riforma è parte di un pacchetto di misure per rafforzare l’unione monetaria in caso di choc. A giugno ci fu un accordo per consolidare l’unione bancaria con il cosiddetto backstop, la rete di sicurezza del fondo di risoluzione delle banche. Serve se un Paese non riesce a far fronte da solo a una crisi dei suoi istituti, e fa parte del Mes. È il pacchetto da adottare al vertice dei leader dell’area euro in dicembre. Poi partono le ratifiche nazionali. Noi alla Commissione abbiamo proposto anche di integrare il Mes nelle istituzioni comunitarie».
Dietro questa riforma non c’è l’idea di gestire la prossima crisi imponendo perdite agli obbligazionisti, prima di fornire un prestito di salvataggio?
«Il coinvolgimento del settore privato non è una novità, il Trattato Mes lo prevede già dal 2012 ed è simile alle pratiche del Fondo monetario internazionale. Può avvenire solo in casi eccezionali. La riforma del Mes prevede che possa facilitare il dialogo fra governo coinvolto e investitori su base volontaria, informale, non vincolante, temporanea e riservata. Non è una rivoluzione. Non è una questione di fiducia o sfiducia verso l’Italia. Nel negoziato alcuni volevano condizionare l’aiuto del Mes alla ristrutturazione del debito pubblico. Questo è stato evitato grazie alla resistenza della Commissione e di numerosi paesi, fra i quali l’Italia».
Bisogna cambiare le regole del Patto di Stabilità?
«Ne sono convinto. Non ho mai pensato che quello delle sanzioni fosse un approccio intelligente. Le regole vanno cambiate, ma non nel senso ordoliberale che vorrebbe qualcuno a Berlino. Abbiamo bisogno di regole più semplici, meno prone ad accentuare i cicli economici verso l’alto e il basso, più leggibili, più capaci di sostenere la crescita. Ci vuole una sola priorità: la riduzione del debito. Poi nel caso dell’Italia c’è un secondo obiettivo: migliorare la produttività. Non si può accettare che l’Italia cresca sistematicamente un punto meno dell’area euro».
C’è chi pensa che queste disfunzioni dell’area euro alimentino i populismi.
«Non credo. Noto che il limite dei governi populisti è sempre il consenso del pubblico verso l’euro. Non voglio fare confronti, ma se Alexis Tsipras nel 2015 compì la sua svolta fu perché il 75% dei greci voleva restare nell’euro. E se un anno fa il governo italiano cambiò la bozza di bilancio, fu per la pressione dei mercati da un lato e, dall’altro, perché la volontà degli italiani era di non uscire. Va migliorato il controllo democratico del sistema. Ma l’euro protegge e l’opinione pubblica l’ha capito».
Questa domanda va solo per la versione WEB Come giudica la fusione tra il gruppo Psa e Fca? E il fatto che spostino la sede sociale e fiscale della nuova società in Olanda?
«Ho un legame particolare con Psa da più di vent’anni e nel 2014 da ministro delle Finanze ho permesso l’ingresso dello Stato e di un’azienda cinese nel capitale di Psa. Era un’azienda morente con un capitale familiare che non aveva più i mezzi, ora è diventata un’impresa florida che si fonde con un’altra impresa florida come Fca. Sono entusiasta di questa operazione ma il diavolo si nasconde nei dettagli. Ci sono due aspetti importanti: i governi devono essere attenti affinché le produzioni industriali siano mantenute in Italia e in Francia e su questo i due gruppi si sono impegnati e sono sufficientemente complementari per essere credibili. Quanto alla sede sociale e fiscale in Olanda, da commissario con delega alla fiscalità ho sempre pensato che si dovesse lottare contro i paradisi fiscali, ma in Europa non ce ne sono. Certo l’Olanda ha migliorato il suo rating di trasparenza, ma è un Paese che continua a praticare un sistema fiscale favorevole alle imprese. L’importante in questa operazione è che i consigli di amministrazione, il centro delle decisioni politiche alla testa delle aziende resti situato nei territori nazionali della Francia e dell’Italia. La direzione deve restare franco–italiana e americana».-----

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